René Guénon
La Pietra Angolare

 

 

Il simbolismo della «pietra angolare” nella tradizione cristia­na, sì basa su questo testo: «La pietra che i costruttori avevan gettato via è diventata la principale pietra d'angolo», o più esattamente «testa d'angolo» (“caput anguli”) [Salmo cxviii, 22; Matteo, XXI, 42; Marco, XII, 10; Luca, XX, 17]. Lo strano è che que­sto simbolismo sia il più delle volte mal compreso, per via di una confusione fatta comunemente fra la «pietra angolare” e la «pietra fondamentale” cui si riferisce quest'altro testo ancor più noto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non prevarranno su di essa» [Matteo, XVI, 18]. Tale confusione è strana, dicevamo, perché, dal punto di vista specificamente cristiano, essa porta di fatto a confondere san Pietro con Cristo stesso, poiché è quest'ultimo a essere designato espressamente come «pietra angolare», come mostra questo pas­so di san Paolo, che inoltre la distingue nettamente dalle «fon­damenta» dell'edificio: «Voi siete un edificio costruito sul fon­damento degli apostoli e dei profeti, di cui Gesù Cristo è la principale pietra d'angolo (“summo angulari lapide”), nel quale ogni edificio, costruito e legato in tutte le sue parti, si eleva in un tempio consacrato al Signore, per mezzo del quale voi siete entrati nella sua struttura (più letteralmente «costruiti assieme», “coedificamini”) per essere l'abitazione di Dio nello Spirito» [Epistola agli Efesini, II, 20‑22]. Se l'equivoco in questione fosse unicamente moderno, non sarebbe certo il caso di stupirsene oltre misura, ma sembra effettivamente che lo si incontri già in epoche in cui non è possibile attribuirlo a pura e semplice ignoranza del simbolismo; si è quindi condotti a chiedersi se in realtà non si sia piuttosto trattato, in origine, di una «sostituzione” intenzionale, giustificata dal ruolo di san Pietro come «sostituto» di Cristo (in latino “vicarius”, che corri­sponde in tal senso all'arabo Khalifah); se così fosse, questo modo di «velare” il simbolismo della «pietra angolare” sembrerebbe indicare che lo si riteneva contenere qualcosa di particolarmente misterioso, e si vedrà in seguito come una simile supposizione sia lungi dall'essere ingiustificata [La «sostituzione” è stata forse aiutata dalla somiglianza fonetica esistente fra il nome ebraico Kephas, che significa «pietra», e la parola greca Kephalé, «testa»; ma non c'è fra queste due parole alcun altro rapporto, e le fondamenta di un edi­ficio non possono evidentemente essere identificate con la sua «testa», cioè il suo vertice, il che equivarrebbe a rovesciare l'intero edificio; si potrebbe del resto do­mandarsi anche se questo «rovesciamento» non abbia una certa corrispondenza simbolica con la crocifissione di san Pietro a testa in giù]. Comunque sia, in questa identificazione delle due Pietre, anche dal punto di vista della semplice logica, c'è un'impossibilità che appare chiaramente se si esaminano con un po’ più d'attenzione i testi che abbiamo citato: la “pietra fondamentale” è quella posta per prima, all'inizio della costruzione di un edificio (e perciò viene anche chiamata «prima pietra») [Questa pietra dev'essere posta all'angolo nord‑est dell'edificio; noteremo a que­sto proposito che nel simbolismo di san Pietro è opportuno distinguere diversi aspetti o funzioni cui corrispondono diverse «posizioni», poiché d'altra parte, in quanto “janitor”, il suo posto è a occidente, ove si trova l'entrata di ogni chiesa normalmente orientata; inoltre, san Pietro e san Paolo sono anche rappresentati come le due «colonne» della Chiesa, e sono allora di solito raffigurati uno con le chiavi e l'altro con la spada, nell’atteggiamento di due “dwarapala”]; come si potrebbe dunque gettarla via nel corso della costruzione? Perché sia così, occorre al contrario che la «pietra angolare» sia tale da non poter trovare ancora il suo posto; e infatti, come vedremo, lo può trovare solo al momento del compimento dell'intero edificio, e così diventa realmente la «testa d'angolo».

In un articolo che abbiamo già segnalato [“Eckstein”, nella rivista «Speculum», gennaio 1939], Ananda Cooma­raswamy osserva che l'intenzione del testo di san Paolo è evidentemente di rappresentare Cristo come l'unico principio da cui dipende tutto l'edificio della Chiesa, e aggiunge che «il princi­pio di una cosa non si trova né in una delle sue parti né nella totalità delle sue parti, ma là dove tutte le parti sono ridotte a una unità senza composizione». La «pietra fondamentale» (foundation‑stone) può sì esser chiamata, in un certo senso, «pie­tra d'angolo» (corner‑stone) come si fa di solito, poiché essa è posta a un «angolo» (corner) dell'edificio [In questo studio saremo costretti a riferirci spesso ai termini «tecnici” inglesi, perché, appartenendo originariamente al linguaggio dell'antica massoneria operativa, sono stati per lo più conservati nei rituali della Royal Arch Masonry e dei gradi accessori che vi sono collegati, rituali di cui non esiste alcun equivalente in francese; si vedrà che alcuni di questi termini sono di traduzione abbastanza dif­ficile]; ma non è unica come tale, giacché l'edificio ha necessariamente quattro angoli; e, anche se si vuol parlare più particolarmente della «prima pietra», essa non differisce in nulla dalle pietre di base degli altri angoli, se non per la sua posizione [Secondo il rituale operativo, questa «prima pietra» è, come abbiamo detto, quella dell'angolo nord‑est; le pietre degli altri angoli sono poste successivamente secondo il senso del cammino apparente del sole, cioè in quest'ordine: sud‑est, sud‑ovest, nord‑ovest], e non se ne distingue né per la forma né per la funzione, essendo in definitiva solo uno fra quattro sostegni uguali tra loro; si potrebbe dire che una qualunque di queste quattro “corner‑stones” “riflette” in qual­che modo il principio dominante dell'edificio, ma non potrebbe assolutamente essere considerata il principio stesso [Questa «riflessione» è evidentemente in rapporto diretto con la sostituzione di cui abbiamo parlato]. Del resto, se proprio di questo si trattasse, non si potrebbe neppure parlare logicamente della «pietra angolare», poiché, di fatto, ce ne sa­rebbero quattro; essa dev'essere quindi qualcosa di essenzialmente diverso dalla “corner‑stone” intesa nel senso corrente di «pietra fondamentale», e queste due pietre hanno in comune solo il carattere di appartenere a un medesimo simbolismo «costruttivo».

Abbiamo appena accennato alla forma della «pietra angolare», ed è questo effettivamente un punto particolarmente importan­te: proprio per il fatto che questa pietra ha una forma speciale, che la differenzia da tutte le altre, non solo essa non può trovare posto nel corso della costruzione, ma i costruttori non possono nemmeno capire quale sia la sua destinazione; se lo capissero è evidente che non la getterebbero via, e si accontenterebbero di serbarla fino alla fine; ma invece si chiedono «cosa faranno della pietra», e, non potendo trovare una risposta soddisfacente alla domanda, decidono, credendola inutilizzabile, di «gettarla fra i rifiuti” (to heave it over among the rubbish) [L'espressione “to heave over” è abbastanza singolare, e apparentemente inusi­tata in questo senso nell'inglese moderno; essa sembrerebbe poter significare «sol­levare» o «elevare», ma, dal resto della frase citata, risulta chiaro che qui si ap­plica proprio al gesto del «gettar via» la pietra]. La destinazione di questa pietra può essere compresa soltanto da un'altra catego­ria di costruttori, che a questo stadio non intervengono ancora: sono coloro i quali sono passati «dalla squadra al compasso», e, con questa distinzione, bisogna naturalmente intendere quella delle forme geometriche che i due strumenti servono rispettiva­mente a tracciare, cioè la forma quadrata e la forma circolare, che simboleggiano in genere, com'è noto, la terra e il cielo; qui, la forma quadrata corrisponde alla parte inferiore dell'edificio, e la forma circolare alla sua parte superiore, che, in tal caso, deve perciò essere costituita da una cupola o una volta [Tale distinzione è, in altri termini, quella fra la Square Masonry e la Arch Masonry, che per i loro rispettivi rapporti con la «terra» e il «cielo», o con le parti dell'edificio che li rappresentano, sono messe qui in corrispondenza con i «pic­coli misteri» e i «grandi misteri»]. Infatti, la «pietra angolare «è in realtà proprio una «chiave di volta» (keystone); A. Coomaraswamy dice che, per rendere il vero si­gnificato dell'espressione «è diventata la testa dell'angolo» (has become the head of the corner) si potrebbe tradurla con “has become the keystone of the arch”, il che è perfettamente esatto; e così questa pietra, tanto per la sua forma quanto per la sua posi­zione, è effettivamente unica nell'intero edificio, come dev'esserlo per poter simboleggiare il principio da cui tutto dipende. Stupirà forse che questa rappresentazione del principio trovi così il suo posto solo alla fine della costruzione; ma si può dire che que­st'ultima, nel suo complesso, è ordinata in rapporto a quella (quel che san Paolo esprime dicendo che «in essa tutto l'edificio si eleva in un tempio consacrato al Signore»), e in essa trova finalmente la sua unità; anche qui c'è un'applicazione dell'analogia, che abbiamo già spiegata in altre occasioni, fra il «primo” e l’»ultimo», o il «principio» e la «fine»: la costruzione rappresenta la manifestazione, nella quale il principio appare solo come il compimento finale; e proprio in virtù di questa analogia la «prima pietra», o la «pietra fondamentale», può esser considerata come un riflesso dell’»ultima pietra», che è la vera «pietra angolare”.

L'equivoco implicito in un'espressione quale “corner‑stone” pog­gia in definitiva sui diversi sensi possibili della parola «angolo»; Coomaraswamy osserva che in varie lingue le parole che signifi­cano «angolo» sono spesso in rapporto con altre che significano «testa» ed «estremità»: in greco, “kephalé”, «testa», e in archi­tettura «capitello» (capitulum, diminutivo di caput) può applicarsi solo a un vertice; ma “akros” (sanscrito “agra”) può indicare un'estremità in qualsiasi direzione, cioè, nel caso di un edificio, il vertice o uno dei quattro «angoli” (il francese “coin” è etimo­logicamente imparentato con il greco “gónia”, «angolo»), per quanto spesso si applichi di preferenza al vertice. Ma la cosa più importante, dallo speciale punto di vista dei testi sulla «pietra angolare” nella tradizione giudaico‑cristiana, è la considerazione della parola ebraica che significa «angolo»: questa parola è “pinnah”, e si trovano le espressioni “eben pinnah”, «pietra d'an­golo», e “rosh pinnah”, «testa d'angolo»; ma è particolarmente degno di nota che, in senso figurato, questa stessa parola “pinnah” sia usata con il significato di «capo»: un'espressione che designa i «capi del popolo» (pinnoth ha‑am) è tradotta letteralmente nella Vulgata con “angulos populorum” [1 Samuele, XIV, 38; la versione greca dei Settanta usa anch'essa la parola “gónia”]. Un «capo» etimologica­mente è una «testa» (caput), e “pinnah” si ricollega per la sua radice a “pne”, che significa «faccia»; lo stretto rapporto fra queste idee di «testa» e di «faccia» è evidente, e, inoltre, il termine «faccia» appartiene a un simbolismo, molto diffuso che merite­rebbe di essere esaminato a parte [Cfr. A.‑M. Hocart, “Les Castes”, pp. 151‑154, a proposito dell'espressione «fac­ce della terra» usata nelle isole Figi per designare i capi. La parola greca “Karai” nei primi secoli dei cristianesimo, serviva a designare le cinque «facce» o «teste della Chiesa», cioè i cinque principali patriarchi, le cui iniziali riunite forma­vano precisamente questa parola: Costantinopoli, Alessandria, Roma, Antiochia, Gerusalemme]. Un'altra idea connessa è quella di «punta» (che si trova nel sanscrito “agra”, nel greco “akros”, nel latino “acer” e “acies”); abbiamo già parlato del simbolismo delle punte a proposito di quello delle armi e delle corna [Si può osservare che la parola inglese “corner” è evidentemente derivata da “corno»], e abbiamo visto come esso si riferisca all'idea di estremità, ma più in parti­colare all'estremità superiore, cioè il punto più elevato o il ver­tice; tutti questi accostamenti non fanno quindi che confermare quanto abbiamo detto sulla posizione della «pietra angolare» in cima all'edificio: anche se ci sono altre «pietre angolari” nel senso più generale dell'espressione [In tal senso, non ci sono solo quattro «pietre angolari» alla base, ma anche a qualsiasi livello della costruzione; e queste pietre sono tutte della stessa forma co­mune, rettilinea e rettangolare (cioè tagliate “on the square”, avendo del resto la pa­rola “square” il duplice senso di «squadra» e di «quadrato”), contrariamente a quanto avviene nel caso unico della “keystone”], quella sola è realmente «la pietra angolare” per eccellenza.

Troviamo altre indicazioni interessanti nei significati della parola araba “rukn”, «angolo»: questa parola, poiché designa le estremità di una cosa, cioè le sue parti più remote e di conse­guenza più nascoste (“recondita” e “abscondita”, si potrebbe dire in latino), assume talora il significato di «segreto» o di «mistero»; e, sotto questo profilo, il suo plurale “arkan” è da avvicinare al latino “arcanum”, che ha lo stesso senso, e con cui presenta una sor­prendente somiglianza; del resto, almeno nel linguaggio degli ermetisti, l'uso del termine «arcano” è stato certamente influen­zato direttamente dal termine arabo in questione [Potrebbe essere interessante cercare se può esservi un'affinità etimologica reale fra le due parole araba e latina, anche nell'uso antico di quest'ultima (per esem­pio nella “disciplina arcani” dei cristiani dei primi secoli) o se si tratta soltanto di una «convergenza” prodottasi ulteriormente fra gli ermetisti del Medioevo]. Inoltre, “rukn” ha anche il senso di «base» o di «fondamento», il che ci ricon­duce alla “corner‑stone” intesa come «pietra fondamentale»; nella terminologia alchimistica, “el‑arkan”, quando questa designazione è impiegata senz'altra precisazione, sono i quattro elementi, cioè le «basi” sostanziali del nostro mondo, che sono così assimilati alle pietre di base dei quattro angoli di un edificio, poiché è su di essi che in certo modo è costruito tutto il mondo corporeo (rappresentato anche dalla forma quadrata) [Questa assimilazione degli elementi ai quattro angoli di un quadrato è natu­ralmente in rapporto anche con la corrispondenza che esiste fra questi stessi ele­menti e i punti cardinali]; e con questo appro­diamo direttamente al simbolismo che stiamo esaminando. In­fatti, non ci sono solo questi quattro “arkan” o elementi «basici», ma c'è anche un quinto “rukn”, il quinto elemento o la «quintes­senza» (ossia l'etere, “el‑athir”); quest'ultimo non è sullo stesso “piano» degli altri, poiché non è semplicemente una base come quelli, bensì il principio stesso di questo mondo [Sarebbe sullo stesso piano (nel suo punto centrale) se tale piano rappresentasse uno stato di esistenza tutto intero; ma non è questo il nostro caso, poiché tutto l'insieme dell'edificio è un'immagine del mondo. Osserviamo a questo pro­posito che la proiezione orizzontale della Piramide è costituita dal quadrato di base con le sue diagonali, poiché gli spigoli laterali si proiettano secondo queste ultime e il vertice nel loro punto d'incontro, cioè al centro del quadrato]; sarà dunque rappresentato dal quinto «angolo» dell'edificio, che è il vertice; e a questo «quinto», che è in realtà il «primo», conviene pro­priamente l'appellativo di angolo supremo, di angolo per eccel­lenza o «angolo degli angoli» (rukn el‑arkan), perché in esso la molteplicità degli altri angoli è ridotta all'unità [Nel senso di «mistero» che abbiamo indicato sopra, “rukn el‑arkan” equivale a “sirr el‑asrar”, rappresentato, come abbiamo spiegato altrove, dalla punta superiore della lettera “alif”: l'alif stesso raffigura l’»Asse del Mondo», e tutto ciò, come si vedrà ancor meglio in seguito, corrisponde esattamente alla posizione della “key­stone»]. Si può inol­tre notare che la figura geometrica ottenuta unendo questi cin­que angoli è quella di una piramide a base quadrangolare: gli spigoli laterali della piramide emanano dal suo vertice come altrettanti raggi, così come i quattro elementi comuni, rappresen­tati dalle estremità inferiori degli spigoli, procedono dal quinto e sono da esso prodotti; e sempre secondo questi spigoli, che abbiamo intenzionalmente assimilato a dei raggi per questa ra­gione (e anche in virtù del carattere «solare» del punto da cui sono usciti, in accordo con quanto abbiamo detto a proposito dell’»occhio” della cupola), la «pietra angolare» del vertice si “riflette” in ciascuna delle «pietre fondamentali” dei quattro angoli della base. Infine, c'è in quanto è stato appena detto la chiarissima indicazione di una correlazione esistente fra il sim­bolismo alchimistico e il simbolismo architettonico, che si spiega d'altronde con il loro comune carattere «cosmologico»; anche questo è un punto importante, sul quale dovremo tornare a pro­posito di altri accostamenti dello stesso ordine.

 

La «pietra angolare», presa nel suo vero significato di pietra del vertice», è designata in inglese sia come “keystone”, sia come “capstone” (che a volte si trova anche scritto “capestone”), sia come “copestone” (o “coping‑stone”); la prima di queste tre parole è facil­mente comprensibile, essendo l'esatto equivalente del termine francese “clef de voute”, «chiave di volta» (o d'arco, poiché la parola in realtà può applicarsi esattamente alla pietra che forma il vertice sia di un arco sia di una volta); ma le altre due richie­dono maggiori spiegazioni. In “capstone”, la parola “cap” è eviden­temente il latino “caput», «testa», il che ci riconduce alla designazione di questa pietra come “testa dell'angolo»; è propriamen­te la pietra che “achève”, cioè compie o «corona» un edificio; ed è anche un capitello, il quale è allo stesso modo il «coronamen­to» di una colonna [Il termine di «coronamento» è da accostare alla designazione di «corona» della testa, per via dell'assimilazione simbolica, precedentemente segnalata, del­l’“occhio» della cupola con il Brahma‑randhra; è noto d'altronde che la corona, come le corna, esprime essenzialmente l'idea di elevazione. È anche opportuno no­tare, a questo proposito, che il giuramento del grado di Royal Arch contiene un'al­lusione alla «corona del cranio» (the crown of the skull), che suggerisce un rap­porto fra l'apertura di quest’ultima (come nei riti di trapanazione postuma) e la rimozione (removing) della “keystone”; del resto, in genere, le cosiddette «penalità” espresse nei giuramenti dei vari gradi massonici, come pure i segni che vi cor­rispondono, si riferiscono in realtà ai vari centri sottili dell'essere umano]. Abbiamo appena parlato di “achèvement”, «compimento», e le due parole “cap” e “chef”, «capo», sono, in effetti, etimologicamente identiche [Nel significato della parola “achever”, «compiere» o dell'antica espressione equi­valente “mener à chef”, “portare a capo», l'idea di «testa» è associata a quella di «fine», il che risponde bene alla posizione della «pietra angolare», sia come «pietra del vertice», sia come «ultima pietra» dell'edificio. Menzioneremo ancora un altro termine derivato da “chef”: lo “chevet” della chiesa, in fondo dietro l'altar maggiore, è la sua «testa», cioè l'estremità orientale in cui si trova l'abside, la cui forma se­micircolare corrisponde, nel piano orizzontale, alla cupola in elevazione verticale, come abbiamo spiegato in altra occasione]; la “capstone” è dunque il «capo” dell'edificio o dell’»opera», e per via della sua forma speciale che richiede, per tagliarla, particolari conoscenze o capa­cità, essa è anche, nello stesso tempo, un “chef‑d'oeuvre”, «capo­lavoro», nel senso che quest'espressione ha nel “compagnonnage” [La parola «opera» è usata sia in architettura sia in alchimia, e si vedrà che non senza ragione facciamo questo accostamento: in architettura, il compimento dell'opera è la «pietra angolare»; in alchimia è la «pietra filosofale»]; grazie a essa l'edificio è completamente terminato, o, in altri termini, è finalmente condotto alla «perfezione» [Si deve osservare che in certi riti massonici i gradi che corrispondono più o meno esattamente alla parte superiore della costruzione di cui parliamo qui (diciamo più o meno esattamente, perché talora in tutto questo c'è un po’ di confusione) sono designati precisamente con il nome di «gradi di perfezione». D'altra parte, la parola «esaltazione», che designa l'accesso al grado di Royal Arch, può essere intesa come un'allusione alla posizione elevata della “keystone”].

In quanto al termine “copestone”, la parola “cope” esprime l'idea di «coprire»; ciò si spiega per il fatto, non solo che la parte superiore dell'edificio è propriamente la sua «copertura», ma anche, e diremmo soprattutto, che questa pietra si pone in modo tale da coprire l'apertura del vertice cioè l’»occhio” della cupola o della volta, di cui abbiamo già parlato in precedenza [Per la sistemazione di questa pietra, si trova l'espressione “to bring forth the copestone”, il cui senso è, ancora una volta, abbastanza poco chiaro a prima vista: “to bring forth” significa letteralmente «produrre» (nel senso etimologico del latino “producere”) o «portare alla luce»; siccome la pietra è già stata gettata via prece­dentemente nel corso della costruzione, non può trattarsi, nel giorno del compi­mento dell'opera, della sua «produzione» nel senso di «confezione»; ma, poi­ché essa è stata seppellita «fra i rifiuti», si tratta di liberarla, e quindi di ripor­tarla alla luce, per porla in evidenza al vertice dell'edificio, in modo che essa divenga la «testa dell'angolo»; e così “to bring forth” si contrappone qui a “to heave over”]. È quindi insomma, in questo senso, l'equivalente di una “roof‑plate”, come osserva Coomaraswamy, il quale aggiunge che questa pie­tra può essere considerata la terminazione superiore o il capitello del «pilastro assiale» (in sanscrito “skambha”, in greco “stauros”) [“Stauros” significa anche «croce», ed è noto che nel simbolismo cristiano la cro­ce è assimilata all’»Asse del Mondo»; Coomaraswamy accosta questa parola al san­scrito “sthavara”, “fermo» o «stabile», il che ben si addice in effetti a un pila­stro, e inoltre si accorda esattamente con il significato di «stabilità» dato all'unione dei nomi delle due colonne del Tempio di Salomone]; tale pilastro, come abbiamo già spiegato, può anche non essere materialmente rappresentato nella struttura dell'edificio, ma ne costituisce nondimeno la parte essenziale, quella intorno a cui si dispone tutto l'insieme. Il carattere di vertice del «pilastro assiale», presente in modo solo «ideale», è indicato in una ma­niera particolarmente evidente nel caso in cui la «chiave di volta» scende in forma di «pendente» che si prolunga all'in­terno dell'edificio, senza essere visibilmente sostenuto da nulla nella sua parte inferiore [Il vertice del «pilastro assiale» corrisponde, come abbiamo detto, alla punta superiore dell'alif nel simbolismo arabo delle lettere: ricordiamo anche, a propo­sito dei termini “keystone” e «chiave di volta», che lo stesso simbolo della chiave ha un significato «assiale»]; tutta la costruzione ha il suo principio in questo pilastro, e tutte le sue varie parti vengono finalmente a unificarsi nel suo «fastigio», che è il vertice del pilastro, e la “chiave di volta» o la «testa dell'angolo” [Coomaraswamy ricorda l'identità simbolica del tetto (e più in particolare quan­do è a forma di volta) e del parasole; aggiungeremo anche, a questo proposito, che il simbolo cinese del «Grande Estremo» (Tai‑ki) designa letteralmente un «fasti­gio» o un «tetto»: è propriamente il vertice del «tetto del mondo»].

La reale interpretazione della «pietra angolare” come «pietra del vertice” sembra di fatto esser stata conosciuta abbastanza generalmente nel Medioevo, come mostra in particolare un'illustra­zione dello “Speculum Humanae Salvationis” che riproduciamo qui (fig. 14) [Manoscritto di Monaco, cml. 146, fol. 35 (Lutz e Perdrizet, II, tav. 64): la foto­grafia ci è stata trasmessa da A.K. Coomaraswamy; essa è stata riprodotta nel­l'«Art Bulletin”, XVII, p. 450 e fig. 20, da Erwin Panofsky, che considera questa illustrazione come la più vicina al prototipo, e parla, a questo proposito, del “lapis in caput anguli” come di una “keystone”; si potrebbe anche dire, secondo le no­stre precedenti spiegazioni, che questa figura rappresenta “the bringing forth of the copestone”]; quest'opera era molto diffusa, giacché ne esistono anco­ra parecchie centinaia di manoscritti; vi si vedono due muratori che tengono una cazzuola in una mano, e con l'altra sostengono la pietra che si apprestano a porre al vertice dell'edificio (appa­rentemente la torre di una chiesa di cui questa pietra deve com­pletare la sommità), il che non lascia alcun dubbio sul suo si­gnificato. È opportuno notare, sempre a proposito di questa figura, che la pietra in questione, in quanto «chiave di volta», o in qualunque altra funzione similare a seconda della struttura dell'edificio che è destinata a «coronare», non può, per la sua stessa forma, essere posta che dall'alto (senza di che, del resto, è evidente che potrebbe cadere all'interno dell'edificio); per questo, essa rappresenta in certo modo la «pietra discesa dal cielo” espressione che si applica benissimo a Cristo [Ci sarebbe un accostamento da fare al riguardo tra la «pietra discesa dal cielo» e il «pane disceso dal cielo», poiché vi sono dei rapporti simbolici notevoli fra pietra e pane; ma questo esula dall'argomento del presente studio; in ogni caso, la «discesa dal cielo» rappresenta naturalmente l'“avatarana”], e che ricorda pure la pietra del Graal (il “lapsit exillis” di Wolfram von Eschenbach, che si può interpretare come “lapis ex coelis”) [Cfr. anche la pietra simbolica dell'“Estoile Internelle”, di cui ha parlato Char­bonneau‑Lassay, e che è, come lo smeraldo del Graal, una pietra sfaccettata; tale pietra, nella coppa ove è posta, corrisponde esattamente al «gioiello nel loto» (“mani padme”) del buddismo mahayanico]. E c'è ancora un altro punto importante da segnalare: Erwin Panofsky ha osservato che nell'illustrazione di cui stiamo trattando la pietra presenta l'aspetto di un oggetto a forma di diamante (il che la avvicina ancora alla pietra del Graal, dal momento che secondo le descrizioni anch'essa era sfaccettata); tale questione merita di essere esaminata più da vicino, poiché, sebbene simile rappre­sentazione sia ben lungi dall'essere il caso più generale, essa si riferisce ad alcuni lati del complesso simbolismo della «pietra angolare» diversi da quelli che abbiamo studiato sin qui, ma non meno interessanti per metterne in risalto i legami con tutto l'insieme del simbolismo tradizionale.

Tuttavia, prima di giungervi, ci resta da chiarire un problema accessorio: abbiamo appena detto che la «pietra del vertice» può anche non essere in tutti i casi una «chiave di volta», e, infatti, lo è soltanto in una costruzione la cui parte superiore sia a forma di cupola; in ogni altro caso, per esempio quello di un edificio sormontato da un tetto appuntito o a forma di tenda, c'è ugual­mente un’“ultima pietra» che, posta al vertice, svolge la stessa funzione della «chiave di volta» e, di conseguenza, le corrisponde anche dal punto di vista simbolico, ma senza che la si possa co­munque chiamare con questo nome; e bisogna dire altrettanto del caso speciale della «piramidetta», cui abbiamo già accennato in altra occasione. Dev'essere ben chiaro che nel simbolismo dei costruttori medioevali, che si fonda sulla tradizione giudaico‑cri­stiana ed è in particolar modo collegato alla costruzione del Tem­pio di Salomone [Ne fanno fede le «leggende» del “compagnonnage” in tutte le sue ramificazioni non meno delle «sopravvivenze» dell'antica massoneria operativa che abbiamo qui considerato] in quanto suo «prototipo», si tratta sempre, per quanto concerne la «pietra angolare», propriamente di una «chiave di volta»; e la forma esatta del Tempio di Salomone, se ha potuto far nascere discussioni dal punto di vista storico, comunque non era certamente quella di una piramide; sono fatti di cui bisogna assolutamente tener conto nell'interpretare i testi biblici che si riferiscono alla «pietra angolare» [Non potrebbe quindi assolutamente trattarsi, come hanno preteso alcuni, di un’allusione a un incidente capitato durante la costruzione della «Grande Pira­mide», in seguito al quale essa sarebbe rimasta incompiuta, ipotesi del resto assai dubbia di per se stessa oltre che problema storico probabilmente insolubile; inol­tre, questa stessa «incompiutezza» sarebbe in diretto contrasto con il simbolismo secondo cui la pietra gettata via prende infine il suo posto eminente come «testa d'angolo»]. La «pirami­detta», cioè la pietra che forma la punta superiore della piramide, non è affatto una «chiave di volta»; è tuttavia il «coronamento” dell'edificio, e si può osservare che ne riproduce in scala ridotta l'intera forma, come se l'insieme della struttura fosse così sinte­tizzato in quell'unica pietra; l'espressione «testa dell'angolo», nel senso letterale, le conviene di fatto, e così pure il senso figurato del nome ebraico dell’»angolo» per designare il «capo», tanto più che la piramide, che parte dalla molteplicità della base per terminare gradualmente nell'unità del vertice, è spesso presa come simbolo di una gerarchia. D'altra parte, secondo quanto abbiamo spiegato in precedenza a proposito del vertice e dei quattro angoli della base, in connessione con il significato della parola araba “rukn”, si potrebbe dire che la forma della piramide è in certo qual modo contenuta implicitamente in ogni struttura architettonica; il simbolismo «solare» di tale forma da noi indicato altrove, si ritrova d'altronde espresso in modo più particolare nella «piramidetta», come mostrano chiaramente varie de­scrizioni archeologiche citate da Coomaraswamy: il punto centra­le o il vertice corrisponde al sole stesso, e le quattro facce (ciascu­na delle quali è compresa fra due «raggi» estremi che delimitano l'ambito che essa rappresenta) ad altrettanti aspetti secondari del sole stesso, in rapporto con i punti cardinali verso cui le facce rispettivamente sono volte. Con tutto ciò, è pur sempre vero che la «piramidetta” è solo un caso particolare di «pietra angolare” e la rappresenta soltanto in una forma tradizionale specifica, quella degli antichi Egizi; per corrispondere al simbo­lismo giudaico‑cristiano di questa stessa pietra, che appartiene a un'altra forma tradizionale, sicuramente molto diversa da quella, le manca un carattere essenziale, quello cioè di essere una “chiave di volta».

Detto questo, possiamo tornare alla raffigurazione della “pietra angolare» sotto forma di diamante: A. Coomaraswamy, nell'ar­ticolo al quale ci siamo riferiti, parte da un'osservazione che è stata fatta a proposito della parola tedesca “Eckstein”, che ha preci­samente sia il senso di «pietra angolare» sia quello di «dia­mante» [Stoudt, “Consider the lilies, how they grow”, a proposito del significato di un motivo ornamentale a forma di diamante, spiegato da scritti in cui si parla di Cristo come dell'Eckstein. Il duplice senso di questa parola si spiega verosimil­mente, dal punto di vista etimologico, con il fatto che la si può intendere sia co­me «pietra d'angolo» sia come «pietra ad angoli», cioè sfaccettata; ma questa spiegazione, beninteso, non toglie nulla al valore dell'accostamento simbolico indicato dall'unione di questi due significati in una sola parola]; e ricorda in proposito i significati simbolici del “vajra”, che abbiamo già a diverse riprese esaminati: in linea generale, la pietra o il metallo che era considerato il più duro o il più brillante è stato preso in varie tradizioni come «simbolo di indi­struttibilità, di invulnerabilità, di stabilità, di luce e di immor­talità»; e, in particolare, queste qualità vengono molto spesso attribuite al diamante. L'idea di «indistruttibilità” o di «indivi­sibilità» (che sono strettamente legate ed espresse in sanscrito dalla stessa parola “akshara”) si addice evidentemente alla pietra che rappresenta il principio unico dell'edificio (essendo la vera unità essenzialmente indivisibile); quella di «stabilità», che nel­l'ordine architettonico si applica propriamente a un pilastro, conviene anch'essa a tale pietra in quanto costituisce il capitello del «Pilastro assiale», che simboleggia «l’»Asse del Mondo»; e quest'ultimo, che Platone, in particolare, descrive come un «asse di diamante», è d'altra parte anche un «pilastro di luce» (come simbolo di Agni e come «raggio solare”); a maggior ragio­ne quest'ultima qualità si applica (“eminentemente», sarebbe il caso di dire) al suo «coronamento», che rappresenta la fonte stes­sa da cui esso emana in quanto raggio luminoso [Il diamante grezzo ha naturalmente otto angoli, e il palo sacrificale (yupa) dev'essere fatto “a otto angoli» (ashtashri) per raffigurare il “vajra” (inteso qui soltanto nell'altro suo senso di «fulmine»); e la parola pali “attansa”, letteralmente “a otto angoli», significa sia “diamante» sia «pilastro»]. Nel simbolismo indù e buddistico, tutto ciò che ha un significato «centrale» o “assiale» è generalmente assimilato al diamante (per esempio in espressioni come “vajrasana”, «trono di diamante»); ed è facile rendersi conto che tutte queste associazioni fanno parte di una tradizione che si può dire veramente universale.

Non è ancora tutto: il diamante è considerato «la pietra pre­ziosa» per eccellenza; ora questa «pietra preziosa» è anche, in quanto tale, un simbolo di Cristo, che è qui identificato con l'al­tro suo simbolo, la «pietra angolare»; o, se si preferisce, i due simboli sono così riuniti in uno solo. Si potrebbe dire allora che questa pietra, in quanto rappresenta un “compimento” o una «realizzazione» [Dal punto di vista «costruttivo», è la «perfezione» della realizzazione del piano dell'architetto; dal punto di vista alchimistico, è la «perfezione» o la me­ta ultima della «Grande Opera»; e vi è una corrispondenza esatta fra l'una e l'altra], è nel linguaggio della tradizione indù un “chintamani”, che equivale all'espressione alchimistica occidentale di «pietra filosofale» [Il diamante tra le pietre o l'oro tra i metalli sono quel che c'è di più prezioso, e hanno entrambi un carattere «luminoso» e «solare»; ma il diamante, come la “pietra filosofale», alla quale è qui assimilato, è considerato più prezioso ancora dell'oro]; ed è assai significativo a tale riguardo che gli ermetisti cristiani parlino spesso di Cristo come della vera “pietra filosofale», non meno che come della «pietra angolare» [Il simbolismo della «pietra angolare» si trova espressamente menzionato, ad esempio, in vari passi delle opere ermetiche di Robert Fludd, citati da A. E. Wai­te, “The Secret Tradition in Freemasonry”, pp. 27‑28; bisogna dire del resto che questi testi sembrano contenere la confusione con la «pietra fondamentale» di cui abbiamo parlato all'inizio; e quel che l'autore che li riferisce dice da parte sua in­torno alla «pietra angolare» in molti passi dello stesso libro non è veramente adat­to a illuminare il problema, ma può solo contribuire, piuttosto, a mantenere tale confusione]. Siamo così ricondotti a quanto dicevamo in precedenza, a pro­posito dei due sensi nei quali si può intendere l'espressione araba “rukn el‑arkan”, sulla corrispondenza esistente fra il simbolismo architettonico e quello alchimistico; e, per terminare con un'osservazione di portata generale questo studio già lungo, ma certamente ancora incompleto, dato che l'argomento è di quelli che sono quasi inesauribili, possiamo aggiungere che tale corrispon­denza è in fondo solo un caso particolare di quella che similmente esiste, per quanto in modo forse non sempre così evidente, fra tutte le scienze e tutte le arti tradizionali, poiché queste sono tutte, in realtà, altrettante espressioni e applicazioni diverse delle stesse verità di ordine principiale e universale.

 

 

   

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