Il Lato Oscuro di Gesù
di
Fulvio Mocco
C’è un Vangelo nascosto fra le
righe di quello canonico? Un Vangelo che si esprima attraverso un messaggio
recepibili da pochi? Viene tale sospetto soprattutto osservando una strana
concezione del tempo. Troviamo nel Vangelo di Luca: “A chi ha sarà dato; a chi
non ha, anche quel che stima di avere gli sarà tolto” (Lc, VIII, 18). E’
probabile che il passo si riferisca a ciò che accede dopo la morte a chi abbia
raggiunto una certa realizzazione spirituale e a chi invece non sia riuscito
nell’intento.
Ancora: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà: ma chi perderà la sua
vita per me, quegli la salverà”( Lc,VIII,18). La brama di vivere per ciò che si
è, un ego impermanente, porta a perdizione, mentre l’identificazione con chi
incarna il Principio impersonale, reca salvezza.
Troviamo ancora i lavoratori di una vigna che sono pagati con lo stesso compenso
sia che abbiano iniziato il lavoro dal mattino, sia che lo abbiano fatto la
sera, solo nell’ultima mezz’ora utile. E’ chiaro che la realizzazione,
attraverso un “lavoro” interiore più o meno faticoso, più o meno lungo, più o
meno diverso secondo l’individualità e la sua strada differenziata, non conta
nulla di per sé, conta soltanto il risultato finale.
“Venuti quelli dell’undicesima ora, presero un denaro ciascunp. Quando poi
vennero i primi assunti, essi credevano di prendere di più, eppure anche loro
presero solo un denaro” (Mt, XX,10).
Gli ultimi arrivati sono sullo stesso piano dei primi. Nessuna gerarchia o
premio per le fatiche erculee, se non la conoscenza assoluta rispetto alle
verità relative.
Ognuno diventa una cellula del Corpus Christi: “Separati da me non potete
nulla”(Gio, XV,6), e “Chi non raccoglie insieme a me, disperde”(Lc, XI,23). Se
non si va verso il centro, si va verso la sua periferia, verso il caos: non c’è
via di mezzo.
Altrettanto famosa la parabola del fico maledetto da Gesù, perché non aveva dato
frutti in una stagione infruttifera. Non è dunque l’epoca in cui tutti danno
sarebbero capaci di dare frutto quella richiesta, ma un tempo senza tempo, quasi
un’opera contro natura, in cui tempo, frutto, fecondità quotidiane sono
abbandonate e superate.
“Visto da lontano un fico fronzuto, si avvicinò per cercare qualche frutto; ma
raggiuntolo, non vi trovò altro che foglie, non essendo stagione di fichi” (Mt,
XI,18). Si interpreta il fico come lo Stato d’Israele, non sensibile al tempo
dell’avvento e della buona novella, ma questo soprattutto perché appare
paradossale pretendere un frutto fuori stagione. Ciò che, tuttavia, pare
impossibile all’uomo comune, non lo è per quello differenziato, per l’Uomo Vero,
divinizzato e non più schiavo del tempo lineare. “Chi mai riuscirà a salvarsi?”
chiedono a Gesù. La risposta è: “Se è impossibile per gli uomini, non lo sarà
per Dio” (Mt, XIX, 26).
Emerge dunque uno strano Messia, che non pare così ansioso di incarnare la
vittima sacrificale: “Quei nemici che non volevano io diventassi loro re,
conduceteli qui e scannateli davanti a me” (Lc, XIX, 51). O ancora: “Sono venuto
a portare fuoco nel mondo, e come vorrei fosse già acceso!”(Lc, XXI, 49). E
ancora, apparentemente ancor meno disposto a belare come un agnello: “Pensate io
sia venuto a portare la pace in terra? Invece sono venuto a portare divisione.
In una casa di cinque persone, tre si divideranno contro due, e due contro tre”(Lc,
XXI, 51). Una divisione fra il sacro e il profano? Fra esoterismo per pochi ed
esoterismo per i molti?
A parte queste bizzarre dimenticanze, forse tralasciate da chi aveva dato ai
Vangeli una forma più sacrificale e compassionevole, troviamo un uomo disposto a
portare la propria croce ed incarnare il mito di morte e rinascita. Quando
Pietro sembra rimproverarlo per questa sua scelta vittimistica, Gesù lo assimila
al tentatore, alla sua controparte oscura: “Via da me Satana, tu ragioni secondo
l’uomo, non secondo Dio (Mc VIII,33). Ma è il Dio dei futuri cristiani o ancora
quello degli Ebrei?
Forse, dentro di sé, Gesù sente la voce di Lucifero che lo incita ad essere
leone e non agnello, a non rimandare alla fine dei tempi ciò che può essere
fatto qui e ora. La tentazione, nei proverbiali 40 giorni nel deserto, esprime
ancora meglio quella scissione fra parte luminosa ed oscura, a patto di non
vederla come una divergenza morale, ma solo come un annullamento degli opposti.
Fece bene Gesù a respingere il ruolo di giustiziere e l’offerta del tentatore di
governare i regni della terra? La risposta era stata che il suo regno non era di
questo mondo; perfezionata nella frase del dare a Cesare e a Dio ciò che
spettava loro. Divisione fra ruolo regale sacerdotale.
Eppure, davanti a Pilato, che gli chiede Quid est veritas? Il suo silenzio
sembra rifletterne l’anagramma: est vir qui adest, è l’uomo stesso, ma quest’uomo
rimanda alla fine dei tempi la soluzione.
Il lato oscuro continuerà a chiamarlo: “Dopo aver respinto ogni tipo di
tentazione, il diavolo si allontanò da lui , per ritornare al tempo fissato” (Lc,
IV,13). Qual’è il tempo fissato? L’apocalisse?
Gli stessi demoni, con cui Gesù ha un rapporto oscuro, sembrano coscienti di
questo: “Gesù non permetteva loro di parlare, perché lo conoscevano (Mc, I,34).
Quindi non voleva rivelassero il suo ruolo finale, essere l’alfa e l’omega
apocalittico.
Quasi sorpresi o irritati, i demoni gli chiedono infatti: “sei venuto qui prima
del tempo a tormentarci?”(Mt, XVIII, 29). In generale, Lucifero, ha un
atteggiamento davvero curioso: “Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai
piedi, e gli disse ad alta voce: cosa abbiamo in comune tu ed io? Gesù. Figlio
del Dio supremo, ti scongiuro in nome di Dio di non tormentarmi”. Ciò che, come
dicevo, risulta curioso, è l’intimità del colloquio, e poi, chi ha mai sentito
il diavolo dire “in nome di Dio”? Di quale tormento si sta parlando se non di
una qualche scissione, di un non riconoscimento della propria controparte, che
ne soffre? Del resto, anche la figura dell’Anticristo, nei tempi ultimi, sembra
riflettere questa scissione, più che incarnare un figura mitica variamente
interpretata storicamente, da Nerone a Hitler.
Gesù chiede al demonio il suo nome, e la risposta è “Legione, perché qui dentro
siamo in molti”. Sono forse le due facce, l’Uno e i Molti, della totalità,
l’unicità del Principio e la pluralità diabolica nella manifestazione ?
Come nei simboli della vite e dei tralci, o del corpo e del sangue sacrificati
per il pasto sacro, c’è un appello ad una coscienza unica: “giacchè molti primi
saranno ultimi e diverrano uno solo” (Vangelo di Tomaso, 4). E’ come se in
un’ipotetica corsa, la vittoria del primo, cioè di colui che salverà il mondo,
avesse effetto collettivo e retroattivo, facendo partecipi della propria
vittoria, della propria Opera, gli altri concorrenti che erano legati a lui in
quel processo.
Dostojevskj, nei Fratelli Karamazov, sembra chiarire il ruolo che Gesù avrebbe
rifiutato. Il Grande Inquisitore, nell’opera accusa Gesù di aver privato
l’umanità, non ascoltando Satana nel deserto, di non aver voluto creare un Santo
Regno visibile, e di aver rinnegato i propri miracoli.
La prima richiesta demoniaca era stata di trasformare in pane le pietre.
Trasformare il corpo fisico in uno glorioso? Ricordiamo la curiosa espressione
alchemica “focaccia del Re”, ed il pane supersostanziale, del Padre Nostro.
Cristo stesso è pietra angolare e pane eucaristico. La groota dell’avvento è una
prima materia, come la pietra su cui Pietro fonfa la Chiesa, come l’altare e il
tavolo dell’ultima cena, il trono e la pietra-coppa di smeraldo del Giudice
Supremo.
L’ermafroditica sostanza alchemica, il Rebis, Res-Bis, Res bina, sembra
riferirsi anche a quel processo d’integrazione dell’ombra che Lucifero suggerì
invano a Gesù nel deserto.
La seconda richiesta satanica era di adorarlo ed assumere il controllo dei regni
del mondo, prima assoggettati a lui. E’ la richiesta di fondersi col gemello e
diventare Re del Mondo. La terza richiesta è di gettarsi dall’alto per fasi
salvare dall’intervento degli angeli, ovvero utilizzare gli stati superiori di
coscienza operando nel mondo fenomenico della manifestazione, come suggerito nel
romanzo di Dostojevskj.
Da quando diventò eretico vedere luce e buio con uguali diritti, Lucifero fu
brutto, cornuto e dal piede caprino, ansioso di indurre insani pensieri e di
cercare di possedere ogni femmina in circolazione, ma nelle storie popolari è
spesso curiosamente gabbato. Per gli Egizi, en passant, le corna o crescente
lunare, erano la casa (hat) del falco solare (Hor), nella dea Hathor. Il piede
caprino rimanda a Pan, e ai satiri di Bacco, ai loro riti orgiastici nella
solitudine selvatica di un a foresta o di un deserto; così tornano a presentarsi
i bisbigli faustiani e prometeici di colui che “ebbe il bel sembiante” e, per
dirla con Dante, fu “la somma di ogni creatura”.
Non è dunque un caso che il sangue della croce sia raccolto nel Graal, lo
smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero e scavato a coppa dagli angeli; e
allora l’angelo caduto, l’antico serpente, sembra identificarsi con Adamo e la
sua progenie, e con il loro oscuro cammino di reintegrazione.
Articolo pubblicato nella rivista
LexAurea32,
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