L’EDIFICAZIONE DEL TEMPIO
(tratto da: Alessandro Orlandi, Alberto Camici, La Fonte e il cuore, Edizioni Appunti di Viaggio)


Alessandro Orlandi (1)





Il termine «tempio» deriva dalla radice indoeuropea tem, che significa «dividere», «delimitare». Ciò che viene delimitato dal perimetro del tempio è uno spazio sacro, all’interno del quale i fedeli si raccolgono in preghiera. È nel tempio cristiano che il sacerdote celebra la Messa e si rivolge alla comunità per annunciare il verbo di Cristo. Nello spazio del tempio vengono rinnovati il sacrificio del Redentore e il Mistero della transustanziazione del pane e del vino in carne e sangue di Gesù. Nel tempio possono essere inoltre ricevuti tutti i sacramenti: Battesimo, Cresima, Eucaristia, Confessione, Unzione degli infermi, Matrimonio e Ordinazione sacerdotale. Il tempio si configura quindi come centro spirituale per coloro che vi si recano, è un luogo carismatico nel quale si avverte con forza particolare la presenza del Signore, ed è quindi particolarmente propizio per ricercare un contatto più profondo con Lui.

Il Cristianesimo, che pure viene da una tradizione polemica con gli edifici sacri (cfr. Gv. 4, 24), non ha potuto rinunciare al linguaggio spaziale per operare una mediazione tra umano e Divino. L’esperienza del Templum è anzi passata nel linguaggio attraverso i vocaboli «contemplare» e «contemplazione», per significare quell’attività del pensiero che nasce quando l’uomo, prescindendo dai sensi esteriori e dalla ragione concreta, si immerge nel pensiero vivente. In molte religioni (1) il nome che viene dato al tempio è quello di «Legame tra Cielo e Terra». Così, Dur-an-ki («legame tra cielo e terra», appunto) era il nome dei santuari delle antiche città babilonesi di Nippur, Larsa e Sippar. Ritroviamo tale denominazione nella tradizione ebraica, riferita al tempio di Gerusalemme (che la Mishna chiama, appunto, «legame tra cielo e terra»). Negli scritti di numerosi mistici si immagina che il tempio si trovi alla base di un asse verticale (axis mundi) che unisce la terra al cielo, tramite il quale la volontà celeste si manifesta nel mondo inferiore. In quanto luogo che consente all’anima di elevarsi verso una dimensione verticale, verso il rapporto con Dio, ogni tempio è considerato un’immagine di ciò che è eterno, un «centro del mondo»(2) attraverso il quale si rivela quel Principio Immutabile che è l’alfa e l’omega e viene indicato l’inizio e la fine di tutte le cose. Per i motivi su esposti, fin dalla più remota antichità veniva data grande importanza alle modalità di costruzione del tempio. Il luogo scelto per la sua edificazione era infatti destinato a diventare una «porta» tra la realtà terrena e quella celeste. Le stesse regole adottate dai costruttori dovevano inoltre rispecchiare, attraverso i rapporti tra le misure dei vari elementi architettonici, le leggi divine che regolano sia il mondo visibile che quello invisibile.

Per ciò che riguarda l’orientamento degli edifici sacri, i cristiani fin dai primi secoli disposero le chiese con la facciata rivolta a Occidente e l’abside rivolto verso Oriente, luogo della luce e della rinascita e quindi simbolo di Cristo, sole che sorge dall’alto (cfr. Lc. 1, 77). Per questo stesso motivo l’Oriente fu scelto come direzione per orientare l’altare. È da rilevare che il medesimo orientamento veniva prescelto per tombe e cimiteri. L’importanza data al luogo del sorgere del sole si evince anche dal fatto che fino al quinto secolo, durante le preghiere mattutine, ci si rivolgeva verso Oriente (3). Precise regole edilizie venivano adottate sia per scegliere il luogo ove edificare una chiesa, sia per determinare le misure, i rapporti e le forme geometriche dei vari elementi architettonici. Eliade cita alcuni notevoli esempi di riti in uso nell’est europeo (4). Per comprendere l’importanza data alle misure e ai rapporti numerici nella costruzione del tempio, basti pensare alla minuziosa descrizione che in (1 Re 6, 2) viene fatta a proposito del tempio di Salomone e alla fortuna che tale passo biblico ha avuto sia nella tradizione cristiana che in quella ebraica e nella letteratura mistica di tutti i tempi.
A proposito del simbolismo costruttivo, la Davy (5) scrive che la forma rettangolare del tempio si richiamava all’idea della terra e all’immagine dell’uomo che tende a imitare Cristo, quadrato perfetto, mentre la forma a croce latina si ispirava alla croce e al martirio di Gesù. La forma rotonda e quella ottagonale richiamavano invece l’idea della dimensione celeste e trascendente, del tempio come «casa di Dio» e come immagine dell’Universo. Per lo stesso motivo, battezzare un neonato all’interno di un battistero di forma ottagonale significava orientare la sua anima verso il cielo (6). Le cupole (7) devono a loro volta la forma rotonda al fatto di rappresentare il Cielo. Le cripte, destinate spesso a custodire reliquie e tombe di santi, erano luoghi consacrati al raccoglimento e alla preghiera, quel raccoglimento iniziatico che prelude alla morte e alla resurrezione. La porta e i portali, collegando l’interno e l’esterno della chiesa, esprimono il più delle volte la natura dell’intero edificio e sintetizzano il cammino che conduce il fedele dalle tenebre alla luce, dalla cecità e dall’ignoranza all’epifania divina. Per questo, specie nell’arte romanica e gotica, le sculture poste in prossimità dei portali rivestono grande importanza e recano sovente i simboli del tempo ciclico, i segni dello Zodiaco e la rappresentazione delle attività svolte nelle varie fasi dell’anno solare.
Infine si comprende meglio la funzione dell’altare, luogo del sacrificio e dell’offerta, se ricordiamo che il nome dato nell’antichità alla pietra sacrificale era «ara». La radice ar, da cui anche Ares (dio della guerra e dell’azione) e Caronte (traghettatore delle anime negli inferi), significa «forza maschile fecondatrice» (8). Esiste quindi una sotterranea corrispondenza tra la Pietra sacrificale e le energie primarie dell’uomo, che debbono essere elevate verso Dio. La Pietra Angolare (citata nelle Scritture in Sal. 118, 22; Mt. 21, 42; Mc. 12, 10; Lc. 20, 17), è la «pietra scartata dai costruttori» sulla quale Pietro è chiamato a edificare la Chiesa di Cristo9. Da un punto di vista architettonico – così osserva Guénon – si può identificare con la «testata d’angolo» o «chiave di volta», l’ultima pietra che completa l’arco. Ciò stabilisce una analogia tra la prima e l’ultima pietra, tra la pietra di fondazione che si trova in basso e la testata d’angolo che è in alto, tra il principio e la fine della costruzione. Da tale punto di vista, scrive Guénon, «la prima pietra o pietra fondamentale può essere considerata un riflesso dell’ultima pietra, che è la vera pietra angolare» (10). Dietro questo apparente enigma sembra nascondersi una verità profonda: la Pietra caduta dal cielo, il lapsit exillis di Wolfram Von Eschenbach, la pietra da cui fu tratto il calice del Graal, va riconosciuta ed elevata perché il tempio del Signore possa essere innalzato, dentro e fuori di noi.
C’è un punto essenziale che ritroviamo in tutta la tradizione cristiana, dai Vangeli ai Padri della Chiesa, ai mistici del medioevo: costruire il tempio significa allo stesso tempo edificare nel cuore il luogo ove l’esperienza viene trasfigurata. Infatti ciò che l’uomo sperimenta come sublime ed elevato al suo esterno, può cercarlo dentro di sé e viceversa. Edificare il tempio significa pertanto interiorizzarne il simbolismo e aprire quei canali sottili che consentono all’uomo di ascoltare lo Spirito che gli parla attraverso ciò che accade. L’evangelista Giovanni scrive: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv. 1, 14) e più oltre riferisce le parole di Gesù ai Giudei: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere? Ma egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv. 2, 19-22); e san Paolo a sua volta così scrive ai Corinzi: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor. 3, 16). Nella letteratura patristica questi passi vengono meditati e approfonditi (11): Cristo è il vero tempio ed edificare il tempio in noi significa far vivere Cristo nel cuore, incarnarlo nelle nostre vite e quindi rinnovare in noi la sua passione, morte e resurrezione (12).

Il parallelo tracciato tra costruzione del tempio in terra e risveglio dei princìpi spirituali nel corpo è anche patrimonio delle altre religioni, secondo le quali la traccia che il Creatore ha impresso nel Macrocosmo, nell’Universo, ha il suo corrispettivo nel microcosmo umano. Scrive a questo proposito A. Coomaraswamy: «Bisogna rendersi conto che in India, come altrove, non soltanto i templi fatti dall’uomo sono l’Universo, secondo una modalità simbolica, ma anche l’uomo stesso è un microcosmo e un ‘tempio santo’, ovvero la Città di Dio (brahamapura). Il corpo, il tempio e l’universo sono quindi analoghi, cosicché ogni atto di culto eseguito esteriormente in modo visibile può essere celebrato anche interiormente, in modo invisibile» (13). Questo continuo mutamento di prospettiva tra macrocosmo e microcosmo, tra universo e uomo, tra tempio esterno e tempio interiore, si rivela anche nella credenza che ogni organo, parte e funzione del corpo abbia un suo corrispettivo sottile nella persona umana e rispecchi un princìpio fondamentale della costituzione stessa del cosmo (14). Valga per tutti il seguente passo delle Upanishad: «Questo spazio che si trova all’interno del cuore è altrettanto vasto quanto lo spazio che abbraccia il nostro sguardo. L’uno e l’altro, il cielo e la terra, vi sono riuniti, il fuoco e l’aria, il sole e la luna, la folgore e le costellazioni... tutto ciò che esiste è riunito in questa città del Brahman, tutti gli esseri reali e tutti i desideri» (Chandogya Upanishad, VIII, 1, 1-5). Tornando ora alla tradizione cristiana, è impossibile non accostare il seguente passo di Origene al brano delle Upanishad sopra citato: «Non meravigliarti se diciamo che queste cose sono dentro di te, comprendi che tu sei un altro mondo in piccolo, e che in te ci sono il sole, la luna, anche le stelle... Vedendo dunque che tu hai tutto quello che ha il mondo, non devi dubitare di avere dentro di te anche gli animali che si offrono come vittime, e che da questi devi spiritualmente offrire vittime» (15).
Spesso i mistici cristiani parlano dell’uomo come di un microcosmo e dei cinque sensi come delle porte di tale microcosmo. Ad esempio Simone da Cascina, un mistico del quattordicesimo secolo, descrive un «monastero spirituale» in ogni suo particolare: chiostro, colonne, parlatorio, orto, ecc. (16). Si tratta di un monastero interiore, fatto di virtù e conquiste dello spirito, che viene immaginato morfologicamente identico a un monastero «fatto di pietre».
Per approfondire ulteriormente la concezione cristiana del tempio occorre ora prendere in considerazione l’antitesi tra Gerusalemme terrena e Gerusalemme celeste. Osserva padre Gentili che «già gli antichi rabbini coglievano nel nome stesso Jerusalayim (che è al duale) i due volti della città: terrestre e celeste, presente e futura, circoscritta alla nazione israelitica di cui è capitale e aperta universalmente a tutti i popoli» (17). Nella letteratura vetero e neotestamentaria, accanto alla Gerusalemme terrena soggetta a cadute e schiavitù (Gal. 4, 25), abbandonata e derelitta (Is. 60, 15; Sal. 81, 12-13), adultera (Ez. 16, 32), sterile (Is. 54, 1), indotta alla prostituzione (Ger. 3, 68; Ez. 16, 15; Is. 1, 21) e vedova del suo Signore (Is. 47, 8-9; Ger. 51, 5; Is. 54, 4), c’è una Gerusalemme celeste, nostra vera madre (Gal. 4, 26), luogo di luce, splendore e perfezione (Ap. 12 e 22). Un giorno da lei scaturiranno acque vive (Zc. 14, 8) e il Signore tornerà a purificare la Gerusalemme terrena (Zc. 8, 3 e 2, 14-16; Is. 4, 4; Is. 54, 6-9) (18). Il cammino della Chiesa e della comunità cristiana è guidato dalla Gerusalemme celeste come da una stella polare. Essa è la speranza nel futuro e la guida di chi crede. Nel mezzo della Gerusalemme celeste scorre infatti un fiume d’acqua viva che alimenta l’albero della vita (Ap. 22, 12). Alla fine dei tempi la Gerusalemme celeste scenderà sulla terra e non vi sarà più differenza tra Gerusalemme terrena e Gerusalemme celeste, che verranno riunificate (Tb. 13, 13-18; Is. 54, 11-15) e tutti i popoli della terra ne riconosceranno lo splendore. Questa profezia si riferisce sia all’intera comunità cristiana, lungo il millenario cammino della sua storia, sia a ogni singola anima. Nel corso della propria vita ogni uomo conosce la tensione tra la Gerusalemme presente e terrena, corrotta e perfettibile, e quella celeste, incorruttibile e perfetta. Ogni uomo lotta per incarnare la Gerusalemme celeste nella propria esistenza, per costruire cioè il proprio tempio interiore. La consapevolezza del rapporto tra la costruzione materiale del tempio e l’acquisizione da parte dell’uomo di qualità spirituali è particolarmente presente nell’arte romanica e gotica. Scrive a tale proposito Burckardt: «Nell’architettura romanica la navata si allunga progressivamente: è il pellegrinaggio verso l’altare, la terra santa, il Paradiso» [....] «Le cattedrali gotiche realizzano un altro aspetto del corpo mistico della chiesa o del corpo dell’uomo santificato: la sua trasfigurazione operata dalla luce della grazia». Nelle Origini del gotico, Émile Male narra come nel medioevo le confraternite di costruttori di cattedrali si tramandassero come un «segreto del mestiere» la dottrina simbolica che Vincenzo di Beauvais tentò successivamente di sistematizzare nel suo Speculum majus (1624). Oltre che libro di pietra, creato per rendere testimonianza alle Scritture, la cattedrale gotica doveva essere anche specchio della Natura, specchio della Scienza, specchio della Morale e specchio della Storia (19). Questa suddivisione, come osserva Male, è mirabilmente riprodotta nella concezione dei portici di Chartres.
I criteri estetici che prevalgono al giorno d’oggi sembrano invece destinare le opere d’arte a una fruizione meramente sentimentale ed edonistica, relegandole a un ambito indipendente sia dalla vita attiva che da quella contemplativa. Tali criteri sono lontanissimi dall’idea dell’arte e del bello che ispirò allo spirito umano quei monumenti che furono le cattedrali romaniche e gotiche. La funzione spirituale dell’opera d’arte e il potere simbolico ed evocativo dell’architettura sacra medioevale erano elementi essenziali nel rapporto tra il tempio e i fedeli che vi si raccoglievano. Al giorno d’oggi utilità, funzionalità e profitto sembrano i criteri ispiratori di architetti e ingegneri e anche l’arte sacra sembra venir meno al suo compito, che è quello di parlare allo spirito e risvegliare le coscienze attraverso la contemplazione del bello. A questo proposito, lo storico dell’arte Ananda Coomaraswamy lamenta «quella secolarizzazione dei simboli sacri e del linguaggio ieratico, quello svuotamento di significato che noi ben conosciamo nella storia dell’arte, quand’essa dalla formalità s’abbassa alla figuratività, così come il linguaggio dall’originaria precisione s’evolve fino a non avere infine che valenze confuse ed emotive... così la nostra estetica non è che una falsa retorica, è un’adulazione della debolezza umana con la quale possiamo spiegare solo le arti che non hanno altro scopo se non quello di piacere».(20)

Del massimo interesse per il discorso che andiamo facendo sono alcuni passi della Città di Dio di sant’Agostino. Agostino traccia una divisione tra la città di coloro i quali «vivono in conformità con l’uomo» e la città di quelli che «vivono in conformità con Dio». Chiunque aspiri a entrare nella città di Dio, vive quaggiù come un pellegrino, dice il santo, perché «prima viene lo stato spregevole da cui dobbiamo necessariamente iniziare e in cui non dobbiamo necessariamente rimanere... e se non tutti i cattivi diverranno buoni, nessuno sarà buono che prima non fosse cattivo». «La Scrittura dice di Caino che fondò una città, mentre Abele non ne fondò nessuna in quanto pellegrino. In alto sta infatti la città dei santi, sebbene produca quaggiù i suoi cittadini e nelle loro persone sia pellegrina sulla terra, finché giunga il tempo del suo regno».(21) Coloro i quali vivono in conformità con l’uomo sono invece gli stessi che edificarono una torre fino al cielo, la quale, «simbolo di esaltazione empia, si rivelò la città, ossia la società, degli empi».(22) L’effetto di quell’atto di orgoglio fu quello di «estraniare il genere umano dal culto del vero Dio e la confusione delle lingue»( 23), derivata dall’aver scambiato il tempio terreno con quello celeste. Da queste parole di Agostino si ricava la convinzione che il vero tempio che l’uomo può costruire sulla terra è un tempio itinerante, le cui colonne sono i cristiani nel loro continuo tendere verso lo spirito.
L’usanza diffusa in tutta la cristianità di compiere pellegrinaggi verso cattedrali e luoghi di culto particolarmente carismatici va dunque intesa anche come un atto simbolico: ogni pellegrino è la traccia visibile e lucente di un percorso invisibile, diretto verso l’alto e verso Dio, un segno del cammino che l’intera chiesa compie nel corso della sua storia. Così l’oggetto del pellegrinaggio, il tempio, dev’essere venerato come simbolo visibile di una realtà trascendente.


NOTE
 

Note:

(1) "L'autore ha svliluppato alcune delle idee esposte in questo articolo nel suo saggio "Dioniso nei frammenti dello specchio", Irradiazioni, Roma 2003


Cfr. M. Eliade, Immagini e Simboli, Jaca Book, Milano 1981, pp. 41 e sgg.
2 Sul simbolismo del centro nelle religioni, cfr. il saggio di R. Guénon, L’idea del centro nelle tradizioni antiche, in Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1975, pp. 63-71; e M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1976, pp. 377-398.
3 È probabile che lo stesso termine «orientare» tragga origine proprio dall’uso di allineare i luoghi verso Oriente.
4 In I riti del costruire, Jaca Book, Milano 1990, pp.55 e sgg. Di Eliade cfr. anche Il simbolismo del centro e costruzione di un centro, in Immagini e Simboli, op. cit., pp. 41 e sgg.; cfr. anche M.M. Davy, Il simbolismo medioevale, Ed. Mediterranee, Roma 1988 e T. Burckhardt, L’arte sacra in Oriente ed Occidente, Rusconi, Milano, 1990. Per l’orientazione dei templi nell’antichità pagana, cfr. J. Richer, Géographie sacrée du mond grec, Guy Trédaniel, Paris, 1983 e, dello stesso autore e presso lo stesso editore, Géographie sacrée dans le mond romain, Paris, 1985. Sul simbolismo costruttivo del tempio nell’antichità, affrontato dal punto di vista delle religioni comparate, cfr. R.A. Schwaller de Lubicz, Le temple de l’homme, Caractères, Paris 1957.
5 Op. cit., pp. 195 e sgg.
6 Il numero otto è ricco di valenze simboliche. Rappresenta anzitutto, attraverso le direzioni cardinali della Rosa dei Venti, la possibilità data all’uomo di orientarsi nell’universo che lo circonda, apprendendo a guardare lontano per scorgere, al di là delle apparenze, le cause remote e trascendenti di ciò che si manifesta nel mondo (cfr. il Salmo CIV, 4, nel quale Dio fa dei venti i suoi messaggeri). Così, nella cultura cinese, sono otto i trigrammi del libro dell’I-Ching, archetipi fondamentali da cui trae origine tutto ciò che esiste ed ogni mutamento, associati ognuno ad una direzione della Rosa dei Venti. Otto sono le braccia di Vishnu, il dio indù il cui Sogno è il Mondo, e rappresentano gli otto Guardiani dello spazio. Il mito inca sulle origini remote di tale popolo narra di otto antenati primordiali, quattro fratelli e quattro sorelle. Nelle raffigurazioni tradizionali (ad es. nell’arte gotica), sono otto i raggi della Ruota Cosmica, le Vie che possono condurci verso il Centro, e tale considerazione vale anche per la Ruota Celtica e per la Ruota della Legge buddhista. L’ottagono viene spesso inteso come figura intermedia tra quadrato e cerchio e, quindi, può raffigurare sia il ruolo di mediazione tra Terra e Cielo proprio degli edifici sacri, sia il mondo intermedio degli Angeli, i «messaggeri». Così, nello Scivias di santa Ildegarda, il trono divino che circonda i mondi è sostenuto da otto angeli e una identica rappresentazione si riscontra nella tradizione islamica. Per questo motivo, l’otto ha a che fare in generale con la ricerca dell’equilibrio; per l’uomo, in particolare, tra la parte animale e quella divina. Tale significato assumono sia l’Ogdoade pitagorica che quella gnostica. In quanto numero legato al Tempo, l’otto è simbolo di resurrezione e di trasfigurazione: nella Tradizione giudaico cristiana tale è il significato dell’ottavo giorno che segue i sei giorni della Creazione e il sabbath e il medesimo significato ha in Astrologia l’ottavo segno, lo Scorpione. Per questo motivo molti battisteri e fonti battesimali, in quanto luoghi della transizione tra il Vecchio e il Nuovo Uomo, hanno una forma ottagonale e, mentre il numero sette viene soprattutto associato al Vecchio Testamento, il numero otto corrisponde al Nuovo. Infine, nel simbolismo matematico, un otto rovesciato rappresenta l’infinito.
7 Sul simbolismo della cupola cfr. Guénon, Il simbolismo della cupola, in Simboli della scienza sacra, Op. cit., pp. 221-229 e A. Coomaraswamy, Il simbolismo della cupola, in Il grande brivido, saggi su simbolica e arte, Adelphi, Milano 1987, pp. 366-415.
8 Per questa etimologia, cfr. J.J. Bachofen, Il Matriarcato, Einaudi, Torino, 1988, pag. 125.
9 In senso anagogico la pietra è il fondamento, la base; per questo Cristo dice a Pietro: «Io ti dico che tu sei Pietro e che su questa Pietra edificherai la mia chiesa.» La Pietra è l’occultum lapidem, è l’elemento divino che dimora nell’uomo, il più profondo sé da ricercare. Ricordiamo il V.I.T.R.I.O.L. ermetico: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem.
10 Cfr. R. Guénon, La pietra angolare, in Simboli della scienza sacra, op. cit., pp. 238-254.
11Una stimolante riflessione su questo tema si può trovare in Vannucci, Il nuovo Tempio, in Il risveglio della coscienza, Cens, Milano, 1984.
12 Così ad esempio in Cromazio (Commento al Vangelo di Matteo, Collana di Testi Patristici, Città Nuova, Roma, 1976, XLVI, pp. 209-10), in Cirillo d’Alessandria (Perché Cristo è uno, C.T.P,XXXVII, p. 78), in Barnaba (Lettera di Barnaba, C.T.P, V, pp. 209-10), in Damasceno (Omelie Cristologiche e Mariane, C.T.P, XXV, p. 66), che paragona il corpo al tabernacolo terreno, e in Origene (Omelia sull’Esodo, C.T.P, XXVII, p.169), in un passo dedicato al significato simbolico del tabernacolo. Il tabernacolo, in quanto luogo nel quale viene custodito il corpo di Cristo, è una replica del Tempio in piccolo, un «tempio nel tempio».
13 A. Coomaraswamy, Un tempio indiano: Il Kandarya, in Il grande brivido, op. cit., p. 4.
14 Cfr. a questo proposito il § 8 del capitolo 1° di questo libro. Per ciò che riguarda la tradizione cristiana, cfr. il saggio di A. Gentili, Le ragioni del corpo, Ancora, Milano, 1996. Per la tradizione ebraica cfr. il mito dell’Adam Kadmon e dell’«uomo cosmico», il Sepher Yetsirah, trad. it. a cura di S.Savini, Carabba, Lanciano, 1938 e lo Zohar, trad. franc. Verdier, Alençon 1981. Cfr. anche M. Eliade, Simbolismo architettonico e fisiologia sottile, in Spezzare il tetto della casa, Jaca Book, Milano, 1988, pp. 149-157 e R.R. Schwaller de Lubicz, Le Temple de l’homme, op. cit.
15 Origene, Omelie sul Levitico, C.T.P,V, p. 23 e 34.
16 Cfr. Simone da Cascina, Colloquio spirituale, in Mistici del duecento e del trecento, Rizzoli, Milano-Roma, 1935, pp. 949- 975.
17 A. Gentili, Se non diventerete come donne, op. cit., pp. 69-70.
18 Questa corrispondenza tra il Tempio celeste e gli aspetti più luminosi della figura materna si rivela anche attraverso il numero di cattedrali dedicate alla Vergine Maria, a Nôtre Dame. Cfr. a questo proposito, il § 2 del capitolo III di questo libro.
19 Cfr. E. Male, Le origini del gotico, l’iconografia medioevale e le sue fonti, Jaca Book, Milano, 1986, pp. 47 e sgg.
20 A. Coomaraswamy, Figura di parola o figura di pensiero?, in Il grande brivido, op. cit., pp. 13 e sgg.
21 Agostino, La città di Dio, 15. 1.
22 Ibid. 16. 10.
23 Ibid. 16. 10.
 

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