Dai Veda una Spiritualità ed una Civiltà “Solari”

 

di Pino Landi

 

 

Il nostro corpo è il simbolo

 del nostro essere reale,

 e tutte le cose sono un simbolo

 di una qualche realtà superiore. 

(Sri Aurobindo  - “Lettere sullo yoga” vol 3 pag. 262)

 

 

In una visione più ampia ed integrale di quella materialistica, l’uomo si estende su diversi piani di esistenza ed in questi agisce e ne riceve riflessi; inoltre ogni movimento manifesta effetti su tutti i piani, in ciascuno secondo le dinamiche e le modalità che li reggono. Ciò accade sia che l’uomo ne sia consapevole che, come nella grandissima parte dei casi, totalmente incosciente al riguardo. Poiché la mente ha un suo proprio capo d’azione limitato dalla sua conformazione e struttura funzionale, non è attraverso questo strumento che si potrà avere la consapevolezza dei diversi piani e della nostra esistenza in essi; ed inoltre, una volta raggiunta in un qualche altro modo tale consapevolezza, diventerebbe impossibile parlarne o riflettere su di essi, a meno di non utilizzare  mezzi che svolgono azione di intermediari tra la coscienza mentale, indispensabile sul piano materiale, e i livelli di coscienza più ampi che possono dare la consapevolezza di cui si parla.

Uno dei più importanti mezzi a disposizione dell’uomo è il simbolo, che potrebbe essere definito come una forma che rappresenta su di un piano la sostanza di un altro piano. Da questo punto di vista ogni forma è un simbolo, o meglio può essere un simbolo, perché la forma diviene effettivamente simbolo solamente se c’è la volontà di una coscienza che la riconosce come tale.

In un certo senso, per usare le espressioni relative e suggestive del linguaggio umano,  tutte le cose sono simboli attraverso i quali  dobbiamo avvicinarsi ed accostarci  a Quello grazie al quale noi ed esse esistiamo. (Sri Aurobindo – “La Vita Divina” - cap II.)

In una visione siffatta il simbolo è quindi uno strumento interpretativo universale, valido in ogni tempo e luogo, trascende e prescinde dalla cultura, poiché nella sostanza l’uomo è uomo in ogni tempo e latitudine, con la medesima struttura fisica, mentale e psichica.

        In una tipica dinamica intellettuale, ed a puro scopo esplicativo, si potrebbero analiticamente distinguere diverse tipologie di simboli, a seconda della loro origine e rapporto con la comune  percezione mentale umana. Particolare importanza acquisiscono quei simboli che potremmo, in una catalogazione come quella suddetta, indicare come “naturali”, nel senso che interpretano forme che costituiscono il “paesaggio” in cui si svolge la nostra vita materiale e quotidiana, quali possono essere il sole, l’acqua (raccolta in fiumi o nel mare), il cielo diurno o notturno, la luna, le stelle, il vento e così via…Molti di questi sono indispensabili per il mantenimento della vita stessa e la loro funzione fa parte integrante del simbolo stesso.

Il sole per esempio, poiché è di questo che vorrei parlare in questo articolo, è indispensabile per la vita, in quanto dispensa calore e luce. Nel momento in cui compare nella coscienza umana la concezione del “divino”, questa diviene indissolubilmente legata e collegata a ciò che il sole fisico rappresenta per l’uomo stesso. Così la conoscenza, intesa come “luce che fa vedere le cose” si identifica in modo immediato con la luce del sole medesimo. Ecco allora che il “sole” acquista diversa valenza in relazione al piano su cui la coscienza che percepisce si pone. Potremmo anche dire la stessa cosa con altre parole: sul piano del Supermentale il Sole è la Verità che promana dall’alto, la Gnosi Supermentale, percepita in modo diretto, per identificazione; poiché la Verità quando scende di piano in piano si modifica filtrata dalla sostanza dei piani diversi, ogni piano ha il suo specifico “sole”, con il suo colore, le sue vibrazioni, la sua specifica qualità di energia…

Il sole dona alla terra semi di vita, irrorandola di fecondità: rappresenta le tipiche qualità che in una specie bisessuata vengono identificate e definite nella parte maschile della coppia. Forza ed energia di vita potenziale nei raggi del sole, accoglimento e sviluppo della vita stessa nella terra.

        Prima di entrare nel cuore dell’oggetto della mia argomentazione, vorrei fare un breve accenno alla possibilità di lavorare in concreto con il simbolo del sole, di farne un tassello portante della sadhana, meditando di fronte al sole fisico, mentre determina il corso del giorno con le sue diverse posizioni nel cielo, lasciando che il sole interiore venga acceso, con la volontà e l’inflessione di cogliere tutta la luce e l’insegnamento che sia possibile assorbire, nell’aprirsi  all’ispirazione ed all’intuizione che questo simbolo vivente veicola.

        Il simbolo del sole è presente in ogni civiltà umana, alcune hanno impregnato la loro essenza di questo simbolo, innanzitutto facendone il fulcro delle conoscenza più profonda, che si è irraggiata nella cultura, nelle arti, nella filosofia, nelle religioni. Vorrei proporre una serie di considerazioni a dimostrazione che ciò è accaduto anche per la civiltà che si è sviluppata sul subcontinente Indiano.

        In questa trattazione non possiamo che partire dai Veda, che sono la fonte da cui scaturisce tutto il pensiero indiano successivo, fonte inesauribile per molti millenni, poiché è ancora viva e ricca di acque limpide e salubri. Meglio dire che con i Rishi di quell’antica epoca si formò l’anima stessa dell’India, poiché da questa sorgente è nato e si è sviluppato e diffuso non solo il pensiero, le filosofie e le religioni Indiane, e quindi di grandissima parte dell’Asia, ma anche dell’arte e della letteratura, dei miti. Anima dell’India di cui i Veda stessi sono espressione, manifestata in un linguaggio ancora oggi interpretabile, solamente  se si trascendo la mentalità dello studioso erudito e la forma mentis dell’uomo moderno.  Occorre infatti considerare i mutamenti che si sono verificati nella psiche dell’uomo nei circa seimila anni che sono trascorsi dalle più antiche trascrizioni di quella sapienza, che era stata per altro  trasmessa da bocca ad orecchio chissà per quanti secoli precedenti…La struttura psichica e la costruzione sapienziale di coloro che crearono i Veda erano fondate sull’intuizione e la forza dei simboli, piuttosto che sulla logica concettuale. La mente dell’uomo successivamente da un lato fu governata dalla logica razionale e da concetti astratti e dall’altro  interpretò gli accadimenti e gli oggetti materiali alla sola luce dei sensi e dell’intelletto, relegando il ruolo dell’immaginazione a mero gioco estetico, ghettizzato nell’espressione artistica fine a sé stessa. I Rishi vedici ricercarono invece in ogni cosa ed accadimento il  significato divino e mistico ed utilizzarono l’energia e le possibilità dell’immaginazione per traguardare oltre le porte della Verità. Essi svilupparono intuizioni luminose, pervennero ad una rivelazione spirituale unica per potenza, qualità e intensità, su cui basarono la propria struttura di pensiero e parole, quella appunto tramandata nei Veda.

Nei Veda gli aspetti del mondo fisico sono rappresentazioni di divinità cosmiche, il loro riflesso nella vita interiore rappresentazioni di dei, e tutti questi sono puri nomi ed aspetti e poteri di un solo unico Essere Divino. Gli antichi mistici e saggi Rishi cantarono il viaggio spirituale e interiore dell'uomo esprimendolo con le immagini comuni nella vita esteriore e sociale, per meglio farsi comprendere da chi poteva, ma anche perché nulla meglio di queste immagini poteva celare i segreti e la conoscenza al non iniziato. Essi parlavano ad un popolo di pastori nomadi e di guerrieri e quindi la vita era rappresentata da un viaggio, un viaggio pieno di avventure e battaglie: una ascesa verso la volontà divina e le lotte avvengono contro le forze contrarie alla Luce ed al Sole. Il “fuoco”, la “luce” ed il “sole”, spesso sinonimi intercambiabili negli inni vedici, non sono semplicemente interpretabili nella loro materialità, e neppure come  mere analogie e similitudini didattiche: sono immagini intrinsecamente unite a tutte le idee ed il “sentire” ad esse intrecciato, fino ad “aderire” psichicamente e spiritualmente, in modo quindi del tutto integrale a quel simbolismo che vive dentro e fuori l’uomo. Il “Fuoco Vedico” è definito come il “costruttore dei mondi”, “l’Immortale nascosto negli uomini”, Agni, (immagine solare per definizione ed eccellenza) “diventa e contiene tutti gli Dei”; e la  folgore di Veda, il Fuoco elettrico è “il Sole che è la vera luce, l’Occhio, l’arma meravigliosa dei divini esploratori Mitra e Veruna” .

Premesso e ribadito che non è possibile comprendere i Veda se non si comprende che ogni “dio” cantato in quei versi è un aspetto, un “potere” di un Divino unico e di essenza indivisibile, vediamo fin dal primo inno del Rig Veda delinearsi l’aspetto solare dell’onnipresente Agni.

 

Agni invoco, vicario dell’offerta

deità che agisce per mezzo del vero,

guerriero della suprema delizia.

Per suo tramite l’uomo può ottenere

una ricchezza ogni giorno più grande,

glorioso e colma d’eroica conquista.

Possa Agni, la cui forza veggente

è Verità, invocatore prodigo

nell’ascolto, portarci qua gli dei

 

O fuoco fulgido, chi sa donarsi

tu lo colmi di fausta beatitudine

perché questa è, o radioso, la tua indole.

A te, sovrano del nostro avanzare,

custode della verità splendente,

fiamma crescente nella tua dimora.

 

Possa tu renderti a noi accessibile,

o Agni, come un padre verso il figlio

...

(Rig Veda 1-1)

 

Agni è il Dio del fuoco, custode del fuoco sacrificale: un aspetto di Luce e Potenza. Un dio solare quindi, che rappresenta ad un tempo sia il sacerdote, che l’offerta, che il dio a cui il sacrificio viene indirizzato…il Divino che si presenta come vita  attivamente guadagnata (ricchezza e conquista), ma anche come luce e fuoco, conoscenza e forza, doni per chi ha la capacità di prenderseli ( che è anche contestualmente colui che sa donarsi). Agni rappresenta ben più della funzione del  “padre” ed anche della personificazione del principio della luce e del calore, anche se solo questo basterebbe per identificarne la caratteristica “solare”. “Egli è il custode della Verità, di rtam nell’uomo, e la difende contro i poteri dell’ oscurità…” (Sri Aurobindo – “Il segreto dei Veda”)

       

Con le sue splendenti membra egli ha costruito nella sua estensione il mondo intermedio, purificando la volontà-d’azione con l’aiuto di puri signori della saggezza; indossando la luce come una lunga veste che abbraccia interamente la vita delle acque, egli ha plasmato in sé vasti splendori e senza alcun difetto

(Rig Veda 3-1-4)

 

Egli è allo stesso tempo il figlio del Padre e colui che lo generò; essendo uno, è stato nutrito dalle sue molteplici madri nella loro espansione. In questo puro Maschio entrambi questi poteri nell’uomo (la terra e il cielo) hanno il loro comune signore e amante; tu custodiscili entrambi

(Rig Veda 3-1-10)

 

 

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Come sempre accade nei libri “sacri”, intesi come testi contenenti una conoscenza che procede oltre il mentale, attraverso simboli, miti, visioni, la medesima simbologia, il medesimo insegnamento, viene ripetuto molte volte identico nella sostanza ma attraverso le più svariate forme. Il principio dell’esistenza, considerato settuplice, scaturisce con i sette raggi di Surya Savitar, l’aspetto creativo del Divino, come tale il “Padre”. Surya,  il Dio Vedico del sole, rappresenta “il piano di conoscenza Divino, gnostico e solare, che funge da anello di congiunzione tra gli emisferi inferiore e superiore dell’essere.”  

Nella mitologia Induista Surya Savitar è figlio di Aditi, la Dea Madre e viene di volta in volta chiamato con diversi appellativi, che fanno tutti riferimento alle sue proprietà solari: Vivasvat (padre dell'umanità), Arhapati (signore del giorno), Bhaskara (creatore della luce), Gabhastimam (padrone dei raggi), Dinakara (creatore del giorno). E’ solitamente raffigurato su di un carro d’oro ed infuocato che attraversa il cielo (l’identità di questa rappresentazione con quella di altre mitologie lontane nel tempo e nello spazio non è affatto casuale), trainato da un cavallo a sette teste (Etasha), sette sono i raggi che da lui emanano; ha in testa la corona dorata del disco solare ed in mano il loto e la conchiglia, o la chakra (ruota).

La ruota, a volte nella sua stilizzazione di svastika, è uno dei simboli solari più rappresentati; nei Veda in particolare appare il significato cosmico della ruota, dalla cui rotazione permanente nascono lo spazio e il tempo.  Non è un caso che fuoco e ruota siano contemporaneamente le prime “scoperte” più importanti dell’uomo, una vera e propria “rivelazione”, o un privilegio sottratto a divinità di altri piani, ed anche i simboli del sole più diffusi ed “intutivi”.

 

 

 

I templi Indù sono estremamente ricchi di statue e bassorilievi di ogni genere. L’immagine che essi offrono è estremamente significativa di ciò che rappresenta  oggi la religione, forse ogni religione: costruzioni ancora funzionali ma semidiroccate che purtuttavia veicolano ancora i simboli, i riti ed i miti che contengono, per chi sa coglierla, una grande sapienza e saggezza. Tra questa grande messe di simboli, tanti sono i simboli solari e frequentissima la ruota. In particolare nel tempio “solare” più famoso dell’India, quello di Konarak, sono presenti le grandi ruote del carro solare.

 

 

 

Ancor più che nei templi l’attualità del carattere “solare” della spiritualità dei Veda si può cogliere nel Gayatri Mantra, che è il mantra più conosciuto e diffuso in tutta l’India, recitato e cantato per devozione, utilizzato per innumerevoli pratiche ed in diverse scuole di yoga.

Mantra diversi sono dedicati a diverse divinità, ma ciascuna di esse altro non è che una manifestazione di Isvara, la definizione “personale” del Brahman impersonale. L’atto devozionale necessita di un “referente” definibile, perciò “Quello” viene definito come Isvara, quale “sintesi” di ogni dio a cui il mantra viene indirizzato. In altri termini l’utilizzo di un mantra corrisponde all'adorazione di Isvara nella manifestanzione di un particolare Devata. Il Devata del Gayatri Mantra è il Sole.

        Nel primo inno vedico sopra riportato, Agni è anche oggetto di devozione, come aspetto di Isvara; tramite Agni, viene adorato Isvara nella forma di fuoco, quindi il fuoco è simbolo di Isvara. Analoga dinamica regge lo yoga devozionale chiamato Sandhya Vandana. Sandhya è il momento del giorno in cui il la notte diviene giorno, cioè il Sole sorge, o il giorno diviene notte,  quando il Sole tramonta: Isvara in queste ore del giorno è adorato nella sua forma divina che  regola l'orbita solare, col nome di Savitur devasya, e su questo verte la meditazione mediante l’uso del Gayatri Mantra.

 


Tat Savitur Varenyam
Bhargo Devasya Dhimahi
Dhiyo Yo Nah Prachodayat

 

'Meditiamo sulla suprema luce (Coscienza) di Dio, che crea e nutre questo universo. Che solo dio illumini e ispiri i nostri pensieri'

 

        Quell'Isvara che si manifesta esternamente nella forma del Sole che illumina e rende visibile le cose, è reale anche dentro l’uomo, è il sole interiore,  la Coscienza che illumina pensieri e sentimenti, che rende possibile percezione e conoscenza. Si chiude il circolo di cui è centro l’essenza del simbolo: il Sole non è cosa diversa dall’Isvara, il Divino nel cosmo, questo dall’Unico Reale, il Brahman, e questo dall’Atman, il Divino nel’uomo…

        L’interpretazione simbolica dei Veda è la chiave ne che mostra il “segreto”, il cuore dell’insegnamento non può essere colto attraverso una qualunque codifica mentale, neppure sotto forma di analogia. Il senso è nascosto perché non tutti sono capaci di penetrarlo e non è un segreto che possa essere svelato da informazioni umane. La chiave interpretativa è psichica, legata da un lato alla sincera volontà ed aspirazione,  e dall’altro ad ispirazione e rivelazione provenienti dai piani in cui insiste l’essenza di cui il simboli son forma sul piano della materia e degli accadimenti.

        Il “sacrificio” dei Veda, attraverso il “fuoco”,  è un tendere verso la luce ed il calore del “sole” , per divenire quella stessa luce e calore, diventare “Sole”, o meglio riconoscersi nel “Sole” che siamo sempre stati.  La Luce sottratta e nascosta  nelle caverne, di cui parlano i miti dei Veda, non è una traduzione ingenua e fiabesca delle conquiste degli Arii e del furto di bestiame degli antichi popoli autoctoni, ma la descrizione simbolica della lotta per riconquistare il “sole nascosto nella caverna”, riappropriarsi cioè  della Coscienza di Verità involuta nelle caverne della nostra interiorità.

 

Inno a Savitar

 

  1. Gli illuminati aggiogano la mente

ed i pensieri alla deità radiosa,

al vasto, al luminoso in coscienza;

solo conoscitore dell’intero

manifestarsi della conoscenza,

egli è il solo ordinatore del rito

in ogni parte. Grande è la lode

di Savitar, divinità creatrice.

 

 

  1. Tutte le forme sono dei vestiti

che il Veggente indossa per foggiare

per la creatura duplice e quadruplice

il bene e la beatitudine. Savitar

con la sua luce raffigura il nostro

mondo celeste; egli è il supremo

desiderabile, ampia è la luce

del suo splendore al giunger dell’aurora.

 

  1. In questa marcia tutti gli altri dei

nella loro vigoria la grandezza

seguono di questa divinità.

Questo è il luminoso dio Savitar

la cui forza e grandezza ha misurato

i nostri mondi terrestri di luce.

 

  1. Ma anche tu, o Savitar, ti rechi

nei tre mondi risplendenti del cielo

e ti palesi nei raggi del Sole,

da entrambi i lati avvolgendo la Notte;

Mitra divieni, o deità, con le stabili

leggi di Verità che gli appartengono.

 

  1. E solo tu possidei il potere

di creazione e divieni accrescitore,

o dio, sul tuo sentiero procedendo,

illumini l’intero divenire.

Syavasvah, o Savitar, ha stabilito

l’affermazione della tua deità.

 

(Rg Veda 5-80)


 


 


Articolo pubblicato nella rivista LexAurea32, si prega di contattare la redazione per ogni utilizzo.

www.fuocosacro.com

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