Giovanni della Croce

D'Alonzo Antonio

 

Giovanni della Croce (1542-1591), consigliato ed indirizzato da Teresa d’Ávila, è stato il fondatore dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Più di quanto fosse avvenuto per quest’ultima, Giovanni attirò gli inevitabili strali dei Carmelitani Calzati, determinati fino all’ultimo ad ostacolare il suo progetto. Giovanni fu rapito ed imprigionato, ma riuscì a fuggire e a ripararsi presso un convento di Scalze; arrivato, infine, il nullaosta, Giovanni riuscì a portare a termine la sua riforma.

Giovanni della Croce è un mistico ed un pensatore ricco di sfaccettature e di ambivalenze. Da una parte è profondamente intriso della teologia aristotelico-tomistica, appresa nell’adolescenza dai gesuiti; dall’altra, è molto vicino spiritualmente alla mistica renano-fiamminga (dell’essenza). L’influsso aristotelico-tomistico lo conduce a sviluppare una serie di dicotomie irriducibili, tra naturale/soprannaturale, soggetto/Dio, ecc. La vicinanza con il pensiero eckhartiano, del resto, lo conduce, in certi momenti, a paventare il carattere propedeutico e intermediario del cristianesimo e della religione stessa. Da qui le controversie teologiche sul suo pensiero. Per alcuni commentatori cristiani, Giovanni non si distaccò mai dal messaggio evangelico e la sua dottrina è profondamente cristiana. Per gli orientalisti, invece, egli può essere considerato il “Patañjali occidentale” (definizione di Siddhesvarananda).



Quattro sono le opere fondamentali, che formano un tutto. Nella Salita del monte Carmelo, è presentata l’azione di progressivo spogliamento dell’anima in cammino verso Dio; nella Notte oscura, la purificazione, attraverso l’annichilimento, dei sensi e dello spirito durante la salita; nel Cantico Spirituale e nella Fiamma d’amor viva, l’anima, giunta al culmine dell’unione amorosa, è gratificata dalle “nozze mistiche” con Dio.



La “notte” sanjuanista riprende e ripropone il tema del “niente”del “povero” eckhartiano. L’annichilimento della spoliazione purificatoria della salita conduce in quella nada (“nulla”), che equivale specularmente al distacco del “niente sapere, niente volere, niente avere”. Anche per Giovanni come per Eckhart, il Nulla è il Tutto.

Tuttavia, a differenza del maestro domenicano, Giovanni non si libera mai completamente dei retaggi scolastici dell’adolescenza. Da una parte il santo spagnolo sembra spingere verso il trascendimento di qualunque forma e contenuto positivo; dall’altra mantiene viva la mentalità sistematica, forgiata da dicotomie irresolubili. In alcuni passaggi il cristianesimo diventa un mezzo, un gradino per arrivare al “niente sapere”, senza tuttavia giungere mai a postulare una ridefinizione antropologica della figura di Cristo, né, tanto meno, osare un oltrepassamento della dottrina cristologica.

Questa remora, questa sorta di ritrosia nell’audacia speculativa, purtroppo, ha finito per influire pesantemente sulla profondità del pensiero sanjuanista; un pensiero che sembra come arrestarsi e tornare indietro nel momento stesso in cui intravede l’azzurro profondo delle vette immacolate.

 

 

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