Il Girasole

di Barbara Spadini

Il Mito

 

   

(Helianthus annus)

 

Non avessi mai visto il sole

avrei sopportato l'ombra

ma la luce ha aggiunto al mio deserto

una desolazione inaudita.

(Emily Dickinson)

 

 

PORTAMI IL GIRASOLE

Portami il girasole ch'io lo trapianti

nel mio terreno bruciato dal salino,

e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti

del cielo l'ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,

si esauriscono i corpi in un fluire

di tinte: queste in musiche. Svanire

è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce

dove sorgono bionde trasparenze

e vapora la vita quale essenza;

portami il girasole impazzito di luce.

(E. Montale)

 

Il girasole  proviene dall’antico Perù e certamente era già coltivato fin dal 1000 a.C.:  esso fu  simbolo della divinità solare presso le civiltà precolombiane, di quella Inca (XIII-XVI secolo) dell’altipiano andino, a rappresentare  la “casta” delle sacerdotesse, riprodotto in oro nei templi, scoperto nel 1532 dallo spagnolo Francisco Pizarro che conquistò il loro Impero e di quella Azteca (XIV-XVI secolo), come mostrano gli antichi corredi rituali rinvenuto nel corso di  scavi archeologici in Sudamerica.

Già all'inizio del XVI secolo furono importati in Europa i suoi semi  e, da qui, il simbolo solare divenne un utile e commestibile olio.

I Greci non conoscevano quindi  il girasole, ma l’eliotropio certamente sì: nella mitologia greca, come riportano le Metamorfosi ovidiane, la ninfa Clizia si innamorò perdutamente del divino Apollo, scrutando per ore ed ore il suo amato alla guida  del carro  nel cielo. Consunta d’amore, per intercessione e premio di Apollo, venne trasformata in un fiore fedele, perennemente rivolto alla luce, ad immortalare i valori della costanza e dell’ adorazione come doni gratuiti.

Quasi tutti i fiori di girasole raccolti   in un campo puntano  ad Est, ove  l’astro sorge. Già in  bocciolo mostrano questa forma di  eliotropismo, da Est ad Ovest durante il giorno, tornando ad  orientarsi verso Est fin dal  primo crepuscolo. Questo  movimento è causato  da cellule  dette:”motrici del pulvino”: il pulvino è  un segmento flessibile dello stelo, sotto il bocciolo, capace di innescare un meccanismo legato ad un ormone,  l'auxina. 

Quando il girasole fiorisce, raggiungendo la maturità, lo stelo si blocca in direzione Est: per questo motivo i girasoli fioriti non sono più eliotropici, ma restano fissi, quasi  a “guardare” il sole.

Come si accennava, questo fiore non autoctono, oggi simbolo della città giapponese di Kitakyushu ed anche dello stato del Kansas, era considerato da tutte le popolazioni d’America come fiore sacro oltre che  eccellente panacea .

In Occidente diventa invece topos nell’arte: già in due quadri dal  fiammingo Anthony Van Dyck (1599-1641), eccelso  ritrattista barocco, il nostro fiore  compare nell’ ‘Autoritratto con un girasole’ (del 1633) ove il pittore mostra la collana d’oro che re Carlo I gli aveva donato nel  nominarlo “Sir” e primo pittore di corte. Il girasole che egli  indica con un dito è rappresentazione del  rapporto  fra il re e il suo vassallo, un rapporto-satellite, pari a quello del capolino (così si chiama tecnicamente la corolla del nostro fiore giallo) che  segue, fedele  sempre, il percorso del sole.

 Nel ‘Ritratto di Sir Kenelm Digby’ (datato forse 1635), il girasole rappresenta tanto la imperitura  devozione del nobile committente verso la consorte, defunta anni prima probabilmente avvelenata, quanto   la rinnovata fedeltà di questi alla Chiesa Cattolica, nonostante quella dolorosa prova .

Apprezzato dal re “Sole” Luigi XIV di Francia, divenne poi  uno dei simboli dell’età vittoriana, disegnato su stoffa, tappeti e arazzi, inciso su legno, forgiato in monili e decorazioni metalliche.

Oscar Wilde, prendendolo  a metafora del movimento estetico, era solito portarlo all’occhiello; esso  divenne anche il fiore- ossessione di Vincent van Gogh, che ne lasciò alcune splendide immagini pennellate in vivide  nature morte, composte di gialli girasoli nel vaso, quasi prigionieri di luce  un po’ tristi.

 I suoi girasoli compongono  una serie di dipinti, precisamente undici, ad olio su tela, realizzati tra 1888 e il 1889 nei suoi soggiorni tra Parigi ed Arles e sono  fra i suoi soggetti prediletti. Il primo dipinto e’ :” Vaso con dodici girasoli”, ora visibile  alla National Gallery di Londra.  I dipinti in successione mostrano girasoli nelle varie fasi di crescita, dal bocciolo all’appassimento, in una scala cromatica di giallo mai sperimentata prima d’ allora.

 Il quadro dei girasoli realizzato nel 1888 resta a testimoniare la vivacità del pittore in quel periodo dovuta all’attesa della visita  di Paul Gauguin ed ideato per decorare la  “Casa Gialla” di Arles.

 Gauguin ricambiò con il suo :”Ritratto di Vincent Van Gogh mentre dipinge Girasoli”, del1888.

Con i girasoli dipinti, Van Gogh avviò una vera e propria evoluzione tematica e cromatica nell’arte, ispirando anche il campo della decorazione, creando una tendenza  stilistica innovativa  nell’oggettistica e nell’arredamento (cartoline, poster, tazze, tovaglie, tendaggi, cancelleria). Questa fortunata moda ha messo radici, anche simboliche, nell’ambiente rurale ove il girasole divenne soprattutto decorazione per stoviglie ed utensili da cucina, poiché il suo colore caldo ben si rapportava al significato di “ nucleo” che questa stanza privata e familiare aveva ed ha tutt’oggi.

 Dipinse girasoli in due quadri  ( ‘Giardino con Girasoli’ del 1905-1906 e ‘I Girasoli’ del 1907) anche il pittore austriaco simbolista Gustav Klimt e - influenzato certamente da Van Gogh - anche il pittore contemporaneo messicano Diego Rivera (1886-1957), muralista famoso per la tematica sociale e il messaggio politico delle sue opere realizzate soprattutto su edifici pubblici, con  la: ‘Ragazza con girasoli’, a celebrare la tradizione e i valori contadini.

Il girasole entra anche  nel sociale e ancora da protagonista nel 2007, come fiore atto a ravvivare  l’ambiente urbano: in quell’anno, alcuni ‘giardinieri guerriglieri’, detti ‘contadini di Bruxelles’ , hanno concepito e realizzato  l’idea di piantare girasoli nei quartieri e  nei luoghi pubblici trascurati e spogli, come le aiuole e le banchine stradali.

Da quest’iniziativa è nata la: ‘Giornata Internazionale del Girasole dei Giardinieri di Guerriglia’ (International Sunflower  Guerrilla Gardening Day), celebrata da allora ogni  primo  Maggio di ogni anno e divenuta popolare nel Nord America, in alcune zone d’Europa e in Asia.

Utilizzato oggi  come  veicolo d’augurio di pronta guarigione per gli ammalati, di  felicitazione   per un   evento  speciale  che allude al raggiungimento di  un proposito ( una laurea, un lavoro ), esso è anche metafora  di  affetto e amore, tanto da sostituire spesso la più classica rosa nelle ricorrenze. E’ un fiore che allude all’orgoglio ed all’allegria, sempre latore di gioiosità.

I tanti accenni al girasole qui riportati sembrano conferire odiernamente a questo fiore una semplice e ben circoscritta simbologia, quella un po’ superficiale della generica solarità.

Eppure non è trascurabile, né deve esserlo, quanto si evince, pur indirettamente, dalla piccola poesia di Emily Dickinson,  la bianca poetessa simile ad un fantasma versata nell’antica Tradizione, che ci  parla- come una nuova Clizia- di un aspetto che, forse, l’iniziato, l’adepto, il cultore della Conoscenza o il saggio eremita ben sapranno collegare ad una solarità meno immediata e meno contagiante d’allegria e vitalità, ma terribilmente e, forse, pesantemente  legata a quell’indagine sul sé interiore che  conduce inevitabilmente all’Essere Supremo, fonte di ogni sapere e di ogni impulso alla trasformazione, di ogni dubbio e di ogni certezza, di ogni azione e di ogni reazione, all’interno di una vitale e complessa ricerca che rendono l’Uomo un viandante assetato, un viator la cui sete non si placa mai.

La ninfa Clizia cercando il Sole, immobile il suo sguardo al cielo, tanto assomiglia ad una donna che ritroviamo nel vangelo  di  Luca 10, 38-42:

 Mentre era in cammino con i suoi discepoli Gesù entrò in un villaggio e una donna che si chiamava Marta, lo ospitò in casa sua. Marta si mise subito a preparare per loro, ed era molto affaccendata. Sua sorella invece, che si chiamava Maria, si era seduta ai piedi del Signore e stava ad ascoltare quel che diceva. Allora Marta si fece avanti e disse: "Signore, non vedi che mia sorella mi ha lasciata da sola a servire? Dille di aiutarmi! Ma il Signore rispose:” Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose. Una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore e nessuno gliela porterà via”

 

 

Ecco che Clizia - Maria, così nobile nella sua immobile ricerca del necessario per la vita, come il girasoli insegna, ci invita al “lasciar andare”, al “distacco”, alla contemplazione silenziosa, alla serafica via del non-affanno, alla benevola pacificazione con le nostre ansie e conflitti: essa ci esorta a pregare contemplando, o a contemplare pregando, a metterci in ascolto, a ricercare il bene nella vera conoscenza: la parola di Dio, la spiritualità, il silenzio immobile e fisso sul centro dell’Amore e della Conoscenza, illumina fortemente il cammino ed è sole radioso per l’agire : questa una prima considerazione sul nostro “cercare l’Est”.

Dalla poesia della Dickinson emerge, tuttavia, anche l’aspetto più oscuro e doloroso della scelta di vivere spirituale:

 Non avessi mai visto il sole

avrei sopportato l'ombra

ma la luce ha aggiunto al mio deserto

una desolazione inaudita.

L’amore per la vera conoscenza spinge l’uomo alla ricerca continua del meglio per sé, su di una via di trasformazione che perpetua ogni momento la consapevolezza più tremenda, quella dell’imperfezione che si misura con la perfezione di Dio.

Il disvelamento devastante del nostro deserto illuminato da questa consapevolezza,la stessa di Clizia, che amava il sole da lontano sapendo di non poterlo mai raggiungere, a volte ci fa rimpiangere il pietoso velo di Maya, quello dell’alibi, dell’autoassoluzione.

E  se  a volte ci sentiamo ritti, orgogliosi di noi sul lungo stelo che punta ad Est, come i capolini del girasole, così “in alto” rispetto ad altri fiori nel campo della vita, più spesso il conoscere ci arreca un dolore pungente: la nostalgica e consapevole certezza di essere e restare pellegrini in un deserto di luce.

E svanire in questa immensità di amore, conoscenza e Pensiero  è, per dirla come Montale:” la ventura delle venture”, un’avventura spirituale di enorme ma dolente valore.

   


Articolo pubblicato nella rivista LexAurea44, si prega di contattare la redazione per ogni utilizzo.

www.fuocosacro.com

[Home]