L'Essenza della Pratica

 

 

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Cos'è nell'essenza la pratica? La parte formale è la più comprensibile, quella che si riesce più facilmente a descrivere ( l' insieme di gesti, posture, atteggiamenti verbali, comportamentali e psicologici ), ma l’essenza cos'è?
Ad un livello superiore dell'immediata spiegazione mentale, si può percepire il silenzio mentale, arrestare il movimento dei pensieri, utilizzando mantra o l'attenzione sulla respirazione e sul battito cardiaco, ma ancora non abbiamo risposto alla domanda: l'essenza della pratica qual è?
Se la pratica è corretta, se è giusta l'inflessione con cui ci rivolgiamo verso di essa, allora non è possibile rispondere alla domanda in modo intelligibile per altri che non siamo noi stessi. Così com'è impossibile trasmettere in modo adeguato quanto si prova nel mangiare una pietanza.
L'essenza della pratica è qualcosa di personale e privato, un "sapore" che resta, sempre diverso e sempre eguale alla fine di ogni pratica svolta proficuamente.
L' Essenza della pratica rappresenta l'andare oltre il comune livello mentale, fisico ed emozionale, che solo al praticante, in forme diverse, si rivela. E’ una sorta di sensazione, più o meno indefinita, che si sia toccato la parte più vera di noi: come se prima non avessimo mai respirato, mai pensato, ci fossimo sempre sentiti nulla di più che un groviglio di sensazioni e
corporeità. ...C’è qualcosa in noi molto più vivo e “reale” di questo corpo pensante ed agente, perché, nella sua semplicità estrema, nella sua “essenza” quel qualcosa E'.
Anche per questo “qualcosa”, così come per l’essenza della pratica, non è possibile parlare se non per similitudini e comunque avendo precisa percezione dei limiti del linguaggio e dei ragionamenti mentali.
Della pratica è più agevole trattare: si possono misurare e valutare gli effetti della pratica, si possono trasmettere tecniche e condividere sensazioni e percezioni più o meno grossolane; ma l'essenza della pratica è qualcosa di indefinito che interagisce con quel qualcosa di altrettanto indefinito che risiede dentro di noi e costituisce la nostra essenza più profonda e vera.
Possiamo allora parlare di un tendere verso un preziosissimo forziere sepolto dentro di noi, dimenticato, ignorato, confusamente percepito nella quotidianità. Anche se sappiamo che c'è,
che esiste, quell' Anima Vergine, altrimenti non ne proveremmo nostalgia, dobbiamo intendere le pratiche spirituali come un tentativo di raggiungerLa, perché essa custodisce la nostra Essenza..
La nostra Essenza, che la pratica dovrebbe perlomeno farci intravedere, è quel nucleo immortale di virginale candore che, come una Bella Addormentata nel Bosco, attende il suo Salvatore. Continuando con simboli, metafore è la nostra Vergine Maria che attende ed accoglie il Cristo-Messia.
Se l’essenza della pratica è quell’unione tra due essenze, o meglio il tornare a percepire in una sola indivisibile unità ciò che mai è stato diviso ma solamente tale percepito: quindi una trasformazione percettiva, di coscienza, ben si comprende come la pratica sola sia indispensabile lungo un sentiero che persegua una conoscenza per identificazione, una conoscenza per diretta esperienza, vissuta e provata.
Per pratica si intende una sequenza di atti concreti, per indurre corpo, mente e psiche, al silenzio, condizione necessaria e propedeutica nella ricerca di quel famoso forziere di cui parlavamo.
L’energia necessaria per svolgere l’opera sarà la nostra stessa entità a fornirla in quantità più che sufficiente, nella misura in cui sarà possibile, attraverso precise tecniche nella pratica, sbloccare tutte quelle aggregazioni specifiche ed individualizzate che sottraggono energia per i loro scopi particolari.
Quelle schegge psichiche, che sono i nostri piccoli (e grandi) Satana, dotati di una propria volontà sono i nostri multiformi Ego, che con determinazione dobbiamo osservare e valutare, per distruggerli: essi sono i fautori della nostra limitatezza. Occorre nei loro confronti un lungo e continuo lavoro di osservazione, retrospezione, introspezione è possibile battere quelle porzioni psichiche che imbrigliano la nostra Anima e impediscono la nostra crescita interiore.
Occorre altresì spezzare la loro azione, mantenendo una presenza costante a noi stessi. La presenza, la costante attenzione rivolta al momento presente è, unita al silenzio mentale e vitale, altro elemento propedeutico in ogni pratica.
In ogni istante, infatti, è presente un "cavallo trainante", un impulso a svolgere in modo del tutto inconsapevole una data azione, dietro a cui si cela un ego, che va individuato e smascherato per portare ad unità cosciente il nostro agire. Inoltre la mente non ci permettere di vivere l’unico momento certo e reale che è il presente, intenta a farci viaggiare in un passato che non esiste più, con i ricordi, oppure in un futuro, che non sappiamo come in effetti sarà, attraverso aspettative e progetti, mentali appunto.
Utili strumenti sono l’attenzione sulla respirazione, l’utilizzo di un seme meditativo, di un mantra e la preghiera.
Ma attenzione tutto ciò è solamente forma, non sostanza ed essenza che personalmente ed individualmente ciascuno fornisce alla propria sadhana.
L’ essenza viene rivelata solo a chi la pratica la svolge: e non una volta per tutte, ma ogni volta è come la prima: è una pratica unica, irripetibile. Certamente conta l’esperienza, ma non come in un allenamento sportivo e non ci sono benefici essenziali accumulabili.
L’essenza è collegata indissolubilmente ogni volta all’inflessione (aspirazione), alla sincerità (pensiero vergine), alla volontà (forza creatrice) dell’operatore: non c’è perciò nulla di scontato ogni volta che si pratica. Tutto ciò premesso c’ una ulteriore considerazione da tener presente nel lavoro: occorre non avere alcun fine e non praticare per i frutti. La pratica proficua ed utile non ha scopi od aspettative: non siamo noi che la svolgiamo, ma è il Divino che pratica, Suoi i frutti. E questa è il definitivo tentativo di definizione dell’ Essenza della pratica.

 

 

 

 

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