Logos

Antonio D'Alonzo e Filippo Goti


 

Il termine "logos" può essere tradotto in tanti modi, perché storicamente ha assunto connotazioni diverse. Non è quindi importante stabilire il significato originale, quanto piuttosto i significati che esso ha di volta in volta assunto nella riflessione filosofica greca e, più in generale, occidentale. Presso i Greci, "Logos" può indicare sia il "discorso" (lat. ratio, o-ratio), sia il "calcolo". Già per Eraclito, però, è necessario distinguere tra logos o ragione individuale e logos universale: tutti gli uomini, partecipano ad una "legge universale", ad un "ordine universale" (altro significato di "logos"), se solo distolgono lo sguardo dalle cose terrene e caduche. Questo Logos universale, è identificato anche con il "fuoco" divino, che vive dentro tutti gli uomini. Con Platone il "Logos" diventa la capacità di fare dei discorsi veri, in grado di resistere al fuoco confutatorio della dialettica. Nel "Sofista" le idee partecipando tanto dell'identico, quanto del diverso, comunicano tra di loro e rendono possibile quella "complicazione", "comunicazione" che sola assicura il discorso (logos), ossia il pensiero. Con Platone si ha quindi il passaggio tra "discorso" e "ragione": il logos diventa la capacità di fare discorsi veri. Platone poi distinguerà la conoscenza come formata da diversi gradi di perfezionamento ("Immaginazione"/eikasìa; "credenza"/pìstis; "ragione"/diànoia; "intellezione"/nòesis). Lo spostamento del significato semantico del termine "logos" dal senso originario eracliteo ("fuoco divino" "Ragione universale") a quello platonico ("discorso vero") è perfezionato da Aristotele che fonda la "logica" in quanto scienza del pensiero e del linguaggio. Per Aristotele, sul piano spirituale, è invece fondamentale l'intelletto "attivo", il nous, facoltà comune all'uomo e a Dio, che permette di pensare quel pensiero che Dio ha di se stesso (Etica Nicomachea). Per Plotino si deve distinguere tra la mera ragione "calcolante" (loghismòs) e la capacità di cogliere l'altro pensiero (logos) che determina l'impulso ascetico come cammino di progressivo distacco verso l'Uno, ma la facoltà capace d'identificarsi con l'Uno è l'"intelletto", lo "spirito", il noùs. Fu comunque Filone d'Alessandria, ebreo ellenizzato, ad elaborare le originarie concezioni giudaiche, identificando il pneuma (spirito) con il noùs (intelletto attivo aristotelico e del neoplatonismo). il ruah biblico fu quindi identificato con il nòus greco ed ecco il perché della celeberrima espressione "All'inizio era il Verbo". Infatti la Sapienza di Dio è identificata da Filone con il mondo delle idee platoniche o degli archetipi contenuti nella mente di DIo. Questi pensieri divini ed eterni sono contenuti dall'eternità (dall'inizio") nella mente di Dio, che egli chiama logos, Ragione divina che governa il mondo (concetto per la verità anche stoico). All'"inizio era il Verbo" si riferisce proprio alla mente di Dio che contiene prima della creazione stessa, gli archetipi eterni.

Erroneo però sarebbe tradurre, ricondurre, o semplicemente associare il Logos a mediazione, o numero. In quanto esso non media fra Creatore, Creato, e Creatura, è egli stesso una creazione, e veicolo a sua volta di creazione. Mediare implica una reciproca volontà di sintetizzare due posizioni antitetiche, o comunque distanti. Può forse il Creatore, l'Origine Immanifesta, abbandonare la propria perfezione a favore di una condizione comunque deficitaria rispetto alla precedente ? Sicuramente ciò non è possibile. E' la creatura che trascendendo la creazione, e quindi se stessa, tende alla perfezione, e non certo il Creatore all'imperfezione. Ancora il Logos non è numero, o più precisamente non è solamente numero, in quanto è anche strutturazione e regola: insieme. Cosa altro è il verbo se non un soffio di vita, articolato in espressione si compiuta ma anche dinamica. Il logos è l'aria che nasce dal fuoco del puro intelletto divino, che raffreddandosi si muta in delicata rugiada, a sua volta destinata a dare vita all'elemento terra.

Il verbo è vita, senza ancora forma, ma portatore in se di ogni idea e matrice di vita. Nel simbolismo cabbalistico la Lux Increata promana dai tre veli negativi, e si infonde dando forma nel Grande Anziano ( Kether ), e esso da vita alla creazione, ancora animata dal soffio divino, e dalla presenza divina. Assumendo quindi sembianze di un'onda sismica che alternativamente stagna dando vita a forme, e successivamente da esse, assumendone proprie peculiarità, si irradia verso altre direzioni. Il verbo assume significato di presenza divina, tanto che è detto che essa non si ritiri dalla Creazione, altrimenti questa seccherebbe come un canale in cui non scorre più acqua.

Per gli egizi il Ptah era il verbo, la parola dell'inconoscibile Nut. Il dio che forgia, e da vita ad Autum, il Re Sole. Il rapporto fra questa divinità e la misterica egizia può essere dedotto attraverso la lettura di un passo rinvenuto in una stele di Shabaka, sovrano della XXV dinastia: "Perché ogni parola divina ha origine a seconda di ciò che il cuore di Ptah ha pensato e che la sua lingua ha ordinato. Allo stesso modo furono create le fonti di energia vitale". Ancora possiamo leggere: "Ptah-Tatenem mise al mondo per prima cosa gli dei". Ptah striscia fuori dal grande lago oscuro, dalla fonte inconoscibile della vita, e solamente quando da essa è distinto, posto oltre i suoi limiti, ascende al ruolo di divinità creatrice, di Artigiano che crea e modella la materia, assumendo però le sembianza di Atum. Nel tempio di Menfi, città votata a Ptah, il gran sacerdote del dio porta il titolo emblematico di Decano dei Mastri Artigiani, perché in quel recinto sacro erano tramandati gli insegnamenti delle arti operative e speculative: architettura, scultura, medicina, arti magiche, falegnameria, e oreficeria. Ptah deposita ogni segreto della creazione, che poi trasfonde sia a livello celestiale, che terreno ad altri artigiani, che modellano e riproducono in funzione delle proprie capacità.

Per gli gnostici alessandrini il Logos è il pensiero, il verbo divino, la Sophia, la prima ipostasi, che separata dalla coscienza che l'ha partorita, produce effetti. Essa determina un duplice disconoscimento fra Ente pensate, pensiero, e azione sottostante. L'organizzazione della materia, la creazione nel suo complesso, è frutto di un pensiero che non riproduce la totalità, l'unità, della fonte prima. Determinando una difformità fra creazione, pensiero, e ente pensate ( il quale è altro rispetto alla sorgente ), sia un abbandono insostenibile, che provoca nell'uomo cosciente un ardente desiderio di ritorno, di abbandono della manifestazione in quanto imperfetta.

Nel Vangelo di Giovanni il Logos siede eternamente accanto a Dio:

Giovanni 1:1 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

Si evince una identità assoluta fra mente pensate, e pensiero, fra unità senziente e dinamismo senziente. Nel proseguo dell'introduzione al vangelo, che assume valore cosmogonico leggiamo:


 

Giovanni 1:3 tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.

Giovanni 1:4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;

Giovanni 1:5 la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.


 

Tale rappresentazione del verbo assume quindi una posizione cara alla teologia gnostica, e cioè assoluta identità fra la Luce, la Conoscenza, e la Vita. La conoscenza è il pensiero superiore, l'intelletto divino, il verbo di vita, che si manifesta attraverso la luce, diffondendo e animando la creazione.

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