La Vite

di Carlo Caprino


    

Una vite fu piantata da altri che non era mio Padre: giacchè non si irrobustì sarà sradicata e perirà

Premessa

Il Vangelo di Tommaso è un vangelo di origine gnostica, scritto in copto probabilmente nella seconda metà del II secolo, forse da un prototesto greco perduto. L'attribuzione pseudoepigrafa è all’apostolo Tommaso e contiene una raccolta eterogenea di detti attribuiti a Gesù.

Per secoli fu creduto perduto, e le uniche notizie sul suo conto erano le sue citazioni, più o meno dirette, fatte da alcuni Padri della Chiesa. In epoca moderna vennero rinvenuti alcuni papiri, scritti in greco e riportanti alcuni frammenti di questa opera, ma la vera svolta avvenne nel 1945, quando a Nag Hammâdi è stato rinvenuto un manoscritto copto integro, che ha permesso di conoscere questo vangelo nella sua interezza.

Il codice ritrovato è datato al IV secolo, ma lo scritto nel suo testo originale si fa risalire agli anni 90-120 d.C.

Nonostante sia universalmente conosciuto come un vangelo, in effetti questo scritto non corrisponde né al genere letterario dei vangeli canonici e neppure a quello degli apocrifi.

 

Il codice contiene 114 "loghia", ovvero frasi attribuite a Gesù e riportate in terza persona, introdotte quasi tutte da "Gesù disse" e susseguentesi tra loro senza un ordine o un filo conduttore evidente.

Già dalla introduzione l'opera rivela il suo carattere esoterico, contenente parole ed ammaestramenti che non debbono essere svelate ai profani, perché non possono essere comprese da tutti.

 

Quasi tutti i "loghia" hanno forma breve e concisa, e riportano sentenze, prescrizioni o aforismi; solo raramente sono riportate conversazioni con Maria, con i discepoli o con anonimi.

L'analisi del testo induce a pensare che si tratti di uno scritto a carattere antologico, che raccoglie componenti provenienti da fonti diverse e di età differenti; una parte fu quasi certamente composta o elaborata dall'autore, testimoniando la situazione del suo ambiente, un'altra parte giunge da un retaggio più vecchio, comune anche ai vangeli canonici. Questo insieme subì ulteriori aggiunte e abbreviazioni prima della redazione definitiva giunta sino a noi, avvenuta come detto nei primi secoli dell'era cristiana.

 

Il "loghion" da commentare

Il passo del vangelo preso in esame recita:

 

"Una vite fu piantata da altri che non era mio Padre: giacchè non si irrobustì sarà sradicata e perirà"

 

Analisi del "loghion"

Gli elementi salienti del "loghion" sono:

1) La Vite

2) L'atto del piantare

3) Il soggetto che la pianta

4) La constatazione che il soggetto del punto precedente non è il Padre

5) La constatazione che la vite piantata non è diventata robusta, e quindi verrà sradicata e di conseguenza morirà

 

Esaminiamoli ora singolarmente:

 

La vite

La vite è probabilmente, insieme all'olivo ed al grano, una delle piante più conosciute e coltivate. Come l'olivo ed il grano, anche la vite accompagna la uomo da tempo immemore e come il frutto dell'olivo e della spiga, anche il frutto della vite, ovvero il vino, ha una grande valenza simbolica e sociale. Senza addentrarci in complesse e prolisse analisi, basterà citare alcuni esempi tratti dalla Bibbia:

Il vino è - per certi aspetti - il simbolo del "mondo nuovo": fu infatti prodotto da Noè dopo l'approdo dell'Arca sulla cima del monte Ararat, spremendo i grappoli d'uva dei vigneti posti sui fianchi del monte.

 

Il vino fu il "protagonista" del primo miracolo operato da Gesù durante il banchetto nuziale a Cana, quando trasformò - appunto in vino - l'acqua contenuta nelle giare.

Il vino fu inoltre, insieme al pane, il "mezzo" fisico attraverso cui, durante l'Ultima Cena, Gesù mostra agli apostoli riuniti il rito attraverso cui ricordarlo ("fate questo in memoria di me").

 

Volendo passare dal sacro al profano, ancora oggi - nelle campagne del Meridione, la vigna è ancora oggi pianta curata e rispettata (in barba ai burocratici regolamenti della Comunità Europea...) non solo per i grappoli d'una che produce, ma per la molteplicità di impiego delle varie parti della pianta: I ceppi sono ottimi da ardere, i rami flessibili vengono intrecciati per produrre cesti e cortine, le ampie foglie sono usate per accogliere latticini freschi, i lunghi rami fronzuti sono disposti a formare ampi e freschi pergolati.

 

Il piantare

L’atto del piantare un seme è certamente uno dei più antichi dell’uomo ed uno dei primi tra quelli utilizzati per modificare ed adattare la Natura alle proprie necessità. Certamente ispirato dalla osservazione della natura, il piantare un seme o un ramo per ottenere una nuova pianta appartiene da sempre alla storia della umanità. L’importanza di questo atto è tale che anche lo sperma umano viene chiamato “seme” o “liquido seminale”. Facile intuire quindi che l’atto del “piantare” assuma un profondo significato simbolico che va aldilà della mera riproduzione vegetale, dal “piantare” una bandiera al “piantare in asso” una persona.

 

Il soggetto che pianta e la constatazione che questi non è il Padre

Come tutte le opere d’arte, anche l’atto del piantare - seppure apparentemente semplice e banale - richiede una precisa conoscenza dei tempi e dei modi in cui eseguirlo. Va da se che se questo non viene effettuato da chi ha il “potere” di farlo, quasi sicuramente l’atto è destinato al fallimento.

 

La constatazione che la vite piantata non è diventata robusta, e quindi verrà sradicata e di conseguenza morirà

Richiamando il punto precedente, dal momento che l’atto del piantare non è stato effettuato dal Padre, ovvero da colui che ha la “potestà” dell’atto e la conoscenza necessaria per ben eseguirlo, la vite piantata è cresciuta gracile e debole.

Questa vite occupa il terreno senza produrre frutto e quindi non ha motivo di rimanere interrata e per questo il contadino la estirperà dal suolo e sarà destinata a seccarsi e morire.

 

Commento personale:

Tra i vangeli gnostici, quello di Tomaso è quello verso cui ho da subito sentito maggiore interesse. Sarà perché i suoi “loghia” sono brevi e lasciano grande spazio alla immaginazione, sarà perché non si addentra in complicate cosmologie, fatto sta che da anni – oramai – ne rileggo alcuni passi.

 

La prima cosa che salta agli occhi è l’aspetto “agricolo” del “loghion” in esame. Attualmente, specie dopo la strage di vitigni causata nell’800 dalla Filossera, un vigneto viene impiantato usando le “barbatelle”, ovvero una talea o una propaggine della vite che ha emesso la “barba” ossia le radici; quando questa si è ben radicata, sull’arbusto viene innestato il vitigno desiderato. E’ appena il caso di notare che già la scelta della “barbatella” più adatta al terreno disponibile, la modalità di interramento prima e di innesto dopo necessitano di esperienza e conoscenza, doti tradizionalmente possedute dai “padri” che le trasmettevano con l’esempio e negli anni, ai figli.

 

Non è facile cogliere i particolari fondamentali di un gesto così semplice; quello che ad un profano può sembrare un semplice “infilare nella terra un pezzo di legno”, a chi abbia un minimo di attenzione mostra tutta una serie di sfaccettature: profondità di interro, distanza tra gli arbusti, modo di disporre le barbe, concimatura ed innaffiatura... tutte cose imparate a prezzo di esperimenti e fallimenti, valide in un appezzamento di terreno e non – a volte – in quello adiacente.

 

Quindi il “loghion” per evidenziare un insegnamento usa un esempio sicuramente comprensibile per quei tempi, utilizzando una “chiave di lettura” accessibile a tutti nella sua evidenza. Ciò che assicura il successo dell’atto non è tanto l’atto in sé, quanto il patrimonio di conoscenza che permette di eseguirlo nei tempi e nei modi adatti.

 

Ho sempre pensato che – con le opportune cautele – i princìpi di un Arte potessero - anzi dovessero - essere applicati nella vita quotidiana, e così mi è capitato frequentemente di constatare che quanto insegnato dalle Arti marziali che pratico ha un interessante e proficuo riscontro anche al di fuori del tatami. Ovviamente vale anche il contrario, e quindi non è raro che constatazioni rilevate negli ambiti più disparati possano trovare una qualche eco anche all’interno della pratica marziale, come in questo caso.

 

In questo caso, il “punto di contatto” è l’importanza del “lignaggio” nel garantire la genuinità dell’insegnamento ricevuto, rappresentato dalla vite. E’ questa una delle principali differenze tra le Arti marziali orientali ed occidentali. Le prime hanno, nella maggior parte dei casi, una trasmissione ininterrotta che passa da un capo Scuola al successore, costituendo una condizione (non certo sufficiente, ma quantomeno auspicabile, se non necessaria) per garantire la bontà di quanto veicolato. A differenza delle loro “sorelle” dagli occhi a mandorla, le Arti marziali occidentali oggi praticate sono praticamente tutte “ricostruite” sulla base di interpretazioni di trattati, manuali, racconti e reperti iconografici, con tutte le perplessità, le differenze interpretative ed i fraintendimenti che ciò implica.

 

Sia pure con modalità diverse, nella trasmissione dell’insegnamento la prima dote che è richiesta all’allievo/figlio è la fiducia nel Maestro/padre, una situazione rappresentata in maniera estrema (ma non troppo...) nel famoso film “Karate Kid” in cui un anziano Maestro insegna il Karate ad un giovane ed inconsapevole allievo, facendogli eseguire una serie di incombenze manuali (“metti la cera, togli la cera...”)

 

Questa modalità tradizionale di insegnamento è indicata con il termine “shu-ha-ri” che richiede il passaggio da tre fasi, ovvero:

* studio passivo: l’allievo/apprendista imita il maestro e il suo modo di fare e di essere, pur comprendendo poco o nulla dei motivi e degli scopi di questo agire.
* esperienza attiva: l’allievo/iniziato “prende le distanze” dal maestro, ma non ha ancora un suo stile e lotta per liberarsi dall'influenza del maestro.

* realizzazione: l’Adepto arriva a esprimere la disciplina conservando l'essenza della scuola, ma interpretandola secondo la propria esperienza, contribuendo al divenire dell'arte, che si costruisce con l'esperienza umana una generazione dopo l'altra.

Come è facile notare, solo apparentemente nelle arti tradizionali l’insegnamento è statico e ripetitivo; in realtà è solo l’apparenza – ovvero il “mezzo di trasmissione” – che è uguale a sé stesso, mentre l’essenza è individuale, tanto che – parafrasando Tomasi di Lampedusa – si potrebbe dire che l’insegnamento è qualcosa "che deve cambiare perché tutto resti come prima", e questo rende forse più chiaro il senso di una frase che si sente ripetere spesso a proposito dello Zen:All'inizio la montagna è montagna e il fiume è fiume; poi le montagne non sono più tali e il fiume non è più fiume; ma alla fine le montagne sono ancora montagne e il fiume fiume.

Quello che a molti riesce difficile comprendere è che una Scuola – se è un organismo “vivo” – ha come scopo primario quello di assicurarsi la sopravvivenza, quindi il compito di un insegnante è prima di tutto cercare ed addestrare il suo successore, che non deve essere la sua fotocopia, ma qualcuno che – pur nella sua individualità – trasmetta lo Spirito della Scuola. Una nuova “barbatella” su cui innestare il vitigno vecchio di secoli, insomma.

 

L’esperienza non è di poco conto e non è facile, “Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti" (Mt. 22, 14) e non a caso la fase conclusiva "ri" negli “Scritti Postumi” di Chiba Susaku viene descritta in questa maniera: “Ri significa staccarsi, allontanarsi, rinnegando anche "shu" e "ha", senza possibilità di tornare al passato, senza nulla da mirare più in alto.”

 

Allo stato “Ri” l’adepto assume l’onore e l’onere di “rappresentare” la Scuola ed il suo insegnamento ed esprime i suoi principi in ogni gesto, principi che si sono ormai “radicati” in lui ed hanno dato il frutto atteso solo se “piantati” nel giusto modo e nel giusto tempo da chi ha – come detto – potestà di farlo. Citando una email di Filippo Goti, il curatore del sito internet www.fuocosacro.com possiamo allora dire che “il sentiero iniziatico è quel percorso individuale che si estrinseca dopo l'iniziazione, attraverso la correlazione del singolo individuo con le forze, le energie, e gli strumenti a cui è stato sottoposto, reso in grado di interagire, e munito. Da cui ne discende che finalità del sentiero iniziatico non è tanto quella  di generare da bulbi diversi identica pianta, quanto piuttosto di permettere a bulbi diversi di generare la miglior pianta di cui sono potenzialmente capaci.

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