Sulle Carmelitane

D'Alonzo Antonio

Sulle carmelitane.


La “mistica” carmelitana si è sviluppata prevalentemente tra le monache, giacché l’elaborazione teresiana della via amoris ha subito trovato un fertile brodo di coltura nella psicologia femminile. La sublimazione imperfetta delle passioni e delle compulsioni affettive nei giovani animi femminili, ha trovato la sua trasposizione ideale nell’icona classica del Redentore, dalle caratteristiche fisiche accattivanti. Il volto di Gesù, reso levigato e attraente dalla pittura del tempo, dipinto sovente con tratti scarsamente semitici e molto nordici (capelli biondi/occhi azzurri/viso allungato; o anche capelli castani e fluenti/occhi chiari/zigomi alti, ecc.), sembra perfetto per suggellare ed accumulare le proiezioni delle compulsioni femminili. La bellezza fisica che irradia dalle icone del Salvatore, è in fondo una languida consolazione compensatoria per delle giovani donne che, attraverso il voto di castità, si apprestano a perpetuare la rinuncia al Mondo, al ruolo di mogli e di madri. In questo senso la mistica “sponsale” si configurava come una sorta di trasposizione “spirituale” per quello che era negato sul piano mondano; a questo si deve aggiungere come- all’inizio del Cinquecento- molte monache morissero giovanissime di tubercolosi. Una vita consumata tra sofferenze fisiche, clausura, rinunce, poteva essere giustificata soltanto da un fine altissimo. Mentre un mistico, dalla profonda preparazione teologica e filosofica, come Meister Eckhart, poteva farsi beffe dell’ascesi, o comunque subordinarla alla necessità del distacco, queste giovani donne, per lo più sprovviste della necessaria istruzione, riuscivano a farsi forza soltanto con la dedizione appassionata al Cristo, all’idea del sacrificio per il dio-uomo bello e buono.



Da questo quadro sconsolante, si eleva, almeno in parte, la figura di Maria Maddalena de’ Pazzi (1566-1607). Maria Maddalena, dalla fragile salute, si avvicina in certi punti alla speculazione di Taulero; quindi sono da ritenersi fondate quelle ipotesi che postulano una sua conoscenza della mistica renano-fiamminga. Anche la carmelitana fiorentina ricade nel tortuoso sentiero delle estasi e delle visioni, ma la sua insistenza sul “nudo patire”, sull’annichilimento anzitutto spirituale, piuttosto che corporale, richiama emblematicamente le “Notti” tauleriane. Non solo. In certi punti della sua opera, Maria Maddalena riprende anche il celebre passo eckhartiano del “nulla sapere, nulla volere, nulla sapere”. In altri ancora, si richiama al “non-amore”, all’amore “senza perché”, postulato da Margherita Porete (il cui libro, Specchio delle anime semplici, doveva circolare nella Firenze cinquecentesca).

Per Maria Maddalena, come per la Porete, il sommo dell’amore è un amore morto che non cerca nulla, perché cercare qualcosa significherebbe essere eterogenei ed estrinseci all’oggetto. La negazione completa dell’amore comporta, quindi, la realizzazione totale dell’amore, perché dialetticamente, negare l’oggettività delle determinazioni (“ogni determinazione è una negazione”, scrive Spinosa), significa cogliere l’Intero, il Tutto. In altre parole, l’amore come anelito è sempre desiderio-di-qualche-cosa, quindi esclusione di ciò che rimane estrinseco all’oggetto desiderato. Per amare il Tutto, si deve perciò rinunciare alle proiezioni del desiderio e trasformare, l’anima stessa nell’Amore. L’anima non può così desiderare ed escludere nulla di determinato, perché dialetticamente essa è il Nulla. Quindi essa è il Tutto, l’Amore divino, universale

Teresa Margherita del Cuore di Gesù- morta nel 1770 di peritonite a soli 22 anni- prosegue il percorso “classico” della spiritualità carmelitana: è necessario abbandonarsi completamente a Cristo, seguendo la via del Calvario, agendo sempre con amore ed umiltà. Teresa Margherita realizzò concretamente i suoi propositi, prestando soccorso ed assistenza alle sorelle inferme.



Arriviamo alla vicenda di Teresa di Lisieux (1872-1897), passata alle cronache per essere rimasta curiosamente coinvolta nell’”affare Taxil”. Emblematico come Teresa, durante il suo viaggio a Roma da papa Leone XIII, si fermi a Firenze per pregare sulla tomba di Maria Maddalena de’Pazzi. Teresa, morta di tubercolosi a 25 anni, durante la sua brevissima esistenza fu tormentata dal dubbio e dalla disperazione, alternando momenti di grande slancio emotivo ad altri in cui arrivò a sfiorare il suicidio. L’epoca in cui visse Teresa- la fine dell’Ottocento- è caratterizzata dall’affermarsi del materialismo storico e dalle teorie evoluzionistiche. Il primato culturale cattolico è destinato a dissolversi, sotto i colpi mortali degli epigoni della filosofia dei Lumi. La cristianità cattolica non vive un gran momento. Anche se ormai ha abbandonato le vecchie abitudini inquisitorie, l’uso di “purificare” nel fuoco l’eterodossia dei mistici e delle streghe, lo “spirito” cattolico rimane vigile. Niente di più scontato del continuare a sentire l’odore dello zolfo in casa d’altri.



Quando Leo Taxil inventa la storia del Palladismo e della conversione al Cattolicesimo della Gran Sovrana Diana Vaughan, a molti cattolici non pare vero di vedere finalmente confermati i loro pregiudizi antimassonici. Ricordiamo brevemente la vicenda. Il massone Leo Taxil rivela in un libro le strettissime relazioni tra la Massoneria ed il Satanismo. In particolare è citato un movimento- denominato appunto “Palladismo”- in cui i confini fra tradizione libero-muratoria e dottrina satanista, appaiono alquanto labili. Il Palladismo si configura agli occhi dei cattolici come una sorta di “Massoneria Satanista”. La Gran Sovrana del Palladismo è indicata nella figura di una certa Diana Vaughan, dietro cui si nasconde, in realtà, sotto “mentite spoglie”, lo stesso Taxil. La Vaughan, alias Taxil, annuncia la conversione al cattolicesimo e abiura pubblicamente il movimento, da “lei” stessa diretto. Tutto il mondo cattolico cade nel tranello, compreso papa Leone XIII. Teresa scrive alla Vaughan/Taxil, rallegrandosi per la conversione ed inviando la sua foto di scena nei panni di Giovanna d’Arco. Teresa, completamente irretita, arriva anche a comporre una commedia teatrale sulla vicenda, presentando diavoli, angeli, forche, fiamme, ecc. il 19 aprile 1897, presso la Société de Géographie di Parigi, Taxil svela pubblicamente l’inganno e dichiara di essersi preso gioco della credulità cattolica. Taxil, per dileggiare il mondo cattolico, mostra al pubblico ed alla stampa la foto di Teresa nei panni di Giovanna d’Arco ed il poemetto composto dalla stessa santa. Teresa, cinque mesi dopo, scossa dalla vicenda, si ammala gravemente e muore. L’opera di Teresa, il suo remissivo sentimentalismo religioso è stato ripreso da due emule carmelitane, Celine e Agnese, fautrici della c.d. “infanzia spirituale” e della “piccola via”; in breve, un insegnamento teso a postulare il ritorno allo stato d’innocenza e purezza infantile.

Per concludere con il caso “Vaughan”, non si deve dimenticare che, ancora oggi, alcuni eminenti studiosi di provata fede cattolica, mettono in dubbio la dinamica degli avvenimenti e la veridicità dell’impostura ordita da Taxil. Per citare due illustri nomi, Massimo Introvigne ed ancor di più Cecilia Gatto Trocchi, parlano di commistione di dati autentici e spuri, di dissimulazione e verità taciute nel disegno taxiliano. Gatto Trocchi, in particolare- a differenza del fondatore del Cesnur- continua ad avallare la trita pista della Massoneria Satanista, con molti massoni nelle vesti di fondatori di Chiese dedicate al culto del Diavolo.



La nostra carrellata sul monachesimo carmelitano non può chiudersi senza citare anche Elisabetta della Trinità e Edith Stein. Elisabetta (1880-1906), continuò la tradizione, inaugurata dalla santa aviliana, dell’annichilimento completo nell’icona del Crocefisso, fino a perdere se stessa nell’amore di Dio.

Edith Stein, filosofa, prestigiosa studiosa di Husserl, trovò nell’insegnamento di Teresa d’Ávila e Giovanni della Croce il compimento della fenomenologia.

Ebrea, abbandonato l’ateismo per l’Ordine Carmelitano, scomparve ad Auschwitz nel 1942.

 

 

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