I Veda e L’uomo del terzo millennio

 

Pino Landi

         “I Veda sono la creazione di un antica struttura mentale intuitiva e simbolica alla quale la mente successiva dell'uomo, fortemente intellettualizzata e governata da un lato dall'idea razionale e da concezioni astratte, dall'altro dai fatti della vita e della materia accettati per come essi si sono presentano ai sensi e all'intelligenza senza ricercare in essi alcun significato divino o mistico, abbandonandosi all'immaginazione come gioco della creatività estetica piuttosto che come possibilità di apertura delle porte della verità e confidando nei suoi suggerimenti solo quando essi sono confermati dalla ragione o dall'esperienza fisica, esclusivamente consapevole di intuizioni prudentemente intellettualizzate e recalcitrante verso la maggior parte delle altre, è cresciuta totalmente estranea. “

         Questa sintetica definizione, tratta dalla Sintesi dello Yoga di Sri Aurobindo, tratteggia molto ben cosa possono significare per un uomo del terzo millennio quegli inni, scritti in una forma poetica ineguagliabile oltre settemila anni fa. La poesia per i Veggenti-Sacerdoti-Filosofi che redassero quei testi non aveva una finalità estetica, era uno strumento di conoscenza, seppure molto diversa da ciò che oggi chiamiamo conoscenza. I versi sono veri e propri mantra, in grado di accendere un fuoco od alimentarlo in colui che, allora come oggi, abbia volontà e capacità di essere in sintonia con le vibrazioni della loro essenza.

Per i Rischi vedici non c’era differenziazione tra conoscenza, spiritualità e religione; i Veda possono essere rappresentati come una fonte limpida e cristallina, che ha alimentato per millenni la sapienza successiva.

         Tutto ciò premesso aiuta a comprendere il metodo, di valore universale, con cui Sri Aurobindo traduce, dall’antichissimo sanscrito, e commenta i Veda. Non un’opera scientifica, anche se la rigorosità linguistica è eccellente. Neppure semplice opera da erudito, anche se non ha nulla di meno, sotto questo aspetto, di quella di Sayana, autorevole studioso della metà del XIX secolo. Sri Aurobindo rivive come moderno Rishi i versi, le immagini, i simboli proposti, ricavandone ed offrendoci il dono di una interpretazione psicologica e spirituale. In quegli antichi insegnamenti ritrova e rivela identica sostanza di quanto in tempi e luoghi più vicini è stato successivamente detto, seppure in forma diversa, dai metafisici Vedantini in India, dai filosofi presocratici, Pitagora e da Platone nell’antica Grecia.

         Il valore di questo metodo non risiede solamente nell’individuare l’identica sorgente che alimenta quel fiume carsico della conoscenza gnostica, per identificazione, oltre la conoscenza logico-mentale, che appare e scompare a tratti lungo la storia dell’uomo; non solo offre un metodo che consente ad ogni cultura di riscoprire l’essenza dell’insegnamento spirituale contenuta nei libri sacri, che ogni civiltà possiede, depurando la conoscenza in essi contenuta dalle incrostazioni con cui dogmi e credenze l’hanno seminascosta. Soprattutto Sri Aurobindo ci fa scoprire nei Veda qualcosa di estremamente valido e concreto per l’uomo che oggi voglia intraprendere un cammino di trasformazione e crescita della propria coscienza; risponde alla eterna domanda di motivazione esistenziale della comparsa dell’uomo, propone la sua funzione, illumina la sua storia, offre un progetto ed una speranza per il suo futuro.

“Una volta interamente riscoperto, si troverà che il segreto nascosto nei Veda formula quella conoscenza e pratica della vita divina verso cui la marcia dell’umanità, dopo lunghe peregrinazioni nella soddisfazione dell’intelletto e dei sensi, deve inevitabilmente ritornare…” (Sri Aurobindo)

 

 

I Veda oggi. ( I° )

 

“I Veda furono per questi antichi veggenti il Mondo che scopriva la Verità rivestendo di immagini e di simboli i significati mistici della vita.”  Sri Aurobindo

 

Come da una medesima fonte scaturiscono rivoli diversi, che sviluppano il loro corso secondo il terreno che si trovano ad attraversare, così i Veda sono la fonte da cui scaturisce il pensiero indiano successivo. Meglio dire che con i Veda si formò l’anima dell’India; unitamente alle Upanishad (chiamate anche Vedanta, in quanto parte finale ed organicamente interconnessa ai Veda), sono stati sorgente del solo pensiero, delle filosofie e delle religioni Indiane, e quindi di grandissima parte dell’Asia, ma anche dell’arte e della letteratura, dei miti.

I Veda furono espressione dell’anima dell’India ed in quanto tale la forma ed il linguaggio con cui furono scritti può essere completamente incompreso ed equivocato da chi si avvicina a questa conoscenza senza la necessaria apertura, con sola inflessione di studioso od erudito. Occorre innanzitutto considerare i mutamenti che si sono verificati nella psiche dell’uomo nei circa seimila anni che sono trascorsi dalle più antiche trascrizioni di quella sapienza, che era stata trasmessa da bocca ad orecchio chissà per quanti secoli precedenti…

Si potrà obiettare che mutamenti non sono essenziali, ma mere incrostazioni di superficie, ciò tuttavia non muta il fatto che nei tempi successivi dei Veda fu colto solamente  l’aspetto formale di libri di mitologia e cerimonie sacrificali, funzionale alla mentalità, le idee e le finalità dei preti induisti e dei Pandit (intellettuali). Gli occidentali moderni li hanno poi interpretati solo alla luce delle nozioni storiche, etniche, religiose, per altro con il pregiudizio fondamentale di attribuirli una razza da essi impropriamente  ritenuta primitiva e rozza.

 

La struttura psichica e la costruzione sapienziale di coloro che crearono i Veda erano fondate sull’intuizione e la forza dei simboli piuttosto che la logica concettuale. La mente dell’uomo successivamente da un lato fu governata dalla logica razionale e da concetti astratti e dall’altro  interpretò gli accadimenti e gli oggetti materiali alla sola luce dei sensi e dell’intelletto, relegando il ruolo dell’immaginazione a mero gioco estetico, ghettizzato nell’espressione artistica fine a sé stessa. I Rishi vedici ricercarono invece in ogni cosa ed accadimento il  significato divino e mistico ed utilizzarono l’energia e le possibilità dell’immaginazione per traguardare oltre le porte della Verità. Essi svilupparono intuizioni luminose, pervennero ad una rivelazione spirituale unica per potenza, qualità e intensità, su cui basarono la propria struttura di pensiero e parole tramandata nei Veda.  

 

I Veda oggi. ( II°)

 

“Ogni dettaglio dell'esistenza profana e del sacrificio erano simboli nella loro vita e nelle loro attività, nella loro poesia, non simboli morti o metafore artificiali, ma viventi e potenti suggestioni, controparti di realtà interiori.”  Sri Aurobindo”

 

I Rishi Vedici erano poeti, ma non nella moderna accezione: le immagini ed il mito non erano prodotti di immaginazione, né traduzioni estetiche e neppure intelligenti analogie, bensì simboli viventi e reali, ben più luminosi e veri, per quei poeti-veggenti-saggi, di quella realtà opaca che i sensi grossolani trasmettono ad una mente limitata. 

Lo strumento di questi Poeti Sacri non fu una parola suggerita dalla mente e neppure dall’intelletto più elevato, ma una parola di potenza, una parola “magica” nella sua potestà creativa, una parola di Verità e di Luce, una parola che proviene da altri piani per mezzo dell’intuizione e dell’ispirazione: il mantra.

 

Gli studiosi moderni li considerano i prodotti di una primitiva cultura tribale, dediti a riti e formule legate a rozze credenze e superstizioni di natura naturalistica, solamente perché non possono comprendere, in quanto utilizzano strumenti cognitivi inadeguati.

Per comprendere occorre percepire e partecipare alla certezza che ebbero i Cantori Vedici di aver raggiunto una Verità Esoterica, una Conoscenza per adesione e non per sillogismo. Occorre entrare in quel linguaggio, che era idoneo per quel tipo di conoscenza, un linguaggio segreto e Divino per una Conoscenza Definitiva. Quel linguaggio, allora come oggi, può essere compreso appieno solamente da chi accende in sé identico fuoco, da chi si pone come veggente e mago, con identica volontà ed aspirazione. La sostanza di quelle parole risuona identica solo nell’intimo di chi sa creare identica condizione coscienziale, identica colorazione spirituale. In questo senso i Veda sono libri eterni e fuori dal tempo, perché depositari di una rivelazione (shruti) impersonale.

 

In altre parole la chiave di lettura sta nello psichico, inteso come involucro spirituale dell’entità uomo.  Allora appare chiaro come le descrizioni di “banali” cerimonie sacrificali celano una sorta di “potere” psichico simbolicamente espresso; gli aspetti del mondo fisico sono rappresentazioni di divinità cosmiche, il loro riflesso nella vita interiore rappresentazioni di dei, e tutti questi puri nomi ed aspetti e poteri di un solo unico Essere Divino.

 

“Queste divinità furono ad un tempo signori della Natura fisica e delle sue forme e dei suoi principi; i loro dèi, i loro corpi e gli intimi poteri divini con le loro corrispondenti condizioni ed energia sono innati nel nostro essere psichico perché essi sono i poteri spirituali dell'universo, i guardiani della verità e dell'immortalità, i figli dell'infinito e ciascuno di essi è anche nella sua origine e nella sua realtà ultima lo Spirito supremo che evidenzia uno dei suoi aspetti. “ Sri Aurobindo

 

I Veda oggi. ( III°)

 

 

tad esa rcabhyukya, " questa è la parola che fu pronunciata nel Rig-Veda"

Katha Upanishad

 

In modo del tutto semplicistico ed approssimativo si è diffuso, accettato acriticamente, il parere che il sapere indiano è rappresentato dalle  Upanishad, notevolmente posteriori, mentre i Veda sono l’espressione di un popolo ancora barbaro e legato a forme arcaiche e primitive di religione naturalistica mischiata a superstizione. Le Upanishad sono una maestosa costruzione metafisica, quindi una costruzione della mente, creata molto tempo dopo l’esistenza dei Rishi vedici, quando ormai l’uomo era mutato ed aveva perduto le capacità di percezione e comprensione “diretta”, non mediata dalla mente medesima. Le Upanishad sono diretta ed indubbia rivisitazione dell’insegnamento vedico, espresso attraverso una forma più adatta ai tempi in cui furono scritte: tempi in cui non poteva più essere compresi appieno i versi sacri ed il loro significato divino.

Non intendo certamente diminuire l’importanza delle Upanishad, che sono sì una manifestazione della mente, ma di una mente in cui  “filosofia e religione e poesia sono diventate una cosa sola, perché questa religione non termina in un culto ne è limitata ad un aspirazione di tipo etico-religioso, ma si innalza verso una scoperta infinita di Dio, del Sé, della nostra più alta e totale realtà spirituale e di esseri viventi”, come dice Sri Aurobindo nella “Sintesi dello Yoga”. Pur essendo opera di altissima filosofia, le Upanishad sono ben lontane da ciò che oggi si intende per filosofia: non sono astratte speculazioni logico-intellettuali, non parlano “attorno alla” conoscenza od alla verità, ma esprimono una conoscenza ed una verità vissute e sperimentate, per contatto diretto.

Da queste vette sublimi di contenuto e di forma presero origine i grandi sistemi del pensiero e della spiritualità indiana ( Vedanta,  Samkia e lo stesso Buddismo) e le cui idee portanti possono essere ritrovate nelle scuole sapienziali che formano le fondamenta della Gnosi occidentale (Pitagora e Platone, Neoplatonismo e Gnosticismo). Le Upanishad riconoscono nei Veda la radice della conoscenza che esse medesime veicolano, e legittimano il significato di divina verità di quei versi sacri. I pensatori delle Upanishad erano senza dubbio più “competenti”, nel senso più ampio del termine, oltrechè più vicini come tempo e come  caratteristiche umane e mentalità, ai Rishi vedici, rispetto agli studiosi ed agli eruditi moderni e contemporanei. Cadono allora in una contraddizione inspiegabile coloro che esprimono un’alta concezione delle Upanishad, in contrapposizione ad un livello “primitivo” dei Veda: l’unica spiegazione logica è che mentre ancora riescono a percepire qualcosa dall’esposizione “filosofica” delle prime, sono divenuti completamente “sordi” e ciechi” nei confronti di quella prima forma, in versi sacri, di guardare oltre l’apparenza del mondo fisico, di conoscere per identificazione, nel proprio mondo interiore, con quei poteri che vi manifestano l’Uno immanente.

 

«Continuo la mia lettura dei Veda. […]

In realtà, i Veda sono stati scritti da persone che avevano ancora il ricordo di una certa esperienza radicale; un’esperienza che è avvenuta senz’altro sulla terra in un dato momento, come anticipazione di una realizzazione futura (è sempre così nello yoga: una prima esperienza radicale viene ad annunciare la realizzazione che dovrà esserci in futuro). Così nello yoga terrestre — nello yoga della terra, del pianeta Terra — a un certo momento c’è stata questa esperienza, e quelli che nei Veda vengono chiamati ‘i progenitori degli uomini’ grazie ai loro sforzi e al loro yoga, devono aver avuto perlomeno un’idea della realizzazione sopramentale. Chi ha scritto i Veda, chi ha composto tutti quegli inni, doveva ricordarsi ancora di quell’esperienza o perlomeno deve averne raccolta la descrizione.”

 

Agenda di Mère 7 aprile 1961

 

 

 

 

 

 

I Veda oggi. ( IV°)

 

Il linguaggio mistico ha sempre lo svantaggio di diventare oscuro, privo di significato o fuorviante per coloro che non ne possiedono il segreto e di rappresentare un enigma per i posteri.
 
Sri Aurobindo 

 

 

La forma attraverso cui viene presentata la conoscenza veicolata dai Veda non può prescindere dal quadro sociale e culturale all’interno del quale i Rishi si trovarono a vivere. Le immagini che Essi utilizzarono erano quelle della Natura e della vita dei guerrieri, dei pastori, degli agricoltori, le attività della gente Ariana. Al centro del quadro presentato l’adorazione dei poteri della Natura, manifestazione vivente  e reale del Divino, attraverso i riti del Fuoco e del Sacrificio.

Il cerchio attorno al fuoco, similarmente ad ogni altra particolare momento della vita quotidiana, così come ogni dettaglio del sacrifico, vennero utilizzati quali simboli. Non similitudini artistiche o vuoti segni, “ ma viventi e potenti suggestioni, controparti di realtà interiori… immagini che diventano parabole, parabole che diventano miti, miti che restavano comunque immagini, e tuttavia tutte queste cose costituivano per essi, in un modo che può essere compreso solo da coloro che sono penetrati all'interno di un certo genere di esperienze psichiche, realtà effettive.”, come dice Sri Aurobindo.

 

Durante i millenni in cui i Veda furono tramandati “da bocca ad orecchio” la maggior parte degli uomini di quella parte del mondo attraversava una vita caratterizzata da duro lavoro di pastorizia ed agricoltura, da guerre e spostamenti.  In quel contesto l’attività religiosa centrale e solenne era rappresentata dal sacrificio, massima espressione di culto, oltrechè strumento per richiedere agli dei cose ed eventi indispensabili alla vita: pioggia, salute degli armenti di vacche e cavalli, la vittoria in battaglia. Gli antichi mistici e saggi Rishi cantarono il viaggio spirituale e interiore dell'uomo esprimendolo con le immagini comuni nella vita esteriore e sociale, per meglio farsi comprendere da chi poteva, ma anche perché nulla meglio di queste immagini poteva celare i segreti e la conoscenza al non iniziato.

La vita dell’uomo è quindi vista come un sacrificio, un viaggio e una battaglia. La divisione non è così schematica, il viaggio, che spesso è attraverso acque agitate, spesso ascesa di un monte, è identificato e descritto come un andare verso la volontà divina e sempre sono una battaglia contro le forze contrarie alla Luce ed al Sole.

 

I Poeti-Veggenti erano uomini integrali, in cui non si era ancora manifestata quella frattura, che in seguito fu caratteristica peculiare umana, tra fisicità, psichismo e spiritualità. Ciascun aspetto si armonizzava perfettamente nell’interiorità, senza rinunciare alle proprie specificità, ma anzi esaltandole in questa fusione. Come può allora giudicare di quei testi poetici e sapienziali l’erudito moderno, il cui intellettualismo ha preso il predominio su ogni altro aspetto, orientando ogni giudizio ed ogni valutazione sui parametri della materialità.

 

Queste caratteristiche del Saggio Uomo Antico non si trovano solo nei Veda e non solo in India. Vorrei, a scopo di esempio tracciare un parallelo relativamente ad alcuni dei simboli, intesi nel modo sopra argomentato, che si trovano più frequentemente nei Veda ed un autore greco che altre importanti assonanze ha con la sapienza dei Rishi: Eraclito.

Eraclito individua la sostanza dell’universo nel “Fuoco” che definisce “inestinguibile” per evidenziarne la natura metafisica. E’ senza dubbio limitativo considerare questo “Fuoco Inestinguibile” una mera deificazione del fuoco materiale, come anche ritenerla una semplice similitudine per indicare il continuo divenire. Il “Fuoco” eracliteo è senza dubbio queste due cose, come pure la rappresentazione del calore dispensatore di vita, ma anche di tutte le idee ed il “sentire” collegato, fino ad “aderire” psichicamente e spiritualmente, in modo quindi del tutto integrale a quel simbolismo che vive dentro e fuori l’uomo. E’ la medesima cosa per il “Fuoco Vedico”, definito come il “costruttore dei mondi”, “l’Immortale nascosto negli uomini”, Agni, che “diventa e contiene tutti gli Dei” . Ed il “fulmine che governa ogni cosa” di Eraclito non è cosa diversa dalla folgore di Veda, del Fuoco elettrico, “il Sole che è la vera luce, l’Occhio, l’arma meravigliosa dei divini esploratori Mitra e Veruna”.  

 

 

 

I Veda oggi. (V°)

 

“…colui che non conosce Quello che cosa può farsene di questi versi ?” Rig Veda, I,164,39

 

 

Vorrei sintetizzare i concetti espressi in questa chiacchierata attorno ai Veda che si è sviluppata per cinque numeri della rivista e contestualmente argomentare una visione che considera vivo l’insegnamento in essi contenuto ed utilizzabile anche per l’uomo del terzo millennio, a prescindere dalla specifica cultura e dalla parte del mondo in cui è nato.

Attraverso i Veda si formò l’anima dell’India; unitamente alle Upanishad (chiamate anche Vedanta, in quanto parte finale ed organicamente interconnessa ai Veda), sono stati sorgente non solo del pensiero, delle filosofie e delle religioni Indiane, e quindi di grandissima parte dell’Asia, ma anche dell’arte e della letteratura, dei miti. Da queste vette sublimi di contenuto e di forma presero origine i grandi sistemi del pensiero e della spiritualità indiana ( Vedanta,  Samkia e lo stesso Buddismo) e le cui idee portanti possono essere ritrovate nelle scuole sapienziali che formano le fondamenta della Gnosi occidentale (Pitagora e Platone, Neoplatonismo e Gnosticismo).

         Buona parte dei simboli e dei miti che vivono nei versi degli antichi Rishi, li ritroviamo altrettanto vivi ed ardenti di identico fuoco, nella sapienza tradizionale espressa da Saggi in tempi e luoghi anche molto lontani.

         L’uomo è giunto in un vicolo cieco, per non diventare un “ramo secco” dell’evoluzione e quindi elemento di inquinamento per il pianeta medesimo; occorre che proceda oltre l’uomo stesso. Il superamento delle specifiche caratteristiche umane, che gli hanno consentito il predominio e che sono diventate ipertrofiche e quindi inutili e pericolose, passa anche attraverso la formazione di un paradigma culturale, ma soprattutto sapienziale, che pur affondando le proprie radici nel passato, traguardi il futuro dell’umanità, del pianeta, dell’evoluzione…Occorre oggi, come già è accaduto varie volte nel in passato, un “salto quantico”, che viene preparato da una sintesi. Se è vero che la Conoscenza è una, nel lontano passato, così come oggi e come sarà nel futuro, se è vero che l’uomo è sempre sostanzialmente eguale, la forma con cui la Conoscenza si manifesta nell’umanità non può non mutare, in relazione ai cambiamenti che, pur non toccando la sua sostanza avvengono nell’equilibrio tra le diverse componenti umane. In questa nuova sintesi “globale” che necessita all’uomo del terzo millennio, l’India può far affluire la sua millenaria sapienza, che scaturì da quella fonte chiamata Veda.

         L’uomo moderno si è eccessivamente “mentalizzato”. Certamente il ciclo di sviluppo pieno della razionalità e della logica mentale ha prodotto anche buoni frutti ed ha contribuito a sgombrare il campo da superstizione e soggezione ai finti sapienti e ciarlatani di tutte le risme; anche se gran parte dell’umanità continua ad orientarsi verso l’infrarazionale invece che il sovrarazionale. La mente logico razionale è divenuta ipertrofica ed esclusiva, facendo strame di altre caratteristiche umane, che vanno invece recuperate nella loro funzionalità ed armonizzate con la funzione mentale. La struttura psichica e la costruzione sapienziale di coloro che crearono i Veda erano fondate sull’intuizione e la forza dei simboli piuttosto che la logica concettuale. Essi svilupparono intuizioni luminose, pervennero ad una rivelazione spirituale unica per potenza, qualità e intensità, su cui basarono la propria struttura di pensiero e parole tramandata nei Veda. E’ metodo di Conoscenza che occorre oggi riconoscere, accogliendo il fuoco che esso veicola per accendere il fuoco sopito nell’interiorità.    

         Lo strumento di questi Poeti Sacri non fu una parola suggerita dalla mente e neppure dall’intelletto più elevato, ma una parola di potenza, una parola “magica” nella sua potestà creativa, una parola di Verità e di Luce, una parola che proviene da altri piani per mezzo dell’intuizione e dell’ispirazione: il mantra. E’ una Conoscenza che avviene solamente per “adesione diretta”, viene esperita e non acquisita. Lo stesso Rig Veda dice chiaramente che l’uomo comune “…non vede, sebbene guardi, non capisce, sebbene ascolti. Ma a colui che è pronto, la Parola si rivela nella sua forma più bella, così come una donna devota si spoglia davanti al suo sposo…”  (Rig Veda X,71,4)

E’ pertanto privo di qualunque valore il superficiale giudizio degli studiosi ed eruditi moderni che considerano i Veda il prodotto di una primitiva cultura tribale, dediti a riti e formule legate a rozze credenze e superstizioni di natura naturalistica, questo giudizio deriva dalla incapacità di comprensione e dall’utilizzo di strumenti cognitivi inadeguati.

Ad esempio appare  priva di logica, ad una analisi critica puramente mentale, l’immagine in cui Indra crea da sé medesimo il cielo, che è suo padre, e la terra, che è sua madre. Ma se ricordiamo che Indra altro non è che “Indra è lo spirito supremo in uno dei suoi aspetti eterni ed immortali, creatore del cielo e della terra, divinità cosmica generata tra il mondo fisico e quello mentale per ricostruire i loro poteri nell'uomo, vedremo come l'immagine non sia solo una efficace ma una vera e rivelatrice rappresentazione, e per la tecnica vedica poco importa se fa violenza alla nostra immaginazione dal momento che esprime una più grande realtà come nessuna altra avrebbe potuto con la stessa consapevole attitudine e la stessa vivida forza poetica.”

Così l’invocazione vedica "Appari o lampo di luce e vieni a noi !" evoca ad un tempo il fenomeno dell'ascendere e del bagliore del potente fuoco sacrificale sull'altare fisico e un corrispondente fenomeno psichico, la manifestazione di una fiamma redentrice di un potere e una luce divina dentro di noi. (Sri Aurobindo)

Così le note “vacche vediche” e i “pastori del Sole” ed il “segugio del cielo” sono contestualmente immagini e realtà effettive dotate di vita e potere, però nella loro sfera, che è aliena per la mente fisica.

 

Vorrei terminare questa modesta serie di note sui veda proponendo un inno, nella traduzione di Sri Aurobindo, dal libro “Il segreto dei Veda”- vol II- nelle edizioni Aria Nuova pg. 53.

 

L'AURORA DIVINA

( Rg Veda, 111.61)

 

1 Riccamente dotata di sostanza,

   Aurora, conscia accogli l'affermarsi

   di chi ti esprime, dea delle pienezze.

   Dea, antica e sempre giovane, ricca

   di pensieri ti muovi nella legge

   dei tuoi atti, foriera d'ogni bene.

2 Divina Aurora che brilli immortale

   sul tuo carro di lieta luce, dando

   voce gioiosa al Vero. Ti conducano

   quaggiù i tuoi ben guidati corsieri

   dagli splendidi colori dorati,

   la cui potenza dimora nel Vasto.

3 Di fronte a tutti i mondi, Aurora, sorgi

   elevata e costituisci la loro

   percezione di immortalità;

   possa tu muoverti come una ruota

   verso d'essi, nascente nuovo Giorno,

   operando su un dominio uniforme.

4  L Aurora nella sua pienezza giunge

    come chi lascia cadere le vesti,

    la sposa della gioia; Svar creando,

    nel suo agire perfetta e nella gioia,

    ella si espande dal cielo alla terra.

5  Andate incontro all’Aurora che brilla

    vasta a voi e donandovi esprimete

    la vostra piena energia. Esaltata

    nei cieli la forza alla quale innalza,

    stabilisce dolcezza; lei fa splendere

    i mondi in luce ed è visione gaia.

6  La si scorge nelle illuminazioni

    del cielo, foriera di Verità

    e deliziosa ella giunge con luci

    varie nei due firmamenti. L'Aurora

    si avvicina splendendo su di te,

    Agni, e tu segui e raggiungi la gioia.

7   Dando i suoi impulsi alle basi del Vero

     e delle Aurore, i Signore introdusse

     la vastità dei cieli. Ampio è il regno

     di Varuna, di Mitra, in lieto raggio,

     e in modo vario dispone la luce.

 

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