Julius EvolaL'ermetismo e la critica allo spiritualismo contemporaneo. Il problema del cattolicesimo. |
Chiudo questa parentesi, forse non del tutto priva di un
interesse generale retrospettivo. Tornando alla serie dei miei libri, quelli
usciti subito dopo il periodo de La Torre riguardano di nuovo il dominio
delle discipline tradizionali e esoteriche. Si tratta di La tradizione
ermetica, pubblicata nella sua prima edizione nel 1931 presso l'editore
Laterza, e di Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, uscito
nella prima edizione nel 1932 presso l'editore Bocca.
La materia del primo libro l'avevo cominciata a trattare in alcuni saggi di
Introduzione alla Magia. In parte, la conoscenza diretta della letteratura
ermetica la dovetti al Reghini, il quale mi prestò o segnalò antichi testi,
mentre in precedenti articoli egli aveva indicato alcune chiavi per la
comprensione del simbolismo ermetico-alchemico. Inoltre sapevo della materia
attraverso gruppi francesi, soprattutto attraverso quello facente capo alla
rivista Le Voile d'Isis (la quale poi divenne la guénoniana Études
Traditionnelles).
Come nel caso dei Tantra, il mio metodo fu di rifarmi alle fonti originarie e di
raccogliere il più vasto materiale possibile con una seria documentazione, per
poi esporre una sintesi dell'insegnamento secondo il punto di vista "
tradizionale ". Il titolo completo dell'opera era c La tradizione ermetica
nella sua dottrina, nei suoi simboli e nella sua Arte Regia ". A dire il vero,
fu l'ermetismo alchemico a costituire l'effettiva materia del mio studio. Si
tratta di quella letteratura che, partendo da origini mitiche, ebbe già
espressioni precise nel periodo alessandrino, in testi greci e siriaci. La
corrispondente tradizione fu ripresa dagli Arabi, e in gran parte pel tramite di
essi passò nell'Occidente europeo avendo una particolare fioritura nei secoli
XVI e XVII e successive promanazioni fino al tempo in cui nacque la chimica
scientifica.
Nel loro aspetto esteriore tutti i testi di questa plurisecolare corrente
trattano di operazioni chimiche e metallurgiche, soprattutto della fabbricazione
dell'oro e della produzione della pietra filosofale e dell'elixir dei saggi.
Arte ieratica e arte regia, era stata denominata la disciplina, nel suo aspetto
pratico e operativo. Essa era stata esposta impiegando un simbolismo e un gergo
cifrato impenetrabili pel profano. ma anche miti tratti dall'antichità classica.
Alla cultura moderna è sembrato ovvio trattarsi, qui, di una chimica allo stato
infantile, superstizioso e mitologizzante, senz'altro superata dalla chimica
scientifica, e d'interesse solo per la storia delle scienze. Tuttavia con ciò si
considerò come non esistente quel che numerosi autori ermetici ripetutamente e
esplicitamente avevano dichiarato, ossia che le loro esposizioni non erano da
prendersi alla lettera, che il loro, era un linguaggio segreto (tanto che - essi
dicevano - era come se essi scrivessero solo per loro stessi e per coloro che
già sanno), che i principi della loro arte segreta potevano essere compresi solo
per bocca di un Maestro o per una improvvisa illuminazione. Inoltre era evidente
che tutta la concezione basale dell'universo, della natura e dell'uomo di questi
autori era assolutamente diversa da quella che doveva far da fondamento alla
scienza moderna, che essa s'identificava invece con quella dello gnosticismo,
della teurgia, della magia e delle antiche scienze sacre: apparteneva
sostanzialmente ad un altro mondo spirituale.
Intrapresi dunque uno studio sistematico per mettere in luce il vero contenuto
interno della tradizione ermetico-alchemica. In realtà, si trattava di una
scienza iniziatica esposta con un travestimento chimico-metallurgico. Le
sostanze di cui parlavano i testi erano simboli per forze e principi dell'ente
umano o della natura assunta sub specie interioritatis e nei suoi aspetti
iperfisici. Le operazioni riguardavano_ la trasformazione iniziatica dell'essere
umano. L'oro alchemico rappresentava l'essere immortale e invulnerabile, pensato
però negli stessi termini dell'accennata teoria dell'immortalità condizionata:
non come una realtà data ma come qualcosa di eccezionalmente realizzabile
mediante un procedimento segreto. Nell'insieme, ci si trovava di fronte ad una
cosmologia e ad uno speciale sistema di simboli e di tecniche.
Ciò, per quel che riguardava il nucleo più autentico e essenziale della
tradizione in parola, separato dalle scorie e dagli elementi secondari o
accessori. Fra le scorie, rientravano le speculazioni, le opere e le fatiche di
coloro che, per incomprensione, avevano preso alla lettera i simboli e si erano
dati a operazioni fisiche in un più o meno disordinato sperimentare e provare,
nei termini, appunto, di una chimica allo stato infantile e prescientifico. Ma
dai veri " figli di Ermete " costoro erano stati chiamati sprezzantemente "
bruciatori di carbone ", profani che avevano " messo a rovina " la vera scienza.
Quanto agli aspetti secondari, in essi poteva rientrare la possibilità di
operare effettivamente sulla materia, magari su metalli da trasformare, ma per
una via del tutto diversa da quella della scienza e della tecnica moderne, cioè
" passando da dentro " e in base a capacità non-normali strettamente
condizionate dall'avvenuta trasformazione interiore, scopo primo e precipuo
dell'Arte.
Già in vista di tale aspetto apparivano perciò inadeguate anche quelle
interpretazioni c psicologiche " e psicanalitiche che successivamente dovevano
essere date al simbolismo alchemico. Non si trattava di processi dell'inconscio,
di imagini della libido o dell'affioramento involontario e coatto degli "
archetipi " di Jung, sul piano irrealistico e soggettivo della psiche umana; si
trattava invece di operazioni con poteri reali, in base a un sapere preciso. Lo
studio in tale quadro fu il carattere distintivo della mia trattazione.
Ma a parte l'esegesi dell'ermetismo alchemico dal punto di vista iniziatico, a
me interessava presentarlo anche ne: termini di una tipica testimonianza di una
delle due grandi linee tradizionali: dì quella regale, attiva e virile, opposta
alla linea sacerdotale o ascetico-contemplativa. Infatti nell'ermetismo
alchemico stava in primo piano l'istanza pratica, operativa, il primato dell'"
arte ", quindi dell'azione, lo " sperimentalismo " esteso al piano dello
spirito. Era già significativa la designazione più in uso di tale disciplina:
Ars Regia, cioè arte regale. Ma soprattutto gli orizzonti realizzativi erano
caratteristici. Secondo tutti i testi, la Grande Opera alchemica comprende tre
fasi principali, contrassegnate da altrettanti colori - il nero, il bianco e il
rosso: la nigredo, l'albedo e la rubedo. La nigredo, o opera al nero,
corrisponde più o meno all'uccisione dell'Io fisico, alla rottura della chiusura
della comune individualità. L'albedo, o opera bianco, è l 'apertura estatica,
l'esperienza della luce, però con un carattere passivo, per cui essa viene
chiamata anche regime della Donna o della Luna. Lo stadio finale e perfetto, la
rubedo, o opera al rosso, comporta però il superamento di tale fase, la
riaffermazione della qualità virile e dominatrice, per cui nei testi si parla
del superamento della Donna, del regi-me del Fuoco e del Sole. Il rosso, da
molti autori ermetici viene messo esplicitamente in relazione con quello della
porpora regale o imperiale.
Più tardi, nel 1932, curai, per le edizioni Laterza, una riedizione commentata
dell'opera di un ermetista italiano del '600, Cesare della Riviera, intitolata
Il mondo magico de gli Heroi (fra l'altro, dedicata ad un principe di casa
Savoia). A parte la significativa, diretta assimilazione dell'" eroe "
all'adepto ermetico, in essa è interessante la messa in relazione del fine
ultimo e segreto dell'Ars Regia con la conquista del "Secondo Legno di Vita", il
che vale quanto dire col superamento, mediante un'azione che evita il crollo
titanico 0 luciferico, dello sbarramento del luogo da cui, secondo il mito
biblico, Adamo era stato bandito affinché non estendesse il proprio potere anche
sull'Albero della Vita.
Il complesso dei testi da me esaminati costituiva dunque una testimonianza
preziosa del continuarsi, come una vena sotterranea, di una tradizione
rifacentesi al particolare ramo della tradizione primordiale che attirava
maggiormente il mio interesse, anche in seno ad una civiltà in cui era venuta a
predominare una religione che, come il cristianesimo, rappresentava una forma
exoterica dell'opposto orientamento. Fra le ragioni dell'accennato travestimento
alchemico dell'insegnamento io pertanto indicavo non solo quella generica e
intrinseca, per via della quale le " dottrine interne " tradizionali -
l'esoterismo - furono sempre tenute segrete, ma anche il fatto della reale
antiteticità. dell'ideale iniziatico ermetico rispetto ai valori religiosi
cristiani. Se si fosse semplicemente trattato i una mistica sui generis, di una
dottrina soteriologica della rinascita e dell'estasi (come alcuni hanno
preteso), quella precauzione sarebbe stata superflua. L'ermetismo alchemico
continuò, in realtà, una tradizione di spiritualità precristiana e
non-cristiana. Anche la parte rilevante che in essa ebbe la mitologia pagana
(dèi e vicende di dèi, dati come simboli dei principi, degli stati e delle
operazioni dell'Ars Regia) è, a tale riguardo, significativa.
C. G. Jung ebbe a segnalare, di sua iniziativa, il mio libro come una delle
opere essenziali sull'argomento. Oggettivamente, credo che fino ad ora esso
resti la trattazione più completa dell'ermetismo alchemico dal punto di vista
interno e tradizionale. Il libro uscì in seconda edizione presso Laterza nel
1948, e nel 1962 in traduzione francese per le edizioni Chacornac, col testo
pressoché immutato, essendo stata solo aggiunta qualche altra citazione. In
effetti, il materiale documentario dato nel libro era solo una parte di quello
da me raccolto da una quantità di testi; il resto aveva dovuto essere
sacrificato per esigenze editoriali.
Un anno dopo La tradizione ermetica, nel 1932, usciva, per le edizioni
Laterza, un altro mio libro, Maschera e volto dello spiritualismo
contemporaneo, avente per sottotitolo " Analisi critica delle principali
correnti moderne verso il sovrannaturale ". L'argomento l'avevo già cominciato a
trattare in saggi usciti sulle riviste L'Italia Letteraria e La Torre,
non senza una certa relazione, anche, con le confusioni, dovute in parte ad
ignoranza e in parte a malafede, dimostrate da coloro che, come già al tempo di
Imperialismo pagano, mi accusavano di essere un " teosofo ", un " massone " e
simili, a causa dell'interesse da me dimostrato anche per gli insegnamenti
sapienziali tradizionali. Il Guénon aveva già riconosciuto la necessità di
tracciare precise linee di demarcazione proprio a difesa di tali insegnamenti, e
in due delle sue prime opere, L'Erreur spirite e Le Théosophisme, aveva
denunciato gli errori e le confusioni dello spiritismo e della teosofia moderna,
indicando il carattere spurio e deviato di tali correnti. Io ripresi questa
stessa esigenza, facendola però valere anche nei riguardi di altre tendenze e
movimenti contemporanei.
In questo libro, in una certa misura, spostai intenzionalmente il piano della
trattazione. Volli rivolgermi ad un pubblico più vasto, affrontando in prima
linea il problema della difesa della personalità umana di fronte alle seduzioni
e ai pericoli del " sovrannaturale ". La tesi principale da me sostenuta era che
nell'epoca moderna esiste, appunto, un " pericolo spiritualistico " facente da
controparte a quello " materialistico ". Stretti dalla morsa del materialismo,
del razionalismo, del praticismo e dell'attivismo della civiltà ultima e più non
trovando, d'altra parte, adeguata soddisfazione nella religione dominante, in
molti nostri contemporanei si è di nuovo svegliato un impulso incoercibile verso
l'" aldilà ", verso il sovrasensibile, specie se presentato come un dominio di
possibili esperienze vissute. Un tale dominio è stato quasi sempre scambiato
semplicisticamente con quello del " sovrannaturale ".
È un grave equivoco, dovuto alla mancanza di veri principi. Ripresi
l'insegnamento secondo il quale la personalità umana con le sue facoltà normali
e con l'esperienza del mondo fisico e della natura ad esse corrispondente occupa
una posizione intermedia; è situata fra due opposte regioni, l'una inferiore e
l'altra superiore alla condizione che le è propria: l'infranaturale e il
subpersonale da un lato, il vero sovran-naturale e il superpersonale dall'altro,
tali domini non essendo però da concepirsi in termini teorici astratti ma con
riferimento a stati reali e a potenze dell'essere. " In tutto quel che non è più
naturale vi sono due domini distinti, anzi opposti ", affermavo. Da qui, la
duplice possibilità di un autotrascendimento discendente (verso il basso, verso
il prepersonale, il subpersonale e l'inconscio) e di un autotrascendimento
ascendente (verso l'alto, verso ciò che sta effettivamente al disopra della
chiusura - sotto vari riguardi anche difensiva e protettiva - della comune
personalità umana). Ora, nella gran parte delle forme dello spiritualismo
contemporaneo si tratta proprio di " aperture verso il basso ", quindi di una
direzione regressiva che, ove si vada oltre le semplici teorie, può solo dar
luogo a contatti con forze oscure, con l'effetto di un ulteriore indebolimento
della compagine spirituale dell'uomo moderno, già per tanti versi incrinata.
L'opposta direzione veniva da me formulata nei seguenti termini: " una via ad
esperienze tali che, lungi dal ridurre la coscienza, la trasformino in
supercoscienza, che lungi dall'abolire la distinta presenza a sé così facile da
conservarsi in un uomo sano e sveglio fra le cose materiali e le attività
razionali, la innalzi ad un grado superiore in modo da non alterare i principi
della personalità ma invece da integrarli". Solo la via ad esperienze del genere
- concludevo - è quella verso il vero sovrannaturale. Nota alla " dottrine
interne " del mondo della Tradizione, essa è l'opposto di ogni regressione
estatica e di ogni apertura verso il sub-intellettuale e l'inconscio.
Fissato così il punto essenziale di riferimento che, del resto, come si
ricorderà, da me era stato già indicato diversi anni prima, nel periodo
filosofico, nel mio libro analizzai varie correnti contemporanee per separare il
positivo dal negativo sia dal punto di vista dottrinale che da quello pratico.
Di tale analisi, qui è il caso di riferire solo qualche singolo aspetto.
Considerai anzitutto lo "spiritismo" e le "ricerche psichiche " (o
metapsichica). Il primo, unitamente alla medianità e ad analoghe vie evocatorie,
a prescindere dalle mistificazioni, costituisce un caso tipico di c apertura
verso il basso ", verso prodotti di dissociazioni psichiche, residui larvali e
influenze oscure d'ogni genere, a parte torbide emergenze del subcosciente.
Quanto alla "metapsichica" o " parapsicologia ", in essa accusavo l'errore di
applicare il metodo scientifico dei semplici accertamenti sperimentali
dall'esterno ad un dominio, dove esso può solo cogliere delle banalità -
identici fenomeni " extra-normali ", sempre che siano autentici, potendo avere
cause quanto mai diverse e un significato sia "subpersonale " che "
super-personale ". Inoltre queste ricerche si applicano necessariamente quasi
sempre ad un materiale spurio, privo di interesse spirituale, essendo evidente
che nessuna figura superiore, nessun adepto o asceta si presenterà mai a farsi
osservare o misurare dai metapsichici e a produrre per loro dei " fenomeni "
controllabili.
Seguiva la critica della psicanalisi, qui soprattutto di quella di indirizzo
freudiano (il completamento di essa con una critica, anche, di quella dello Jung
fu dato, come ho accennato, in un esteso saggio della seconda edizione di
Introduzione alla Magia). Seppure per un altro verso, anche nella
psicanalisi è evidente lo spostamento regressivo del centro di gravità verso il
fondo irrazionale e sub-personale dell'essere umano, con l'attribuzione ad esso
di una preeminenza e del carattere di forza essenziale motrice della psiche.
Rispetto a ciò, la sessualizzazione freudiana di questo substrato in termini
soprattutto di libido appariva solo come una deviazione secondaria. Sottoliniavo
piuttosto come la terapia psicanalitica comporti una morale alla rovescia, cioè
l'abdicazione della persona di fronte a ciò che in lei è natura e istinto, al
fine di eliminare le tensioni logoratrici e spesso patogene di un essere
interiormente scisso (esula, dagli orizzonti della psicanalisi freudiana, la
nozione di un principio spirituale autonomo e sovrano - per essa, una tale
nozione è perfino patologica - essa viene ridotta a quella del cosidetto
super-Io "). Dunque, di nuovo, un caso di polarizzazione regressiva. Un punto
particolare da me indicato era però che la psicanalisi è figlia dei tempi. Se la
sua concezione dell'uomo è assurda e grottesca se riferita ai rappresentanti di
una umanità normale, essa si attaglia a ciò che, per involuzione, l'uomo
occidentale è sempre più divenuto nei tempi ultimi. La messa in evidenza
dell'inconscio, di un sottosuolo psichico torbido, nella sua potenza e influenza
di là dalle forme illusorie di una pseudopersonalità; con una completa
tacitazione della zona superiore, del supercosciente, caratterizza l'orizzonte
mutilo e, in un certo modo, demonico della psicanalisi quale visione generale.
Essa tuttavia resta un indice segnaletico della situazione esistenziale
dell'umanità ultima.
I due capitoli successivi di critica alla teosofia anglo-indiana (Blavatsky,
Besant - ciò che il Guénon ha chiamato, più che teosofia, tale termine avendo
augusti antecedenti, le théosophisme) e all'antroposofia steineriana avevano un
carattere maggiormente teoretico, di separazione di alcuni insegnamenti
tradizionali autentici dalle distorsioni da essi subite in tali sette, nelle
teorie delle quali è, inoltre, rilevante l'influenza di pregiudizi tipici della
mentalità occidentale moderna e, in particolare, anglosassone (evoluzionismo,
umanitarismo, democrazia). Forse avrei dovuto essere più severo (così pensò
anche il Guénon) nei riguardi dell'antroposofia, e avrei dovuto svolgere alcune
utili considerazioni supplementari circa il " caso " costituito dalla persona
del suo fondatore, Rudolf Steiner. A tale proposito il paradosso è che lo
Steiner era partito dalla giusta esigenza di una " scienza spirituale ", cioè di
una disciplina che applicasse al sovrasensibile e alle tecniche pel contatto con
esso gli stessi principi di positività, di chiarezza e di esattezza delle
scienze naturali moderne (gli stessi principî che in Introduzione alla Magia
avevamo detto essere propri al metodo iniziatico in genere). Ciò malgrado,
nell'antroposofia quasi tutto si era ridotto ad un orgia di visionarismo e di
pseudo-chiaroveggenza, di divagazioni di ogni genere, il tutto inquadrato in un
pedantesco sistema. Questo caso poteva anche esemplificare il pericolo di certe
tecniche mentali; quando ci si sforza di realizzare il cosidetto " pensiero
libero dai sensi " e anche di sciogliere l'imaginazione dalle abituali
condizionalità, si crea inevitabilmente un " vuoto ". E se per crisma, per
naturale dignità o per un collegamento effettivo con una adeguata " catena " non
si dispone di una vera difesa, quel vuoto viene occupato da " complessi autonomi
", da influenze psichiche producenti appunto l'accennata fantasmagoria
visionaria, con l'aggravante dell'associarsi ad essa, per via della stessa
natura dello stato in cui ci si è messi, della parvenza di una assoluta certezza
e verità. Già attraverso le esperienze personali fatte a suo tempo con l'aiuto
di droghe, ciò mi era risultato ben chiaro. Questo è il retroscena occulto di
gran parte della antroposofia steineriana. Inoltre nello Steiner per la fisima
di una " iniziazione individuale " o " dell'Io ", nel senso di una via che
l'individuo - qualunque individuo - potrebbe percorrere da solo, senza difese (e
nello Steiner vi è l'assurda e frivola presentazione di una tale via come quella
di una superiore " iniziazione moderna ", del tutto ignota all'antichità e
all'Oriente, resa possibile solo dalla venuta storica del Cristo), gli accennati
pericoli a cui si trova esposto chi si mette davvero a praticare aumentano. Il
fanatismo degli antroposofi è solo il riflesso di questo cedimento intimo, di
questa inavvertita loro possessione.
Un ulteriore capitolo del libro trattava del misticismo in quei casi in cui il
fattore estatico rappresenta qualcosa di distruttivo per la personalità formata
(come ho detto, soprattutto essa ho avuto in vista in questa mia opera). Nel
considerare l'episodio di Krishnamurti e la teoria dell'assoluta liberazione che
egli era passato a bandire dopo essersi emancipato dalla tutela dei teosofi (che
in lui avrebbero voluto preparare un " veicolo " per la manifestazione di un
nuovo Messia), indicavo i pericoli più generali che, nel senso di un incentivo
all'anarchia, alla distruzione di ogni forma e legge interna, presenta il
proporre simili teorie ad un tipo umano che, come quello occidentale moderno, è
fin troppo propenso a scambiare per libertà l'evasione, l'insofferenza verso
ogni disciplina. Per giunta, non mancavano, in Krishnamurti, riferimenti ad una
equivoca mistica della " Vita " da liberare (in opposto al liberarsi dalla vita)
quasi nello stesso senso dell'irrazionalismo di un Bergson, di un Klages e di
molti altri figli dei tempi. Ciò mi diede l'occasione di indicare la
funzionalità della Tradizione, sfuggente del tutto a Krishnamurti, il quale
aveva cominciato col non capire e col buttare in mare la propria tradizione di
indù, invitando gli Occidentali a fare altrettanto. Nella prefazione alla
seconda edizione del libro, uscita nel 1949, sempre presso Laterza, mettevo in
risalto i seguenti punti: " 1) Non bisogna scambiare l'essere di là da una
tradizione con l'essere al di qua di essa, come ne è il caso per gli
individualisti, le " menti critiche " e ì liberi pensatori moderni: 2) Bisogna
riconoscere sotto quali condizioni un limite impietra e sotto quali altre un
limite può invece proteggere; 3) Quando quel che vale per il " più che umano "
viene applicato all'individuo umano e soprattutto a quello di oggi, si cade
nella più pericolosa delle deviazioni e delle incomprensioni, cosa per la quale
noi non intendiamo assumere alcuna responsabilità ". Si poteva citare anche il
detto: " Vi sono verità simili ad una lama affilata: feriscono, se non sono
tenute nel fodero ".
Come si vede, a poco a poco venivano precisati i correttivi alle teorie astratte
del mio primo periodo, pur senza abbandonare le posizioni essenziali.
Nell'accennata seconda edizione di Maschera e Volto aggiunsi anzi un nuovo
capitolo in cui venivano considerati specificamente anche pericoli in precedenza
accennati, il titolo di esso essendo " Il primitivismo, gli ossessi e il
superuomo ". Da un lato, era indicata la direzione regressiva propria alle
tendenze contemporanee verso il primitivismo, con riferimento, in parte, al
mondo delle popolazioni selvagge, ma anche ai cosidetti moderni " ritorni alla
natura "; dall'altro lato, era però indicata proprio la linea del superuomo
nietzsehiano e dostojewskiano, la quale può condurre al crollo costituito
dall'ossesso se nel punto-limite non si ha una rottura esistenziale di livello e
un cambiamento di polarità l'innesto della dimensione della " trascendenza "
presa nel senso " olimpico " e non dualistico, teistico-religioso). Tale ordine
di idee doveva essere sviluppato ulteriormente nel mio libro che, fino a questo
momento, è il più recente, cioè in Cavalcare la Tigre (1961).
Così non a caso questo capitolo precedeva l'ultimo, intitolato " La magia nel
mondo moderno ", nel quale l'esame si portava sugli affioramenti, in alcuni
autori e gruppi moderni, di insegnamenti che, in via di principio, si rifacevano
alla " magia " nel senso specifico, spirituale e positivo, già spiegato parlando
del " Gruppo di Ur ". Qui ci si trova di già ad un livello diverso da quello
delle altre tendenze criticate. Trassi alcuni riferimenti essenziali da Eliphas
Levi, da Giuliano Kremmerz (creatore, in Italia, di una "catena" denominata
Myriam che svolse la sua attività dalla fine del secolo scorso) e da Gustav
Meyrink, autore di romanzi nei quali, peraltro, un sapere esoterico si affaccia
spesso in una purezza raramente riscontrabile altrove (per questo, anche se non
facendo apparire il mio nome, io in sèguito tradussi tre di tali romanzi: La
notte di Valpurga, Il Domenicano Bianco e L'Angelo della finestra d'occidente;
essi uscirono tutti e tre presso l'editore Bocca). Da tale corrente era indicata
"la via pagana al risveglio " dell'integrazione della personalità in base ad una
ascesi attiva, libera dai miti religiosi e dalle preoccupazioni moralistiche,
con riaffermazione del principio dello sperimentalismo. Così le riserve che qui
feci non toccavano l'essenziale; esse riguardavano, ad esempio, il limite
proprio alle cosidette forme " cerimoniali " (cioè usanti soprattutto riti e
formule, con una oggettivazione quasi realistica di entità e di poteri) o
l'inclinazione " occultistica ", cioè il malvezzo del parlare oscuro, ex
cathedra e ex tripode, con tono di mistero e con paroline a metà. Ma, in genere,
qui si poteva incontrare l'esigenza essenziale: " la possibilità suprema,,, di
trasmutare la personalità umana caduca in quella di un semidio partecipante
all'immortalità olimpica " - corrispondente alla via all'autotrascendenza
ascendente, quindi alla via verso il vero sovrannaturale.
La riserva principale da me formulata era però di un altro genere. Ricordai che
una simile via è stata sempre accessibile solo a pochi. Spesso il
neo-spiritualismo ha fatto, degli insegnamenti esoterici da esso volgarizzati,
un mero surrogato delle religioni, anzi qualcosa di più comodo, data la mancanza
di dogmi e di ogni vincolo positivo. Così, dicevo con sarcasmo, si era giunti a
dottrine del superuomo e dell'adeptato professate in ambienti di donne fuori uso
e di mezzi-uomini, pensionati, umanitaristi e vegetariani - a parte l'altra
direzione, quella della americanizzazione dello yoga e dei metodi " occulti "
ridotti a mezzi per divenire dei " caratteri dominatori ", per curare la salute,
per assicurarsi la via del successo e via dicendo. Tutti questi sottoprodotti
stanno evidentemente non al disopra ma al disotto del livello di una religione
positiva regolare. Dicevo: " Esiste, sì, il diritto di accedere ad una verità
più alta di quella delle religioni positive, a carattere exoterico e devozionale
", alla verità, appunto, affacciatasi negli autori da me per ultimo considerati.
Ma questo " è un diritto aristocratico, il solo diritto che la plebe non potrà
mai usurpare, né oggi, né in una qualsiasi altra epoca del mondo ", perché
condizionato dalla capacità di un " superamento assoluto ". Per la grandissima
maggioranza, oggi si tratta piuttosto di avere il senso di un necessario limite
e di una necessaria difesa di fronte ad orizzonti ampliati di là dalla visione
materialistica del mondo; quindi, anche della capacità del singolo " di chiudere
con calma tante porte che luciferinamente si socchiudono e si socchiuderanno
sopra di lui e sotto di lui ". " La personalità oggi è nel più dei casi solo un
compito, qualcosa di inesistente, a che sia il caso di tendere a quel che sta di
là da essa ". Avendo in vista, in questo mio libro, un più vasto pubblico, tutto
ciò doveva essere detto.
A metà di Maschera e Volto un capitolo dal titolo " I ritorni al cattolicesimo "
può essere stato, per alcuni, motivo di sorpresa, perché per la prima volta nei
miei scritti in esso si trovavano alcuni apprezzamenti positivi nei riguardi del
cattolicesimo. Distinsi due forme, nei ritorni di oggi al catto-licesimo. La
prima era propria a dei falliti, a coloro che, dopo un vano intellettualismo,
dopo l'inutile ricerca di una via, dopo delusioni dolorose, si sono ravvicinati
al cattolicesimo essendo attirati dal suo aspetto di sistema saldo e imperituro.
In tali casi - dicevo - il tutto " si riduce però ad un puro fatto di sentimento
e al bisogno di scaricarsi di un peso ormai divenuto insostenibile, di trovare
infine una autorità, una forma data che sospenda la ricerca, l'incertezza,
l'intima insoddisfazione ". Così in questi casi il contenuto oggettivo e il
valore intrinseco della tradizione cattolica non entravano che accessoriamente
in quistione. Se un'altra tradizione avesse presentato gli stessi caratteri di
stabilità e di autorità con un analogo complesso di mezzi di grazia, essa
avrebbe servito egualmente bene allo scopo. Naturalmente, " ritorni " di tale
tipo erano privi di interesse. Essi stessi avevano un carattere regressivo,
evasionistico.
Io considerai però anche una opposta possibilità, rifacendomi soprattutto ad
alcune vedute di René Guénon. Il Guénon era partito dall'idea di una unità
interna, trascendente, delle grandi religioni positive, che interpretò come
adattazioni varie, condizionate dal carattere specifico di dati popoli, di date
aree e di dati periodi storici, di un insegnamento unico riguardante il
sovrannaturale. A tale riguardo doveva distinguersi l'exoterismo
dall'esoterismo. È exoterismo tutto ciò che è di pertinenza specifica di una
singola tradizione nella sua conscritto, oltre ad avere in vista la gran massa.
L'esoterismo coscritto, oltre ad avere in vista la gran massa. L'esoterismo
riguarda invece la dimensione interna nella quale una data tradizione comunica
con la Tradizione al singolare, su di un piano superdevozionale, intellettuale e
metafisico. Su tale piano è pertanto possibile scorgere l'identità sostanziale
di simboli, riti e esperienze nelle tradizioni " exotericamente " più diverse.
Una scala poteva essere stabilita solo in base alla misura in cui tale identità
è più o meno percepita.
Il nuovo del mio libro era la disposizione a riconoscere questa dimensione "
tradizionale " al cattolicesimo. Non potevo però non fare anche alcune precise
riserve. Anzitutto vi era da distinguere fra cristianesimo delle origini e
cattolicesimo, dando meno valore al primo che non al secondo. Del cristianesimo
in sé, in altri libri, anche in Rivolta, dovevo continuare ad indicare gli
aspetti negativi e problematici, specie nel quadro storico, cioè considerando
quel che esso ha rappresentato di antitetico rispetto al mondo classico-romano e
alla sua visione della vita. Da un altro lato, riconobbi al cristianesimo
originario il valore di una possibile via disperata e tragica della salvazione:
con riferimento sia all'uomo appartenente alla massa dei diseredati e dei
senza-tradizione alla quale a tutta prima si rivolse eminentemente la
predicazione cristiana, sia, più in generale, ad uno speciale tipo umano. "
L'alternativa di una eterna salvezza o di una eterna perdizione da decidersi una
volta per tutte su questa terra, esasperata da imagini impressionanti
dell'aldilà e dall'idea dell'imminente venuta del Giudizio Universale... era un
modo per suscitare, in alcune nature, una estrema tensione la quale, se unita ad
una certa sensibilità pel sovrannaturale, poteva anche dare i suoi frutti " : se
non in vita, forse in punto di morte o nel post-mortem.
Quanto al cattolicesimo, io lo concepii come l'opera di influenze invisibili o "
provvidenziali " che, di là dalla materia prima del cristianesimo, avevano
creato, rettificandola in varia misura, una struttura con tratti " tradizionali
" : qui entrando propriamente in quistione l'elemento positivo e gerarchico, il
corpus dei riti, dei simboli, dei miti, di una certa parte degli stessi dogmi. A
tale stregua, in astratto, il cattolicesimo rivestiva l'aspetto di un
particolare modo di apparire della Tradizione e, sempre in astratto, era data la
possibilità di integrarne i contenuti di là dal piano semplicemente religioso,
in termini metafisici e intellettuali. È in tale quadro che presentai la
seconda, eventuale forma di un ritorno al cattolicesimo, forma, allora, non più
regressiva e fallimentare. In tale caso il cattolicesimo si presentava non come
un punto di arrivo, ma come un punto di partenza e si doveva prescindere da
tutto ciò che il cattolicesimo è praticamente, dal suo livello sempre più
abbassatosi e dall'inesistenza, in esso, di una salda " dottrina interna ". Come
conclusione di una analisi necessariamente sommaria, io scrivevo: " Pei
migliori, pei nonspezzati, il ritorno al cattolicesimo in tanto può avere un
valore positivo, in quanto costituisca il primo passo in una direzione, la quale
deve necessariamente portare oltre il cattolicesimo in senso stretto, verso una
tradizione veramente universale, unanime e perenne, ove la fede possa integrarsi
in realizzazione; il simbolo, in via di risveglio; il rito e il sacramento, in
azione di potenza: il dogma, in espressione simbolica di una conoscenza assoluta
e infallibile, perché non-umana, e come non-umana vivente negli " eroi " e negli
"asceti ", in coloro che si sono sciolti dal vincolo terrestre ".
Questa più alta possibilità era, naturalmente, più che problematica. Si capiva
da sé che su tale linea gran parte dei contenuti specifici cristiani del
cattolicesimo era o da " ortopedizzare " o da eliminare del tutto, che la
pretesa di unicità, di esclusività e di superiorità del cristianesimo era da
respingersi, come era da respingersi il mito del Cristo storico quale " figlio
di Dio " espiatore e redentore dell'umanità, quindi figura non paragonabile a
nessun altro creatore di religioni o ad un " avatar " divino: che la dimensione
simbolica e esoterica della gran parte degli insegnamenti doveva essere
considerata come la sola essenziale. L'elemento intellettuale e metafisico
avrebbe dovuto consumare quello emotivo, sentimentale e devozionale che,
sostanza originaria del cristianesimo, costituisce pur sempre l'irriducibile
sottofondo dello stesso cattolicesimo.
D'altra parte non avevo difficoltà a riconoscere che "di fronte a tante
confusioni e deviazioni " spiritualistiche " il cattolicesimo può ancora
mantenere un significato ". Inoltre, " che persone, le quali non hanno
conosciuto altro che le vanissime costruzioni della filosofia profana e della
cultura plebeo-universitaria e che le contaminazioni dei vari estetismi,
individualismi o romanticismi contemporanei si " convertano " al cattolicesimo e
con ciò si dimostrino almeno capaci di entrare in un ordine di maggiore serietà
interiore: che tali persone facciano così, a noi - agli autori di Imperialismo
Pagano - non può che sembrare desiderabile. Ciò è già qualcosa, è meglio di
nulla. La fede e l'obbedienza non nel senso sentimentalistico, passivo-feminile,
ma nel senso virile, eroico e sacrificale è già cosa ben più alta e difficile di
tutte le " affermazioni " di un malo individualismo ".
Queste frasi ribadivano la posizione nettamente antilaica, lontana da ogni
volgare anticlericalismo, che è stata sempre propria al mio orientamento. In
effetti, personalmente per il più umile e incolto sacerdote cattolico io ho
sempre avuto maggior considerazione che non per un qualsiasi noto esponente
della "cultura" e del pensiero moderno (con inclusione, però, degli esponenti di
certa filosofia cattolicheggiante).
Il Guénon aveva già impostato il problema della integrazione "tradizionale" del
cattolicesimo non solo sul piano individuale, ma anche su quello generale; dalla
soluzione positiva di esso egli aveva fatto dipendere (in La crise du monde
moderne) la possibilità di una rinascita dell'Occidente. Naturalmente, simili
avances non avevano avuto séguito alcuno, per quel che riguarda gerarchie
cattoliche dotate dì autorità. Il Guénon poteva anche dire che " il fatto che i
rappresentanti attuali della Chiesa cattolica capiscano così poco della loro
dottrina non deve essere motivo per dimostrare, noi, la stessa incomprensione ".
Ma ciò non cambiava in nulla le cose: chi eventualmente capisce di più " resta
un outsider.
La direzione positiva, da me accennata, di un ritorno al cattolicesimo era
dunque riservata a qualche individuo isolato, dotato di una special
qualificazione, che però non poteva conta: .e su di un vero sostegno, che anzi,
se come praticante regolare fosse entrato nell'orbita del cattolicesimo, doveva
star bene attento a non farsi insensibilmente piegare dalla corrente " psichica
" corrispondente a tale tradizione presa non in astratto ma nella sua
concretezza. In effetti, in quello che vien chiamato il " corpo mistico del
Cristo " è ormai da vedersi, piuttosto, una corrente psichica collettiva agente
in un senso meno sovrannaturale e trascendente che non vincolante, sì da
paralizzare ogni più alta vocazione.
Di passata, posso accennare che negli anni del '30 feci io stesso alcune
esplorazioni personali trascorrendo un breve periodo in incognito in monasteri
di Ordini che valgono eminentemente come i rappresentanti della tradizione
ascetico-contemplativa cattolica - i Certosini nella loro sede centrale, i
Carmelitani e i Benedettini della regola antica. Feci la stessa vita dei monaci
e presi contatto coi patres preposti alla formazione spirituale dei novizi.
Raccolsi informazioni anche presso i Cistercensi di Heiligenkreuz, in Austria.
Delle forme superiori, intellettuali della tradizione contemplativa, non vi era
quasi più nulla da trovare. La base era l'elemento liturgico-devozionale in uno
sviluppo ipertrofico. Le cariche " psichiche " di quegli stessi monasteri mi
sembrarono tutt'altro che favorevoli per un'opera anche segreta, individuale, di
realizzazione di contenuti metafisici nel quadro cattolico. Del livello del
cattolicesimo ufficiale di oggi - livello barrocchiano, moralistico,
socializzante e politicizzante, fiaccamente paternalistico, aborrente i "
medievalismi " - è poi superfluo parlare.
Tornando a Maschera e Volto, il riconoscimento degli aspetti "tradizionali" del
cattolicesimo era peraltro limitato al piano specifico dei problemi trattati nel
libro (la difesa della personalità, i pericoli dello "spirituale", il senso del
vero sovrannaturale); per il resto, come ho detto, si trattava di una
considerazione sul piano astratto, soltanto dottrinale. Perciò restava
impregiudicato il giudizio sulla funzione storica avuta in Occidente dal
cattolicesimo quale erede, malgrado tutto, del cristianesimo, in antitesi con
l'altro polo, con quello di una spiritualità a carattere non
sacerdotale-contemplativo, ma regale e attivo. I punti precisi di riferimento, a
tale riguardo, dovevano essere fissati nella mia opera principale, di morfologia
delle civiltà e di filosofia della storia, con notevole divergenza dalle vedute
del Guénon.
Maschera e Volto forniva dunque dei criteri per un orientamento e per una
discriminazione oggettiva nel campo del neo-spiritualismo. Il libro avrebbe
dovuto eliminare anche, una volta per tutte, ogni equivoco nei riguardi delle
posizioni da me difese, che non erano né " teosofiche ", né " occultistiche ",
né " massoniche " o simili. Invece le cose poco cambiarono. Gli esponenti della
cultura profana non avevano nemmeno una lontana idea di differenze
essenzialissime di rango; tutto ciò che cadeva fuori dal loro campo e delle loro
routines di una " stupidità intelligente " (per usare una felice espressione
dello Schuon), era immerso come in una notte, in cui tutte le vacche sono nere.
D'altra parte, specie Maschera e Volto mi fece nemico l'opposto campo, appunto
quello dei neo-spiritualisti, dei teosofisti, degli antroposofi, degli
spiritisti e simili, ai quali non avevo risparmiato le più severe critiche, di
cui avevo indicato gli errori, le falsificazioni e le divagazioni. Vero è che
costoro non erano nemmeno in grado di capire; dato il loro livello
intellettuale, per essi esposizioni basate su di un serio apparato culturale e
critico, erano inaccessibili e fastidiose, tanto essi erano usi alle
volgarizzazioni e ai più piatti adattamenti richiesti da esigenze sentimentali o
dal gusto per l'inusitato e per l'" occulto ". La via giusta - tenersi lontani
sia dalle divagazioni spiritualiste, sia dai trivi e dalle convenzioni della
cultura ufficiale pur seguendo il metodo, i criteri di seria informazione e di
critica oggettiva di questa - era la meno ripromettente. Proprio ciò ha limitato
la diffusione dei miei libri sugli accennati argomenti. Ma è su questa linea che
io mi sono sentito tenuto ad assolvere un compito, compito avente invero pochi
antecedenti.