Emersioni Simboliche

Filippo Goti

 

 

 

1. Introduzione

 

Torniamo in questo lavoro a parlare delle emersioni simboliche.

Prima di procedere oltre è bene ricapitolare cosa mai intendiamo per simbolo onde evitare spiacevoli fraintendimenti che potrebbero inficiare la comprensione del presente lavoro.

Anticamente al momento della stipulazione di un contratto o di un patto di i due contraenti spezzavano un anello o una tessera di terracotta, ed ognuno di esse ne conservava una metà. La perfetta componibilità delle due parti nella forma originaria garantiva l'esigibilità del corrispettivo pattuito, o il mantenimento dell’impegno concordato. Lo messaggero, che doveva consegnare un importante messaggio, era munito della metà di una qualche oggetto, che poteva essere ricomposto solamente con la parte in possesso del destinatario della missiva, in modo da garantirne l'autenticità del messaggio e lealtà del messaggero.

Ponendo la nostra attenzione sull’etimo della parola simbolo, vediamo come questa affonda le proprie radici nel greco antico Σύμβολον dalle radici σύμ- (sym-, "insieme") e βολή (bolḗ, "lancio"). Donando quindi non solo l’idea di una ricomposizione, che al contempo è anche ciò che segue ad una scomposizione, ma anche di un aspetto dinamico, di una volontà di azione, in un senso o nell’altro senso, immancabile al fine di rivelare o occultare il Simbolo.

Ciò che ulteriormente preme osservare, in questa fase introduttiva, è la differenza che sussiste fra segno e simbolo, dove il primo rappresenta una flusso informativo dialettico-razionale, mentre il secondo trascende questo aspetto andando ad impattare nel profondo la nostra coscienza con un richiamo di informazioni largamente personali e soggettive.

Pensiamo come esempio ad un cartello stradale o ad un divieto, il concetto racchiuso nel segno è latore di un novero di informazioni quanto più oggettive ed immediatamente riconoscibili dalla nostra sfera logica. Pensiamo adesso all’immagine di Adamo ed Eva, dell’albero e del serpente che offre la mela, siamo qui innanzi ad una mole di informazioni, ad un flusso impetuoso di stimoli che oltre la sfera logica, colpiscono l’emozionale, associandosi ad una moltitudine di componenti basilari della nostra educazione, formazione, identità di essere. Siamo quindi in presenza sempre e comunque di segni grafici, ma con una valenza profondamente diversa. Si potrebbe obiettare che un’immagine non è un simbolo, ma bisognerebbe chiedere a colui che propugna tale affermazione per quale motivo non lo è, o non lo dovrebbe essere; tenuto conto della definizione che abbiamo dato di simbolo.

Riassumendo, e terminando, questa breve panoramica introduttiva, è bene sempre ricordare come il Simbolo nasce dall’interazione di almeno due elementi, precedentemente facenti parti di un’unica forma, e di una volontà di ricongiunzione dei medesimi. E’ su questo duplice presupposto che andremo adesso a narrare di quei particolari fenomeni, che devono essere sempre incessantemente ricercati dall’argonauta dello spirito, e che noi chiameremo Emersioni Simboliche.

 

2. Delimitazione del Concetto

 

In genere l’arte del simbolo è da molti praticata come la continua ed infinita ricerca di significati da attribuire a quello o a quell’altro segno. Un associare continuo di pensieri e concetti, ad un segno grafico, operando così all’opposto di quanto tale arte dovrebbe correttamente intendere. In quanto non è l’uomo dall’esterno ad attribuire informazione al simbolo, ma è il simbolo dal proprio interno a portare informazione, quando non una vera e propria formazione. Decenni di pratica individuale e di gruppo, mi hanno portato a considerare come spesso la massa di nozioni precedentemente acquisite, determini un soffocamento di ogni spontanea emersione del significato di un simbolo. Il quale è portatore, in un dato momento, di uno e solo un significato, e non di una molteplicità di attribuzioni posticce, e questo proprio perché, a differenza del segno, il simbolo non opera a livello dialettico razionale, ma intuitivo irrazionale. Prendiamo a tale esempio il simbolo della croce, esso può rappresentare la suddivisione dello spazio, il movimento, la fissazione, l’incontro fra l’elemento spirituale e materiale; ma in un dato momento della vita del ricercatore esso potrà assumere solamente un significato sostanziale, in quanto uno e solo uno è il livello dell’essere del ricercatore.

E’ giunto adesso il momento di delimitare il concetto stesso di Emersione Simbolica. Ove intendiamo quelle manifestazioni, dalle profondità del nostro essere, di simboli ed immagini a livello cosciente. Possiamo vedere le profondità del nostro essere come la sfera inconscia, e le immagini e i simboli che affiorano a livello conscio come l’emersione di materiale psichico precedentemente rimosso, o preesistente e fino a quel momento non raccolto dalla nostra sfera conscia.

In questa prospettiva non solo il concetto di Simbolo ha piena applicazione, ma trova in tale campo di indagine la propria ragion d’essere, la sostanziale coincidenza fra ciò che si intende e ciò che è in quanto tale. Rappresentando la sfera conscia e la sfera inconscia le due parti originariamente unite ed adesso scisse, l’emersione simbolica ha la duplice valenza di un ponte frattale che le unisce, e al contempo rappresenta una dinamica insorgenza di volontà, di attestazione di esistenza. ( Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre trovano visione completa dell’uno nell’altra, e dell’altra nell’uno, attraverso l’affioramento del serpente dalle profondità della terra che offre loro la possibilità di nutrirsi della mela.) Queste due sfere, conscio ed inconscio, risultano separate da una sorta di diaframma, fino a quando la volontà dell’uomo non si interroga sul perché dei propri agiti, o non si sofferma a osservare, prima, e riflettere, poi, su elementi che non provengono dai soliti processi relazionali, ma affondano in un qualcosa di più profondo. In genere tendiamo a non porre ad essi attenzione, non comprendendo che la nostra natura non è la sfera cosciente, ma la complessità della nostra struttura psichica, e che l’inconscio non è certo la pattumiera di quanto non ci è utile, ma solamente un gemello che ci rifiutiamo di accettare compiutamente.

Bisognerebbe chiedersi quale debba essere la linea di azione dell’esoterista, dello spiritualista, del metafisico, o del mistico ?! Apprendere decontestualizzate asserzioni attorno alla natura del mondo, così come riportate da altri, sprofondando così in un misto di ingenuo devozionalismo e grossolana ignoranza, oppure interrogarsi attorno al reale significato dello scibile ermetico e gnostico ? Continuare a mirare il dito, oppure volgere finalmente lo sguardo verso la Luna ?! Ed ancora è mai possibile pretendere di guidare gli elementi del cosmo, professarsi sacerdoti del sacro, quando non si governa il proprio agire e non si conosce la nostra natura ?! Non vi è altro titanismo che la ricerca interiore, e l’affrontare quella folla di demoni ed angeli, divinità e bestialità che si celano nel profondo del nostro animo. E’ nello scomposto labirinto di elementi rimossi e preesistenti, che come un novello Teseo dobbiamo ricercare noi stessi, fino a scoprire cosa nasconde realmente l’ultima svolta del cunicolo. Sfortunatamente si preferisce più parlare delle cose di Dio e delle Natura, piuttosto che cercare attivamente risposte sulla nostra anima.

Non solo l’erudizione senza opera è errore, ma lo è altrettanto il ritenere che quanto giunge al termine di una pratica sia il frutto di una manifestazione divina, o di un’irruzione su questo piano di elementi spirituali, in quanto ciò continua ad alimentare l’illusione che vi sia qualcosa di esterno a cui chiedere un dono, una manifestazione. Mentre è invece utile considerare quelle immagini danzanti oltre al cerchio, quelle movenze di intelletto durante la meditazione, affioramenti dal profondo, il frutto di un sommovimento interiore che lascia emergere quanto fino a quel momento era celato negli abissi. In tale ottica la pratica è quell’utile strumento che calandosi nelle profondità del nostro inconscio, come una rete ne raccoglie i frutti, oppure come trivella che perfora la crosta della terra lascia sgorgare i corsi d’acqua fino a quel momento celati.

Ecco quindi che riuscendo ad innalzare il tono del rituale, uscendo dalla semplice meccanica dello stesso, mostrando vigilanza durante il sonno, ponendo attenzione alle sensazioni maturate durante l’atto sessuale, abbiamo l’opportunità di raccogliere l’espressione più immediata, anche se parziale, della nostra psiche. Quanto detto non deve suggerire che solamente in queste fasi dalle profondità della nostra psiche emergono elementi simbolici, ma solamente che in queste fasi la nostra attenzione, è in grado di cogliere e trattenere tali elementi, in modo che successivamente in modo proficuo potremo analizzarli.

Invero queste emersioni sono costanti, solamente è raro che la nostra vigilanza, se non volontariamente sollecitata, è in grado di coglierle, e di conseguenza così come sono emerse, così tornano ad immergersi. Alla stregua di quei racconti che narrano di isole che periodicamente si innalzano dalle profondità dell'oceano, salvo poi inabissarsi nuovamente lasciando sgomenti i marinai presenti a tale evento.

Questa similitudine coglie molto il senso di quanto stiamo trattando. L'oceano rappresenta sia quella superficie che permettendo la navigazione pone in contatto isole e continenti (le varie porzioni della nostra psiche), ma che nasconde nelle sue profondità terre dalle forme sconosciute, mostri marini, simboleggiando quindi quanto vi è di ignoto ed antico: Come ignote ed antiche sono le origini della vita e della coscienza. L'emersione della terra è il disvelamento di quanto fino a poco prima era nascosto, e il marinaio che con stupore osserva il fenomeno è l’io cosciente che specchiandosi scopre un particolare dell'intera natura psichica che fino a quel momento era sconosciuta. Nel caso in cui esso riesca a trattenere il nuovo elemento questi viene assimilato, tramite un processo di integrazione, che inevitabilmente comporta una modificazione di quanto era in precedenza.

Non è questo il luogo e il momento ove discorrere se tenuto conto di quanto l'elemento psichico rimosso sia sovrastante dell'elemento integrato, o altrimenti di quanto il nostro inconscio sia maggiormente esteso del nostro conscio, sia il caso di procedere ad una lenta emersione integrazione del primo, oppure ad una rapida immersione del secondo. Anche se invito ognuno di noi a dedicarsi a tale riflessione, in quanto che valore ha la nostra vita se non persegue un cammino di continua presa di coscienza, ed identità?

E' però sicuramente deprecabile la preventiva ostilità che molte realtà che si definiscono iniziatiche hanno nei confronti di questi elementi occultati del nostro essere, dimentiche che ogni palazzo deve pur sorgere sulle delle fondamenta, e al contempo ogni costruzione deve tener conto delle particolarità del terreno su cui sorge, onde evitare crolli improvvisi, o che si abbatta il fulmine divino sulla nostra torre.

La pratica esoterica sia essa ascrivibile alla meditazione simbolica, o al sogno consapevole, o a quelle pratiche di operatività sessuale, non ha valore in quanto tale, ma in quanto strumento di esplorazione. Così come la nave non era il fine degli argonauti, ma solamente un mezzo di trasporto.

In genere tutta l'operatività ha come finalità quella di intensificare i momenti in cui "qualcosa accade", sia quella di renderci vigili rispetto ad essi. Pensiamo a tal caso agli esperimenti in laboratorio, dove il risultato non sono gli elementi che verranno mescolati, ma quanto da essi di nuovo scaturisce, e al contempo la necessaria attenzione, perizia, e genialità, del tecnico a tale opera preposto.

 

3. Prospettiva di Lavoro

 

Il monito "Uomo, conosci te stesso, e conoscerai l'universo e gli Dei" (Γνῶθι σαυτόν, gnôthi sautón), iscritto sul tempio dell'Oracolo di Delfi , non lascia dubbi possibili su dove debba dirigersi l’azione conoscitiva umana, solamente chi ha le chiavi della conoscenza interiore, potrà conoscere i segreti dell’universo e del divino. In quanto tutto ciò che deve essere conosciuto trova le proprie radici nell’animo umano. Risulta ben chiaro che in questa prospettiva, il lavoro che si chiede di compiere è rivolto verso l’interno dell’uomo, e non verso l’esterno. Un lavoro scevro di considerazioni etiche e morali, privo di qualsiasi illusione attorno all’intervento divino, non legato a dinamiche proiettive, non condizionato da assiomi e postulati, ma dove ognuno degli strumenti che l’arte esoterica ci pone e propone deve essere impiegato alla ricerca della verità interiore, la verità su noi stessi.

Ecco quindi come attraverso la pratica della retrospezione giornaliera (il ripercorrere a fine giornata gli elementi salienti della nostra attività), dell’introspezione (il verificare cosa questi elementi hanno determinato a livello emotivo, o da cosa essi stessi sono stati determinati), porta ad allenare la nostra capacità di attenzione e di ascolto verso quelle istanze interiori, che fin troppo spesso trascuriamo. Fornendo anche utili elementi su quelli che sono i nostri dinamismi, e le risposte degli elementi costituenti la nostra psiche alle varie sollecitazioni.

Quanto sopra, di cui potete trovare liberamente traccia con semplici ricerche, altro non rappresenta che un lavoro preparatorio, una prima esplorazione della nostra natura, in quanto raccoglie ed indaga fenomeni e sintomi del nostro agire quotidiano frutto di agiti interiori.

Un lavoro propedeutico e deduttivo, rispetto a quanto dobbiamo riservare, della nostra pratica, nell’andare a ricercare quelle emersioni di cui abbiamo trattato. In quanto esse non risultano filtrate dal mondo fenomenico, e neppure tradotte attraverso il linguaggio della ragione, o dei sentimenti, o delle sensazioni, ma frutto della reale espressione comunicativa delle nostre componenti psichiche, se non una diretta emanazione delle stesse. Fornendoci così delle chiavi di lettura, e chiavi di opera interiore, capaci di modificare il nostro stesso sistema percettivo-cognitivo.

Questi affioramenti saranno sia “liberi”, seppur associati alla natura della pratica, sia rispondenti ad un particolare stimolo di ricerca, in relazione alla pratica che ha causato la loro emersione. Possiamo osservare come durante l’opera di lavoro di coppia, queste rappresentazioni, sia in forma di immagine che di simbolo, ben di rado potranno essere riconducibili a determinati aspetti interiori, trovando la propria radice in quei profondi atavismi quali la sessualità e la morte. Operando attraverso l’adeguato uso di mantra, o loghion, è possibile provocare, per una sorta di risonanza, l’emersione di elementi riconducibili ad aree psichiche assonanti con la forma e la sostanza della pratica.

Del resto dobbiamo porci nella condizione di comprendere come taluni elementi quali la sessualità e la morte non costituiscono certo delle sovrastrutture, e in quanto tali liberamente enucleabili, ma bensì quel terreno su cui poggia tutta la nostra struttura psichica, o almeno quella parte di essa strettamente legata al vitale. Trovandoci così innanzi ad un elemento che rappresenta l’oceano stesso su cui sono disseminate le varie isole umane, ed è quindi scarsamente ipotizzabile che esso risponda docilmente al nostro impeto di ricerca, o che possa essere stimolato in maniera selettiva ed univoca.

Del resto è altresì possibile attraverso la ricerca di relazioni biunivoche fra la pratica posta in essere, e gli affioramenti ad essa conseguenti; come del resto sollecitare in modo violento la struttura psichica stessa e cogliere quanto emerge a posteriori. Ritengo che la scelta fra i due modi di procedere debba essere corrispondente non tanto a precetti dogmatici, quanto alla natura stessa del ricercatore.

A prescindere del modo con cui si opera, è importate ciò che si ottiene con l’opera stessa e cioè quel flusso simbolico o immaginifico, su cui rivolgere non solo l’attenzione necessaria per trattenerlo nella sfera conscio. Onde evitare che così come si è manifestato, possa poi ritrarsi ed inabissarsi nuovamente nelle profondità dell’inconscio, ma anche quella attenzione necessaria all’analisi postuma dell’affioramento in modo da renderlo oggetto di studio, svelarne gli arcani, e integrarlo così nella nostra parte cosciente.

Uno studio ovviamente non dialettico, non legato alle logiche dell’erudizione o della cultura, ma bensì profondo, sostanziale. Dove l’elemento in oggetto è posto al centro del cerchio meditativo, in modo da poterne di svelare i profondi legami e richiami nella nostra psiche, comprendere quali porte del profonde apra, ed utilizzarlo successivamente come una chiave per scendere o per salire lungo le estensioni spirituali del nostro essere. In altri lavori, ed altri ne seguiranno, abbiamo indicato come le chiavi angeliche o demoniache presenti in numerosi grimori o clavicole altro non sono strumenti evocativi di potenze sovrumane, cadendo così nella superstizione e nel fallimento, ma bensì simboli psicodinamici atti a metterci in contatto con elementi costituenti la nostra psiche, con quegli atavisimi ed archetipici su cui e da cui siamo modellati.

Ecco quindi la necessità di prestare attenzione a quando ci proviene in questi momenti di alternata coscienza, di espansione delle nostre attitudini di ascolto e visione, in modo tale da comprendere quali siano i nostri schemi sottili. Potremo così verificare il ripetersi di immagini (che io chiamo grandi chiavi), le quali rappresentano degli elementi portanti della nostra psiche, degli autentici architravi su cui si poggia tutta la nostra struttura. L’individuazione di essi, la loro collocazione nel centro focale della nostra indagine, le successive pratiche su di essi devono essere la nostra prospettiva di lavoro. Giungendo così a scoprire e considerare che il vero Titanismo è la conoscenza dell’uomo da parte dell’uomo.

Per approfondimenti: Sogno Consapevole, Emersioni Simboliche, Rappresentazione Astrale, Sogno Lucido ed Astrale, I Tre Mondi Astrali

   

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