Il Graal

Paola Pisano


 

  Lo sfondo celtico

 

L’etimologia della parola GRAAL che viene indicata nella maggioranza dei testi è il termine latino medioevale gradalis, che significa “recipiente” – “vaso” – “piatto cavo” – “coppa”.

Sull’oggetto normalmente definito “calderone”, più che sul termine, si sono concentrati gli studi che portano al cuore della religione, o meglio, della visione del mondo dei Celti, in cui l’immagine simbolica di un recipiente con proprietà miracolose, in grado di produrre una grande quantità di alimenti, benefici, vantaggi di ogni genere e addirittura di ridare la vita, è variamente presente.

Miti del Galles conferiscono a questo oggetto il potere di dare, a chi ne beveva il contenuto in esso preparato, il potere di udire tutto ciò che veniva detto nel mondo e di conoscere ogni segreto del passato e del futuro; o di ottenere, se immersi nel liquido in esso contenuto, la rinascita di guerrieri morti in battaglia.

Il “tesoro” celtico, nei racconti folklorici e di magia, assume spesso l’aspetto di un recipiente dal contenuto prezioso, così come la testa mozzata dal corpo. In latino la parola “testa” significava prima “vaso di terracotta”, poi “conchiglia” ed infine “cranio”, immagini comunque rappresentative di un recipiente. Nella simbologia alchemica il cranio era simbolo del vaso di trasformazione.

 

In più versioni della leggenda del Graal, un giovane cavaliere, Gawan o Parsifal, incontra presso un fiume un uomo intento a pescare, che lo invita nel proprio castello. Qui il cavaliere scopre che si tratta del Re Pescatore, sofferente per una ferita alla coscia. Un incantesimo vuole che, fino a quando la ferita non sarà guarita, la terra tutt’attorno debba rimanere sterile e desolata. Mentre si trovano a tavola, compare una processione rituale, nella quale è presente una fanciulla che reca, in un alone di luce abbagliante, il Graal.

Gli studiosi dei celtici credono che questo Re Pescatore sia Bran il Benedetto. I racconti che lo riguardano parlano di una ferita da lui subita ad un piede, con una freccia avvelenata. Bran, ordinò quindi ai compagni superstiti di tagliargli la testa e di seppellirla a Bryn Gwyn (la “Collina Bianca”).

Tutti questi particolari (l’attività della pesca praticata da un re, la ferita ad un arto inferiore, la testa decapitata) presentano molti simboli ricorrenti nel patrimonio mitologico e folklorico di diverse culture.

L’elemento che li accomuna è la problematica morte-rigenerazione. Bran è un dio-eroe solare che perde la Caldaia della Rinascita: se questa è il simbolo della trasformazione e della germinazione, non ne possono che venire la desolazione e la sterilità della terra. La ferita ad un piede, e comunque ad un arto della parte inferiore del corpo, è simbolo di quelle forze istintive elementari che devono essere sublimate e convogliate verso un controllo spirituale. Dopo infatti che a Bran viene tagliata la testa, questa mantiene la capacità di parlare e guida i compagni verso un’isola misteriosa, dove si trattengono per otto anni nel godimento di una gioia totale. Solo quando uno di questi apre una porta ubicata ad Occidente (la caduta del Sole, prima della notte), torna loro la memoria e la consapevolezza della mortalità. Si può dunque pensare che abbiano sperimentato l’Aldilà, come tutti gli eroi della tradizione celtica, Artù compreso, perché ne ricavino la consapevolezza di una meta nella “cerca” terrena. Infine, il fatto che il re sia un pescatore, porta al simbolismo del pesce nel Cristianesimo primitivo, anteriore a quello di religioni come l’Induismo, in cui “il pesce era sacro a quelle divinità che dovevano riportare in vita gli uomini dal regno delle ombre della morte” (J. Weston). Lanciare l’amo e le reti, non significa solo “pescare uomini”, il compito assegnato agli Apostoli raccolti fra i pescatori, ma anche cercare di raggiungere le radici più profonde della propria identità e della stessa vita.

 

I Celti facevano riferimento a circa quattrocento divinità, tutte personificazioni, con diverse sfumature, di quell’unica energia divina che presiede alla vita e ne regola i cicli. Questa energia veniva percepita e venerata sotto tre aspetti: Forza (o Potenza) collegata al Sole e all’attività fecondatrice dell’astro; Amore (o Bellezza) collegata alla Luna, alla Terra e alle acque, che presiedono alla gestazione di ogni nuova forma di vita, dopo la fecondazione; Sapienza (o Conoscenza) che consente di rapportarsi dall’interno al mistero della vita e di assumere piena consapevolezza spirituale. Mentre nella concezione cristiana ufficiale della Trinità l’archetipo maschile è dominante, nella triade celtica Il Femminile e le relative manifestazioni (la Vergine, la Sposa, la Madre, l’Amante, la Vecchia) sono parte integrante del Divino coincidendo con l’Amore.

Le immagini che nella mitologia celtica riportano alla “Dea” sono quelle della porta (funzione di tramite tra la vitalità naturale e quella spirituale); del potere di esaurire tutte le sofferenze; del controllo del ciclo vita-morte (la Dea Bianca e la Dea Nera); della fonte dell’ispirazione poetica.

Un esempio di come i Celti si rapportassero al Femminile si trova in un racconto di Mabinogion: la dea Rhiannon, che si spostava sulla terra in groppa ad un velocissimo cavallo bianco ed era accompagnata da uccelli magici in grado di risvegliare i morti e far piombare i vivi in un sonno settennale, è presentata mentre cavalca lentamente davanti ad Artù e ad un drappello dei suoi fidi. Sembra a portata di mano ma, se qualcuno dei cavalieri tenta di raggiungerla, aumenta l’andatura, come un obiettivo che per il cavaliere è sempre più in là del punto in cui è riuscito ad arrivare.

 

L’apporto cristiano

 

Il collegamento del recipiente-tesoro dei Celti  con l’Ultima Cena (come il Calice in cui Cristo consacrò il vino divenuto così il suo Sangue o  come il Piatto in cui consacrò il pane divenuto così il suo Corpo) si può forse spiegare come l’incontro di due istanze spirituali profonde: il forte impatto della predicazione cristiana in aree sempre più lontane dal luogo d’origine e il bisogno di non recidere le radici delle tradizioni locali.

Per quanto riguarda le fonti di questo processo di unificazione, da citare il gallese Bleheris, legato ai Normanni al punto da schierarsi con loro quando i Gallesi assalirono il castello di Caernarvon. Una cinquantina di anni dopo, Robert De Boron scrive il Giuseppe di Arimatea.

Di Giuseppe di Arimatea parlano i Vangeli di Giovanni e di Luca, ma maggior rilievo gli viene dato nel corpus degli Apocrifi ed in particolare nel Vangelo di Nicodemo, Memorie di Nicodemo, Atti di Pilato… (titoli differenti a seconda delle versioni). Giuseppe, in seguito alla richiesta del corpo di Gesù e all’offerta di un sepolcro nuovo per seppellirlo, venne fatto arrestare dal Sinedrio, ma evase miracolosamente dal carcere. Sul fatto che Giuseppe di Arimatea ebbe un rapporto diretto con il corpo di Gesù morto e fu oggetto di persecuzione da parte della suprema autorità giudiziaria degli Ebrei, deve essersi sviluppata la leggenda medioevale che lo riguarda. Essa racconta che, prima della sepoltura, Giuseppe lavò le ferite impresse dalla Passione nel corpo del Maestro e ne raccolse il sangue in quella stessa coppa in cui era stato consacrato il vino dell’Ultima Cena. Forse fu il possesso della coppa, il Graal, che gli consentì la fuga miracolosa. Fuggì in Inghilterra, dove il Graal approdò con lui o, come invece riportato in altri racconti, con uno dei compagni di fuga cui era stato dato il compito di cercare “la Valle di Avalon”.

Altre leggende, come quella raccontata nella “Vindicta Salvatoris” (La vendetta del Salvatore), vedono Giuseppe di Arimatea restare in Palestina nascosto in una botte per quasi quarant’anni, traendo dal Graal il cibo per sostentarsi. In questo contesto la sacra Coppa poté dimostrare il suo potere guarendo l’imperatore Vespasiano affetto da lebbra, il quale, informato dei miracoli compiuti da Gesù e dell’infamia della sua morte ingiusta, decretò una spedizione punitiva contro gli Ebrei.

Un’altra variante della storia di Giuseppe di Arimatea lo vede arrivare il Europa, a Camargue (Saintes Maries de la Mère) dove consegna il Santo Graal ai Druidi.

 

Il collegamento del Graal con l’Ultima Cena sollecita una verifica del racconto evangelico nel luogo che ne fu lo scenario storico: Gerusalemme.

L’ubicazione del Cenacolo rimase ignota anche agli stessi apostoli, che vi arrivarono guidati da indicazioni fornite dal Maestro, entrando in Gerusalemme e seguendo un uomo con una brocca. La devozione cristiana identifica il luogo con la sala sovrastante la tomba di re David. Dietro la tomba una nicchia che rivela tracce di incendio ha indotto gli studiosi a pensare che si tratti dei resta della chiesa di San Sion, definita la Madre di tutte le chiese, perché si credeva fosse sorta nel luogo dove era stato celebrato la prima volta il Mistero dell’Eucarestia, appunto il Cenacolo.

 

Dopo la morte di Giuseppe di Arimatea e di suo figlio, i discendenti non si mostrarono degni di custodire il Sacro Graal che andò disperso. Nuove leggende lo portano ora in un luogo ora in un altro, ma il Graal ha ormai assunto i caratteri di un oggetto concreto nell’ambito della passione per le reliquie che caratterizzò il Medioevo, soprattutto dopo le Crociate.

Il significato spirituale e simbolico sembra invece essere quello che lo collega alla cerca, tema centrale del ciclo epico di re Artù e dei cavalieri della Tavola rotonda.

 

Re Artù, i Cavalieri e la Tavola Rotonda

 

La cerca del Graal riconduce alla storia di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda.

Retrocedere nel tempo comporta il problema di una documentazione sempre più scarsa, così non è del tutto accertata l’esistenza storica di Re Artù. A “fissare” Artù e la sua corte nell’immagine che tutti conosciamo provvide per primo il chierico normanno Goffredo di Monmouth che, tra il 1132 e il 1138, pubblicò in latino una “Storia dei Re della Britannia”, in massima parte di fantasia.

La Tavola Rotonda viene invece nominata per la prima volta in un rifacimento francese dell’opera, il “Roman de Brut” di Wace. Secondo il medioevalista Barber non si tratta di un’invenzione: la tavola avrebbe fatto parte della dote di Ginevra, quando divenne la sposa di Artù.

Resta in ogni caso vero che, anche se una tavola rotonda è effettivamente esistita, la simbologia che le si è sovrapposta è essenziale per penetrare la problematica del Graal.

In quanto cerchio, la Tavola rotonda è un’immagine del cielo, di cui tuttavia il centro, dove appare il Graal, non è un dato ma un polo di attrazione, l’obiettivo della cerca nel corso del quale i cavalieri non possono permettersi debolezze o compromessi. La simbologia celeste è ribadita dal fatto che i cavalieri sono dodici (Calogrenant, Galahard, Gareth, Garvaine, Kai, Iwayn, Lancelot, Bohort, Perceval, Pelleas, Tor, Tristam) come i segni dello Zodiaco, la “ruota della vita”. I loro compiti (punizione dei malvagi e degli oppressori, protezione della donna, lotta contro le forze negative rappresentate dagli incantesimi, dagli esseri “eccessivi” come i giganti o dagli animali nocivi, e così via) sono finalizzati al recupero di una dimensione “paradisiaca” della vita, per se stessi e la comunità in cui operano.

La morte di Artù è variamente collegata a Modred, il nipote, che pur giocando ruoli diversi, a seconda della versione, si configura comunque come un traditore. Nella versione in cui Artù non muore sul campo, viene prelevato da mani femminili perché possa essere curato e condotto nell’isola di Avalon. Questo luogo, nonostante l’identificazione con Glastonbury, nella maggior parte dei racconti ha le caratteristiche di un altro mondo. Alcuni ritengono che il nome derivi da Glass Island (Isola di vetro), altri da Isle of Apple (Isola delle Mele), dato che aball, afall, avallen e avallo sono nelle varie lingue del gruppo celtico i termini che definiscono la mela. Il simbolismo di questo frutto è vasto e ricorrente in tutte le mitologie. Per i Celti luogo di incontro di uomini e dei, eroi ed esseri fatati, nell’immagine di Avalon c’è anche una reminescenza dell’Eden biblico, in cui la Terra dona i suoi frutti senza bisogno di essere coltivata e regna, con l’abbondanza, la beatitudine.

I menestrelli che diffusero il patrimonio mitologico e leggendario delle loro terre, insistevano sulla figura dell’eroe. Va ricordato che la condotta virile, di cui l’eroe forniva il modello, nell’antica società celtica era oggetto dell’insegnamento dei Druidi, oltre che il risultato di un lungo apprendistato non solo tecnico ma anche spirituale, con vere e proprie scadenze iniziatiche.

Emerge così la figura di Parsifal. Chretien De Troyes, intorno al 1182 compone il poema “Perceval il Gallese” o “Il racconto del Graal”. Il poema presenta Perceval come un ingenuo adolescente, allevato nella solitudine dei boschi dalla madre la quale, avendo perso il marito e i figli maggiori in imprese cavalleresche, intende preservarlo da un’analoga sorte. Ma un giorno il ragazzo si imbatte in alcuni cavalieri che esercitano su di lui un forte fascino. Abbandona così la madre e si reca alla corte di Artù dove il saggio Gormemant lo inizia alla vita cavalleresca. Divenuto in seguito a dure prove un prode cavaliere e forte della conquistata identità, Perceval è pronto per tornare dalla madre. Durante il viaggio si ferma al castello del Re Pescatore, afflitto da una inguaribile e dolorosa ferita. Nel corso della sua permanenza a corte gli appare una processione, che reca la lancia insanguinata con cui fu trapassato il costato di Cristo e la coppa che ne raccolse il sangue, quel Graal di cui tutti i cavalieri della Tavola rotonda sono alla ricerca. Per discrezione, Perceval non chiede né cosa affligge il re né il significato della processione. Il mattino seguente riprende il viaggio, ma sapendo che la madre è morta durante la sua assenza, si dedica completamente alla ricerca del Graal per comprenderne il segreto. La ricerca si protrae per oltre cinque anni, quando un giorno, alla corte di Artù, una giovane gli rivela la sua colpa involontaria: non aver chiesto al Re Pescatore il significato della processione alla quale aveva assistito; quest’omissione aveva impedito al re di guarire, protraendo lo stato di desolazione delle sue terre. Perceval prosegue la sua ricerca con maggiore consapevolezza. Incontra un eremita, fratello del Re Pescatore, il quale, raccolta la sua confessione, lo assolve e gli assegna un cammino di penitenza e di preghiera, svelandogli anche una parte del mistero che lo assilla: il Graal contiene un’ostia, dalla quale il padre del re, invisibile nella sua stanza, trae sostentamento. Il racconto prosegue incompiuto, con le vicende di Galvano.

Anche il poeta bavarese Wolfram Von Eschenbach scrive un’opera intitolata “Parzival”. Qui il Graal viene identificato in una pietra, per la quale sono state avanzate diverse interpretazioni.

Von Eschenbach parla anche di un luogo segreto in cui è custodito il Graal, definendolo come un Tempio. Questo e altri particolari, come quello per cui i cavalieri preposti alla custodia del Graal sono chiamati Templisen, assieme a varie coincidenze di carattere geografico, storico e cronologico, inducono all’ipotesi che la leggenda del Graal debba essere posta in relazione alle presunte componenti esoteriche dell’Ordine religiosi-cavalleresco dei Templari.

 

La Vulgata

 

La Chiesa di Roma non apprezzò l’entusiasmo accesosi attorno alle vicende del ciclo arturiano e dei suoi protagonisti, e tantomento certi aspetti del Graal che sembravano avallare posizioni spirituali eretiche. Infatti l’ideale etico incarnato dal cavaliere del Graal, “tendeva a sollecitare una ricerca spirituale individuale, che all’autorità ecclesiastica non piaceva per nulla. Inoltre, l’alta considerazione della donna contrastava con la mascolinizzazione che aveva prevalso nel movimento cattolico..” (Risè)

Questo spiega almeno in parte la rapida stesura del “Ciclo vulgato del Graal” o più semplicemente “Vulgata”, per opera di scrittori anonimi in linea con il pensiero ufficiale della Chiesa. La Vulgata si compone di cinque storie in prosa: “La storia del Graal – Lancillotto – Merlino – La ricerca del Graal – La morte di Artù”. Significativa è la fine riservata a Lancillotto (che sconta le sue colpe facendo penitenza da eremita, meritando alla morte di essere accompagnato in cielo dagli angeli) e Ginevra (a sua volta pentita, che muore dopo essere diventata monaca).

Il tema della Vulgata è un’allegoria della ricerca di Dio da parte dell’uomo ed ha il suo eroe in Galahaz, figlio di Lancillotto, che porta di persona il Graal nella città santa di Sarras, e riceve dalle mani del vero Signore il cibo della vita eterna, cui accede dopo la morte fisica. Da ciò non risulta difficile interpretarlo come una figura dello stesso Cristo. Parsifal, il “Puro Folle” come veniva chiamato, più a misura d’uomo,  rappresenta invece l’innocenza e la semplicità che, perduta da Adamo, trapela nei bambini. Bors, cugino di Lancillotto, è l’ultimo dei cavalieri che raggiunge l’obiettivo e l’unico legato da un vincolo familiare, come padre di un bimbo che nasce nel corso della sua “cerca”. Esprime la necessità di non peredere il collegamento con questo mondo, che è anche, come l’amore umano, un dono di Dio. Proprio per questo è il personaggio che deve affrontare le tentazioni e le scelte più difficili.

Lancillotto invece fallisce (arriva infatti solo alla soglia della cappella del Graal, senza potervi accedere), perché pur avendo tutte le qualità per riuscire, “ha permesso che un’immagine di perfezione umana – Ginevra – si sostituisse all’immagine di Dio” (Mattews).

Galvano (Gawain), nipote di Artù, come Lancillotto equivoca sull’obiettivo: cerca invece che la “vera” lancia sanguinante, la spada di Giuda Maccabeo (o quella che ha decapitato il Battista). Si trova così davanti alla lama spezzata, che assorbe le sue energie nel tentativo di ricomporla. Se si tiene conto del suo vivo interesse per il sesso femminile, è di facile comprensione il significato allegorico del suo fallimento.

 

La “missione” dei Templari

 

Le coordinate cronologiche che consentono di ricostruire il quadro storico vanno dalla data di fondazione (1118 – 1119) di questo Ordine monastico-cavalleresco a Gerusalemme, poco meno di vent’anni dopo la Prima Crociata e la costituzione degli Stati cristiani in Medio Oriente, al 1314, anno in cui venne eseguita la condanna al rogo di Giacomo di Molay, l’ultimo Maestro.

Questi i fatti più significativi intercorsi in questi due secoli: il riconoscimento ufficiale del Concilio di Troyes, con l’approvazione della Regola ispirata da San Bernardo di Chiaravalle; l’attività di reclutamento in Europa da parte del primo Maestro Ugo di Payns, il quale, tornato per la seconda volta in Terrasanta, fonda il nuovo Ordine; la concessione di vari privilegi ai Templari da parte di Innocenzo I e successivamente di Celestino II (diritto di avere chiese e cimiteri propri e autonomia totale dal clero secolare); la partecipazione attiva alla Reconquista della Penisola Iberica contro gli Arabi e ad altri scontri in Oriente; la diffusione in Europa e l’acquisizione di un’immensa ricchezza, saggiamente amministrata; la progressiva perdita di prestigio presso le masse cristiane (dovuta anche ai rovesci delle forze cristiane in Oriente fino alla caduta della fortezza di ACRI; l’inizio di un’inchiesta “regia” sui Templari per iniziativa di Filippo IV il Bello e la richiesta fatta a Clemente V da parte di Giacomo di Molay di un’inchiesta pontificia; l’arresto dei Templari in Francia per ordine del re (1307); la convocazione di un Concilio a Vienne per decidere la soppressione dell’ordine, esautorato di fatto dal papa che, nel 1312, la decretò “per decisione apostolica”; la nomina da parte di Clemente V di una Commissione di tre cardinali per giudicare i Templari tenuti prigionieri e in particolare i massimi dignitari dell’Ordine: De Molay e De Charney morirono sul rogo, dopo aver chiesto i Sacramenti.

Ma cosa c’entra il Graal con tutto questo? La prima ipotesi avanzata è stata quella che dietro la facciata ufficiale dell’Ordine nato per difendere i pellegrini in Terrasanta e proteggere i luoghi sacri dalla presenza e dalla profanazione degli “infedeli” ci fosse in realtà una missione segreta: quella di scavare sotto le rovine del Tempio di Salomone, ceduto ai Templari dai canonici del Santo Sepolcro. Missione segreta programmata da san Bernardo, che avrebbe dovuto portare al ritrovamento di “qualcosa di particolare”, qualcosa che sarebbe stato noto solo ai vertici della gerarchia dell’Ordine e protetto dalla più rigorosa segretezza (dal Parzival di Wolfram von Eschenbach, ritenuto appartenente all’Ordine stesso).

Accogliendo l’ipotesi che i Templari ai massimi gradi dell’iniziazione avessero elaborato una specie di sincretismo religioso eretico, si possono mettere in relazione l’importanza del “Femminile” nella tradizione graelica con la divinizzazione della Sapienza divina Sophia, nello Gnosticismo - Shekinah, nella Cabala ebraica – Sakina, nel Sufismo. Secondo alcuni interpreti il Graal altro non sarebbe che il simbolo profondo dell’amoroso grembo materno, incarnato anche da Maria Vergine come “vaso spirituale”, “vaso dell’onore”, “vaso insigne di devozione”, secondo le espressioni utilizzate nelle Litanie.

Tra le accuse mosse ai Templari c’era anche quella di eresia, accuse mosse sulla base di deposizioni raccolte sotto tortura.

 

Sincretismo eretico?

 

Nel Medioevo le accuse di eresia, stregoneria e magia, comportavano la condanna al rogo.

Un dato storicamente certo è che l’accesso all’Ordine di un nuovo adepto prevedeva un’iniziazione. Questo potrebbe ribadire la componente cavalleresca dell’istituzione che era unita alla componente monastica attraverso voti religiosi (oltre ad obbedienza, povertà e castità i Templari osservavano: impegno nella conquista e nella difesa della Terrasanta, protezione e soccorso dei pellegrini, promessa di non abbandonare l’Ordine per un altro). Ma alcuni riti descritti negli interrogatori hanno indotto ad attribuire al termine “iniziazione” una serie di “atti o cerimonie con cui qualcuno è ammesso alla conoscenza di segreti sacri o di dottrine occulte o alla partecipazione a riti esoterici o culti misteriosofici (Grande Dizionario della lingia italiana, Utet). Tra gli aspetti “incriminati” del rito di iniziazione compaiono l’oscenità (baci sulla bocca, sull’ombelico, sul ventre nudo, sull’ano e sulla spina dorsale), la blasfemia (negare tre volte la divinità di Gesù Cristo e altrettante volte sputare sul Crocifisso) e l’adorazione di idoli (una testa barbuta nominata come Baphomet e donne o demoni di natura femminile). All’Ordine viene attribuita un’indubitabile connotazione esoterica, comportante l’istanza del segreto, l’uso di un linguaggio figurativo e gestuale simbolico, la gradualità dell’accesso alle conoscenze, la verticalità della struttura. I Templari avrebbero elaborato una visione del mondo teorica e operativa insieme, fondata sulla fusione di Tradizioni culturali diverse e superiore alla volgare e universale socializzazione della scienza e della religione. Lo stimolo alla costruzione di questo “sapere” elitario e sincretistico sarebbe venuto ai Templari dall’essere stati fisicamente presenti e attivi nella Spagna permeata dalla cultura araba, ma soprattutto dal vicino oriente in cui si era affermato l’Ebraismo, l’Ellenismo, il Cristianesimo e l’Islamismo, con le relative filiazioni di natura esoterica.

I Templari potrebbero anche aver avuto modo, per la lunga permanenza in Oriente, di approfondire le implicazioni teologiche del monachesimo locale orientate a perseguire la riconquista della vita divina da parte dell’uomo (theosis in greco, cioè “diventare Dio”), così come aveva predicato Gregorio Nazianzeno, che non a delegare al solo sacrificio di Cristo la possibilità di espiazione dei peccati, a partire da quello originale, come aveva fatto il monachesimo occidentale. In questo senso la ricerca di perfezione, intesa come rigenerazione spirituale potrebbe presentare delle affinità con la cerca del Graal.

Uno dei tanti collegamenti istituiti tra i Templari e il Graal passa dalla Sindone. Una tradizione vuole che del sacro lenzuolo, in possesso di Giuseppe di Arimatea, si fossero poi perse le tracce, come nel caso del Graal, per ricomparire poi in Francia; un’altra sostiene che i Templari lo avrebbero acquisito in Palestina e poi portato nella Champagne, a Lirey, dove dal 1356 si è in grado di seguirne le vicissitudini. A quest’ipotesi è collegata la possibilità che proprio il volto di Gesù fosse la “testa” adorata dai templari, presente sull’impronta anteriore del lenzuolo, da sempre conservato e ripiegato in quattro.

 

Templari e Catari

 

Coloro che sostengono un legame fra Templari e Catari si basano su alcuni dati di fatto:  i nove fondatori dell’Ordine provenivano dalla Champagne o dalla Linguadoca; l’eresia catara si diffuse e fu combattuta soprattutto in Linguadoca e circa un terzo dei possedimenti europei dei Templari era concentrato in questa regione; i Templari non presero parte alla crociata contro gli Albigesi (dai documenti dell’Inquisizione risulta dai nomi l’appartenzenza di molti degli uni e degli altri alle stesse famiglie) e nascosero i Catari fuggiaschi o in alcuni casi ne appoggiarono attivamente le forze militari; sia i Catari che i Templari davano molta importanza al “Femminile”; il castello di Montsalvaesche descritto nel Parzival di von Eschenbach e custodito dai Templari, può essere identificato con Montsegur, roccaforte catara. Il poeta chiama Perilla il signore del castello del Graal e all’epoca in cui egli visse, il signore di Montsegur era Ramon de Perreille, figlio di una catara.

A queste argomentazioni si contrapposero obiezioni quali l’inconciliabilità delle posizioni teologiche, l’osservazione che il presunto legame con i Catari non venne sfruttato nel processo contro i Templari, come invece sarebbe stato utile fare all’Inquisizione che, più di trent’anni dopo la fine della crociata, fece riesumare i corpi dei Catari sepolti nei cimiteri dei Templari, perché venissero bruciati, così come previsto per tutti gli eretici. Ma i sostenitori della tesi di una connessione oppongono che il segreto comune dei Catari e dei Templari doveva essere di una natura così pericolosa per la Chiesa, da non potervi fare nemmeno cenno negli atti e nei verbali che suffragavano la condanna degli uni e degli altri.

Quale segreto? La saggistica sull’argomento, sottolineando la devozione comune dei Catari e dei Templari per Maria Maddalena, ritiene debba essere presa in considerazione la tradizione gnostica relativa a questo personaggio, in cui è la moglie di Gesù; depositaria di insegnamenti segreti nascosti alle masse; in conflitto con Pietro; simbolo vivente della Sophia, la Sapienza divina.

Non è lo stesso il ruolo che però le viene assegnato: da una parte ne “Il Santo Graal” – Baigent/Leigh/Lincoln, si accredita la tesi che, come madre di almeno un figlio, avrebbe procurato una discendenza a Gesù perpetuatasi nella stirpe dei Merovingi; nel Vangelo gnostico noto come “Dialogo del Salvatore” essa è “posta fra i tre discepoli che ricevono i comandi del Cristo e, come Giuda e Matteo, rifiuta le “opere del genere femminile”, cioè i rapporti sessuali e la procreazione. Gli stessi voti che, circa mille anni più tardi, caratterizzeranno il “sacerdozio” dei Perfetti Catari (“Sulle tracce del Graal” – Bizzarri)

La tesi de “Il Santo Graal” fa emergere la possibilità di interpretare il francese “San Greal” (Santo Graal, nella traduzione consueta) in “Sang real”, cioè “Sangue reale”, avvalorando il significato letterale della famiglia del Graal di cui parlano De Boron e Von Eschenbach. In altri termini si dovrebbe pensare ad una successione di sangue e dare credito alla leggenda medioevale secondo la quale Maria Maddalena sarebbe arrivata in Francia dalla Palestina con Giuseppe di Arimatea.

 

La testa mozzata

 

L’immagine della testa mozzata recata su un vassoio è spesso presente nella letteratura gaelica. Gli stessi Templari veneravano san Giovanni Battista; si pensa fosse di quest’ultimo la testa adorata dai monaci-guerrieri nota con il nome di Baphomet. Fra le preziose reliquie in possesso dell’Ordine vi era anche l’indice della mano destra del santo che, secondo Jacopo de Varazze in “Legenda aurea” fu la sola parte del corpo decapitato a non essere stata fatta distruggere dall’imperatore romano Giuliano l’Apostata e portato dalla Palestina in Francia.

A relazionare il Battista con il Graal fu Waite, in “The Hidden Church of the Holy Graal”, nel quale accenna all’esistenza di una scuola mistica cristiana fondata sugli insegnamenti segreti che Gesù avrebbe riservato al Battista. Formula inoltre l’ipotesi di una “Chiesa nascosta” nata in Medio Oriente sulla base di una traduzione giovannea (o giovannita), arrivata nella Gallia meridionale e da qui passata alla prima Chiesa celtica; i Templari vi avrebbero avuto in qualche modo a che fare.

 

L’interezza

 

Valutando le implicazioni eretiche delle leggende del Graal si sono tenuti fermi due punti: la dottrina della Chiesa che si assume l’autorità di proporla come frutto di Rivelazione divina e le scissioni che, all’interno del cristianesimo, si sono storicamente determinate. Tali scissioni diedero luogo alla costituzione di altre chiese, come fu per esempio per i Catari, oppure al ricorrere a qualche forma di copertura mantenendo ufficialmente un atteggiamento di ubbidienza, come fu invece per i templari.

L’analisi delle implicazioni esoteriche è invece più complessa: “orientata verso il sacro, la scienza esoterica sottende il messaggio delle mitologie, dei testi sacri, delle religioni e delle “rivelazioni”. Comprende pertanto le più svariate forme della ricerca metafisica e dell’individuazione interiore. Concetti come “karma” – “chakra” – “mandala” – “cabala” – “gerarchia”… hanno un significato e un’origine storica precisa, ma nell’esoterismo vengono utilizzati anche al di fuori e al di là della Tradizione che li ha generati. Questo fa rilevare omologie e isomorfismi strutturali che articolano i grandi sistemi esoterici in vere e proprie costellazioni simboliche” (Dizionario dell’esoterismo – introduzione – Mirabail).

Un esempio di come uno stesso tema possa condurre a risultati diversi se affrontato in chiave diacronica o in chiave simbolico-strutturale è fornito, all’interno delle leggende del Graal, dallo stesso motivo della testa mozzata su un vassoio.

Elemire Zolla affronta questo motivo all’interno di un saggio sull’archetipo dell’androgino. Prendendo in esame la leggenda ebraico-cristiana secondo la quale Erode, accesosi di passione dopo la danza dei sette veli,  avrebbe concesso a Salomè la testa del Battista , aggiunge: “poiché si sapeva che il sangue di un santo, sparso a terra, avrebbe fatto appassire le messi, la testa viene tagliata e deposta su un piatto..” A parere dello studioso, il Battista e Salomè sono da ricondurre alla coppia Sole-Luna, mitologicamente incarnata dall’eroe divino solare e dalla dea lunare nella loro relazione con le forze della natura e le loro cicliche manifestazioni. In primavera il nuovo Sole ha la meglio sulla Terra immobilizzata nella desolazione invernale, e questo è il senso del mito greco di Perseo che decapita la Medusa. All’equinozio di autunno è la dea lunare a decapitare il dio della vegetazione: come simbolo della sua testa, nelle cerimonie dei Misteri eleusini una sacerdotessa della dea-Terra Demetra, recava una pannocchia di mais.

La relazione mitico-astrologica del Sole e della Luna e le identificazioni incrociate fra gli equinozi, richiamano alla mente la religione dei Celti e sono presenti in diverse tradizioni culturali: Per gli Indù, per esempio, la testa tagliata su un piatto è un simbolo dell’accoppiamento del Sole e della Luna all’inizio e alla fine dei tempi.

 

La “Grande Opera”

 

Il Sole e la Luna rivestono un potente significato anche nell’alchimia, uno dei più antichi e complessi saperi esoterici.

Una lettura in chiave alchemica del simbolo del Graal si trova nel “Parzival” dove  von Eschenbach ne parla non come di un recipiente ma come di un lapis (pietra). Più precisamente l’espressione usata è lapsit exillis, di cui sono state date varie interpretazioni: lapis ex coelis (pietra scesa dal cielo) – lapis elisir uno dei modi con i quali veniva definita la “Pietra Filosofale” degli alchimisti.

La Pietra filosofale consente a chi la possiede la trasmutazione dei metalli in oro (a ciò potrebbe riallacciarsi il motivo del Graal come “tesoro”). L’espressione, oltre che in senso letterale, deve essere intesa anche come equiparamento dello spirito all’oro del cielo (il motivo della “cerca”, la ricerca della perfezione spirituale). La Grande Opera alchemica, che si può realizzare dopo aver ottenuto la Pietra filosofale, presenta dunque un aspetto fisico ed uno mistico ma, come osserva lo studioso francese Savoret, “avere realizzato la Grande Opera mistica vuol dire poter realizzare sovranamente quella fisica; aver realizzato quella fisica vuol dire sapere quale cammino può condurre alla realizzazione di quella mistica, ma non significa aver percorso necessariamente quel cammino”. Anche nella simbologia del Graal emergono entrambi gli aspetti, a seconda che ne siano accentuate le proprietà come quella di essere fonte di abbondanza o di risanare, che presuppongono un controllo delle forze della natura, oppure la sua relazione con il cammino di rigenerazione del cavaliere.

In ambito cristiano il simbolismo della pietra è centrale, e Gesù stesso è definito pietra angolare.

L’esoterista Guenon accosta lo smeraldo di cui parla von Eschenbach all’Urna, “la perla frontale che nell’iconografia indù è spesso al posto del terzo Occhio di Shiva, rappresentando quello che si potrebbe chiamare il senso dell’eternità”.

Anche la fenice, nominata da von Eschenbach in riferimento al Graal, è il simbolo alchemico della rigenerazione ma anche un emblema di gesù morto e risorto nel Cristianesimo medioevale.

 

 

Il simbolo cabalistico

 

La parola Cabala (Qabbalah) significa “Tradizione orale”. Entro gli obiettivi della ricerca cabalistica la dimensione conoscitiva (giungere a “conoscere l’inconoscibile” o a “definire l’indefinibile”) è strettamente legata a quella esperienziale, per cui a mano a mano che la ricerca procede, si produce una trasformazione straordinaria della coscienza, con caratteristiche affini a quelle di cui parlano la tradizione induista, buddista o taoista.

Uno degli stadi dell’iniziazione cabalistica, Tiferet, consiste nel passaggio dal mondo della forma a quello della non-forma, che comporta la “morte dell’io”, ovvero la cancellazione di quel senso di individualità che non permette di vibrare all’unisono con la divina armonia cosmica. E proprio il conseguimento di questa dimensione dilatata della coscienza corrisponde ad una rinascita o resurrezione. Per questo negli adattamenti del pensiero cabalistico al Cristianesimo Tiferet veniva associata a Gesù. Molti simboli connessi a Tiferet, quali l’eremita o il vecchio saggio, il re maestoso, il bambino sfolgorante di luce, il dio sacrificato hanno un ampio riscontro nei romanzi del Graal.

Un altro motivo cabalistico fondamentale è quello della Shekinah, l’aspetto femminile di Dio, caratterizzato come compassione, che ha permesso all’umanità, dopo la cacciata dall’Eden, di non perdere la speranza di un ritorno alla perfezione pur nella condizione dell’esilio. “La Shekinah può essere considerata un paradigma del Graal, come il vaso che rappresenta la promessa solenne rivolta a tutti del perdono di Dio, una presenza che deve essere cercata, un amore che induce i mistici a viaggiare in perpetua ricerca finchè l’unione sia compiuta e il mondo sia infine redento” (Matthews – Il Graal: la ricerca infinita).

Il pensiero cabalistico, nel periodo in cui vennero composti i romanzi del Graal, era vivamente attivo in Europa e in particolare in quei centri dove la dispora aveva determinato una maggiore concentrazione di Ebrei. L’origine storica della Cabala risale alla Provenza, tra il XII e il XIII secolo, dalla quale si estese ad altri centri della Francia del Sud e alla Spagna, dove ebbe grande diffusione fra i Sefarditi (Ebrei spagnoli). Una scuola operativa a Troyes, la città natale di Chretien. Un’altra a Toledo, dove von Eschenbach disse che Kiot, sua fonte informativa sulla storia del Graal, l’aveva a sua volta scoperta redatta da “uno studioso della natura che discendeva da Salomone ed era nato da una famiglia la quale era stata per lungo tempo israelita prima che il Battesimo divenisse il nostro scudo contro il fuoco dell’inferno”

 

Le cattedrali gotiche

 

Può apparire contraddittorio che gli stessi assertori di componenti eretiche e di collegamenti con varie tradizioni esoteriche della materia gaelica la associno contemporaneamente in vari modi alle cattedrali gotiche, che sembrano incarnare il potere e il trionfo della Chiesa nel Medioevo.

Vengono attribuite ad alcuni costruttori varie conoscenze nell’ambito della geometria sacra, dell’alchimia, dell’astrologia, nell’ambito cioè di quella che gli esoteristi definisco la Tradizione.

Questa ipotesi comporta la possibilità di dare alle cattedrali una duplice lettura: una “letterale” alla quale si sono fermati i comuni fedeli, i committenti civili e l’autorità stessa della Chiesa; l’altra “criptica” riservata a pochi iniziati.

Vengono chiamati di nuovo in causa i Templari: “San Bernardo, il patrono dei Templari, aveva definito Dio in modo sorprendente per un cristiano, come “lunghezza, ampiezza, altezza e profondità”. I Templari stessi erano stati grandi costruttori e grandi architetti e l’Ordine monastico cistercense a cui San Bernardo era appartenuto eccelleva in questo particolare campo dell’attività umana” (Sinclair – La spada e il Graal)

Quali che fossero la natura delle corporazioni edilizie medioevali e le conoscenze possedute dai “Maestri” che ne erano al vertice, restano possibili dei collegamenti tra la simbologia delle cattedrali e quella del Graal.

Il rosone nelle cattedrali gotiche riveste una certa importanza e riporta al significato simbolico della rosa: “finalità, raggiungimento assoluto e di perfezione” (Cirlot) – “femminilità e amore” (de la Rocheterie). Nel culto della Vergine Maria, cui proprio San Bernardo dette grandissimo impulso, i due significati coincidono, essendo la Rosa mistica delle Litanie e del Rosario anche la Madre, il grembo femminile che ha reso possibile l’incarnazione perché l’umanità potesse essere redenta. Ma accanto alla possibile interpretazione del Graal come “grembo” sia in senso mariano sia in senso eterodosso (la componente femminile di Dio nello Gnosticismo, della Cabala ebraica o del Sufismo islamico), resta valida anche quella del Graal come coppa, collegata al sangue di Gesù, come appare nell’iconografia cristiana quando è riprodotta con tutti i petali aperti.

 

Il Movimento del Graal

 

Nel 1929 a Vomperberg (Austria) sorse una comunità religiosa denominata Movimento del Santo Graal o Loggia Bianca o ancora, Loggia di Abdru-shin. Ancora oggi sono presenti numerosi adepti in Svizzera, Olanda, Austria, Germania, Stati Uniti e Brasile. Fondatore Oskar Ernst Bernhardt.

La “visione del mondo” del Movimento del Graal contiene elementi di Emanatismo e il castello del Graal rappresenta il punto in cui le emanazioni divine si fanno creazione. Al suo interno, come pegno dell’infinita ed eterna bontà del Padre, simbolo insieme del suo Amore e della sua Potenza, si trova il Santo Graal. Per quanto concerne il pensiero etico, l’origine del peccato è fatta risiedere nella natura dualistica dell’essere umano, non intesa come opposizione di materia e spirito, ma come opposizione di ragione e spirito. La ragione, come prodotto del cervello, appartiene al materiale, mentre lo spirito al divino. L’inversione dei valori (la ragione posta sopra lo spirito) ha costituito il peccato originale. Un ciclo di rinascite permette la possibilità di raggiungere il regno dello spirito, che costituisce l’obiettivo della “cerca dell’uomo”. Un’altra componente del Movimento è il carattere carismatico del suo fondatore, che si dichiarava inviato di Dio. Egli avrebbe assunto, all’epoca di Mosè, la forma del principe Abd-ru-shin e successivamente quella di Parsifal.

Al di là delle scelte religiose, ideologiche e morali di ciascuno, il Graal può ancora oggi rivelarsi, secondo l’espressione dello studioso di religioni e mitologo Campbell, “un mito per vivere” e continuare ad alimentare la speranza che l’amore, in tutte le sue forme, conservi il potere di risanare il mondo.

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