IL GRANDE RASPUTIN

Vittorio Fincati


 

Grigorij Efimovič, detto Rasputin, nacque nel 1869 in un villaggio della Siberia occidentale. Di aspetto non era quello che si dice un bell’uomo: aveva degli occhi infossati che gli davano un’aria spiritata ed un naso lungo e carnoso, per quanto in età giovanile, come illustra la foto (ritoccata graficamente rispetto all’originale), avesse un aspetto migliore. Portava capelli lunghi ed una barba da eremita. Nato in una famiglia di contadini, grazie anche ad un’innata predisposizione, trascorreva molte ore delle sue giornate giovanili isolandosi nella foresta, a contatto con una natura selvaggia ed incontaminata, cadendo talvolta in una curiosa forma di estraniamento, nella quale percepiva strane presenze, tra cui quella di una misteriosa “Signora”. Nei boschi, così come nelle successive solitarie peregrinazioni, era riuscito a coltivare una fortissima carica magnetica - la stessa per la quale divenne famoso per tutta la sua vita - e potenziare alcune sue facoltà divinatorie e terapeutiche. Era però anche dotato di una forte carica sessuale, seguendo la quale si era guadagnato nel villaggio natio una cattiva fama. I compaesani l’avevano infatti denominato rasputìn, che in russo significa pressappoco: “dissoluto, libertino, debosciato”. Dopo qualche burrascosa vicenda giovanile maturò sempre più la sua inclinazione verso l’introspezione spirituale, tanto che, nonostante si fosse sposato a 28 anni, decise di lasciare la famiglia per andarsene in giro come anacoreta itinerante (staretz).

 

Il forte influsso che allora esercitava la religione cristiana-ortodossa su ogni minima componente della vita russa aveva deformato infatti la tendenza sciamanica del giovane Grigorij in senso religioso. Nel corso delle sue peregrinazioni venne ben presto a contatto - ma non c’è una prova decisiva in tal senso - con una associazione cristiana-ortodossa illegale, nota come “setta dei Flagellanti” (Khlysty), in riferimento alla pratica che avevano i membri di flagellarsi reciprocamente durante le loro orge rituali. In realtà essi tra loro si definivano “Uomini di Dio”. Ben presto l’autorità religiosa ortodossa aprì un’inchiesta su di lui che però non addivenne a niente mentre inchieste successive vennero insabbiate per ordine della zarina e dello zar.

 

Ben presto Rasputin - che pare non abbia fatto molto per impedire di farsi chiamare con questo nome - divenne famosissimo per le guarigioni che operava, fors’anche grazie al suo potere ipnotico, e per la facoltà di presagire il futuro. Intraprese anche due viaggi nel Mediterraneo, in Grecia e a Gerusalemme. Scrisse pure un paio di libri che, essendo quasi analfabeta, gli vennero redatti e messi in bella prosa dalle sue più fedeli ammiratrici, cioè, secondo il Radzinskij, la zarina e la sua più stretta collaboratrice, Olga Vyrubova! A quest’ultime si deve certamente la bella prosa che segue, anche se il succo dell’esperienza è di Rasputin: “Come parlerò della bonaccia? Lasciata Odessa sul Mar Nero c'era una gran quiete e l'anima mia si fece tutt'uno col mare, si assopì nella quiete. Si vedevano le onde minute brillare come gocce d'oro e l'occhio non vedeva altro. Non è forse questo un esempio divino? Oh com’è preziosa l'anima dell'uomo; certamente è simile ad un gioiello. E proprio come il mare è la sconfinata potenza dell'anima. Quando ti alzi la mattina, le onde parlano, spruzzano, gioiscono. II sole risplende levandosi piano piano sopra il mare e l'anima dimentica l'iniquità del mondo contemplando il sole scintillante. E dentro nasce una grande felicità, l'anima medita sul libro della vita, sulla sapienza della vita, ineffabilmente bella. Il mare ridesta dal sonno delle cose mondane (...) Se i flutti balzano in alto, l'anima s'inquieta, l'uomo si turba, e si aggira per il bastimento come smarrito dentro una nebbia. Ma questa sventura ci potrebbe capitare anche in terraferma, soltanto che lì non ce ne rendiamo conto, non sentendo il flutto che ci fa andare su e giù. In mare tutti vedono la sventura che in terraferma rimane nascosta agli occhi, allorché il diavolo ci trascina e la coscienza è tutto un fluttuare su e giù. Se anche i flutti del mare non esistessero, pure si solleverebbero e si abbasserebbero i flutti dentro di noi"[1].

 

Rasputin fu sicuramente l’uomo più odiato di tutta la Russia del suo tempo dai ceti dominanti: aristocrazia e clero. Il motivo è da ricercarsi in una serie di fattori che confluirono tutti assieme: era un contadino analfabeta, era incorruttibile, era sospettato di far parte della setta dei Flagellanti,  era riuscito ad entrare nelle grazie dello zar e della zarina, era il consigliere segreto di quest’ultima, era al centro di una vasta rete di intrallazzi politico-economici, usufruiva di finanziamenti ebraici, “suggeriva” le nomine di ministri e importanti eventi politici, era contrario alla guerra e da ultimo, ma non per ultimo, conduceva una vita pubblica enormemente scandalosa.

 

Specialmente il fior fiore della nobiltà russa e i nazionalisti più accesi lo consideravano una vera iattura per la nazione. In realtà Rasputin cozzava contro gli interessi e gli enormi privilegi nonché contro l’enorme tracotanza di queste due categorie. Costoro erano accecati dalla presunzione ed erano proprio loro ad aver portato al collasso lo stato russo con guerre che non erano in grado di vincere (quella russo-giapponese e la Prima Guerra Mondiale). Rasputin era riuscito in extremis ad evitare di alcuni anni la Grande Guerra convincendo lo zar a non farsi invischiare in un conflitto nei Balcani, ma proprio quest’azione l’aveva definitivamente reso inviso alla classe politico-militare. Il clero ortodosso lo odiava invece perché con il suo indubbio potere personale[2] aveva scavalcato le alte gerarchie e, da semplice monaco itinerante, cioè senza essere un vero e proprio prete, e senza avere alcuna istruzione religiosa superiore, era diventato il preferito nel cuore e nella devozione religiosa dei regnanti e della gente comune. Non si sopportava che indirizzasse occultamente le nomine e le decisioni ecclesiastiche. Inoltre il sospetto che fosse un flagellante e le voci su i suoi rapporti con le donne non contribuivano certo a rasserenare i rapporti.

 

Contro Rasputin vennero orditi complotti ed attentati finchè l’ultimo gli fu fatale. In un primo momento venne aggredito addirittura da alti prelati ortodossi in una chiesa, picchiato e trascinato per i piedi da un carro in corsa. Successivamente una sua ex seguace, passata con il clero ortodosso, lo accoltellò al ventre. Venne poi investito da un’automobile ma si salvò fortunosamente. Gli furono intentati contro diverse inchieste, venne arrestato, bandito, sorvegliato, pedinato e spiato. Della fine tragica, parleremo più avanti.

 

Numerose testimonianze documentano che Rasputin fosse veramente dotato di facoltà paranormali, che si esplicavano in un certo potere terapeutico - facente forse appoggio sull’ipnosi che sapeva indurre nei suoi pazienti - e nella facoltà di predire talvolta eventi futuri. Sta di fatto che Rasputin riusciva a tenere sotto controllo la grave malattia che affliggeva l’erede al trono, il piccolo Alessio, e proprio grazie a ciò era riuscito ad ottenere agli occhi dei sovrani - soprattutto della zarina - un’influenza incancellabile. Il potere “magico” di Rasputin consisteva nell’accumulo di una fortissima carica magnetica che poi riusciva a riversare sulle persone che voleva per i suoi scopi, anche se non è da trascurare una probabile predisposizione naturale. Rasputin aveva in sé anche la forza selvaggia della terra siberiana: era un uomo pieno di fede sincera, istintiva e violenta; quando pregava, e non mancava mai di farlo, si gettava pesantemente in ginocchio appoggiando curiosamente le mani al suolo[3]. Tuttavia la sua non era la fede dei cristiani ortodossi ma, con ogni probabilità, quella della setta eretica dei Flagellanti, per certi versi molto più vicina ad antichi culti pagani che alla religione di Cristo. Ma chi erano realmente i Flagellanti o Uomini di Dio? Il fulcro della loro rituaria erano i “raduni” (radienje), cerimonie estatiche se non pure orgiastiche che si tenevano in luoghi segreti. Ecco come ce li descrive uno scrittore dell’epoca, il celebre polacco Ferdinand Ossendowski: “Una volta, cacciando nel governatorato di Novgorod, nelle foreste presso la stazione di Lubar, abitavo nel piccolo villaggio di Marjino. Non lontano da questo c'era il possedimento dei principi Golitzir i più grandi aristocratici della Russia, discendenti del Rurik. Una sera il padrone della capanna da me abitata, un certo Basilio Antonin, mi sussurrò misteriosamente nell'orecchio: — Non vorrebbe assistere al radienje funzione divina dei khlyst? Sapevo che i khlyst erano dei settarii e che i loro radienje, o misteri religiosi, si distinguevano per una barbarie straordinaria. Mosso dalla curiosità accettai dunque senz'altro. Erano già le nove di sera e cadeva una scura notte autunnale. Usciti di casa, ci siamo diretti verso il possedimento principesco. Il mio padrone m'introdusse in uno dei grandi fabbricati che circondavano il cortile. In un grande salone, illuminato soltanto da sette grosse candele di cera accese nei diversi suoi angoli, regnava la penombra. Faceva caldo e si soffocava, perché vi si accalcavano non meno di ottanta persone, uomini e donne, maturi o ancora completamente giovani. In fondo al salone c'era una tavola, coperta di una tovaglia bianca. Ho osservato un'immagine santa completamente annerita dal tempo, una grande pila d'acqua santa ed un grosso librone legato in legno. Sulla tavola non era accesa che una sola candela. Presso la tavola, che fungeva evidentemente da altare, stava un forte contadino dai lunghi capelli neri, cinti sulla fronte da una stretta cinghia e dalla barba curata diligentemente. Quando la folla si mise in ordine e tacquero gli echi dei passi e dei sussurri, il forte contadino, dopo aver letto nel grosso libro qualche testo in slavo antico, cominciò a fare sulla fronte e sul petto i segni della croce, inginocchiandosi e inchinandosi ogni volta fino a terra. Osservavo che i suoi movimenti diventavano sempre più impetuosi e rapidi, e che gli occhi dei presenti si fissavan con tensione, come ossessi su questo "sacerdote". Finalmente questi, messosi dritto in piedi e gridando: "Pregate e fate delle offerte!" afferrò da un mucchio di bastoni trovantisi nell'angolo della sala, una lunga verga - in russo khlyst, e da qui il nome della setta - e cominciò a flagellarsi il dorso e la testa. Quando la verga tagliò, fischiando, alcune volte l'aria, mi ricordai i misteri sanguinosi dei dervisci che avevo visto in Turchia e in Crimea. Il sacerdote gettò intanto via il camiciotto e la camicia, denudandosi fino alla cintola. La flagellazione colla verga s'intensificò, diventando sempre più rapida e forte. Tutto il suo dorso era incrociato da righe rosse, quando finalmente ne sprizzò fuori il sangue, colando giù in un tenuissimo rigagnolo. Ed allora tutta la folla, il mio padrone compreso, si gettarono sulle verghe. Cominciò una flagellazione generale. Si fecero sentire i fischi dei forti ed elastici bastoni, il pesante respiro dei convenuti, i gemiti. I presenti cominciarono a gettar via da sé i vestiti, per portar la loro mortificazione all'apice. Il "sacerdote" invece, battendosi sempre colla verga, cominciò intanto a girare attorno a sé sopra un piede ed a saltare. Alcuni dei presenti si misero ad imitarlo, e qualche minuto più tardi tutta la folla si trovò in un movimento pazzesco, battendosi a vicenda con dei bastoni, balbettando e gridando qualche cosa con dei gemiti angosciosi. Alcuni caddero presto, cadde anche il "sacerdote", altri invece saltavano ancora calpestando coi loro piedi i giacenti. L'aria era satura del vapore delle esalazioni dei corpi stanchi e sudati, dell’odore di scarpe e biancheria sporca. Qualcuno cominciò a spegnere i lumi, e quando non restò che quello sopra l'altare non riuscivo a scorgere che un mucchio di corpi umani, maschi e femmine, accumulati uno sopra l'altro, spossati, sanguinanti, mezzi morti. Questo è il radienje”.

 

Ossendowski non parla dell’orgia sessuale che conseguiva al momento dello spegnimento dei lumi, poiché, non essendo membro della setta, si era confezionata per lui una cerimonia ridotta, ma da altre documentazioni risulta che i Khlysty così facessero. La setta era abbastanza ramificata nella popolazione, anche perché la persecuzione della polizia zarista non era così rigida come per altre sette, come quella dei Castrati (Skoptzy). Pare però che tra i due gruppi ci fosse una certa intercomunicabilità, alcuni ritenendo quello dei Castrati un “livello superiore”[4]. Sta di fatto che le dottrine alla base dei due gruppi avevano molto di analogo e forse la differenza consisteva soltanto nella valutazione del modo con cui “salvarsi l’anima”. I primi infatti ritenevano di poter combattere il peccato col peccato stesso[5] mentre i secondi eliminavano drasticamente il problema alla radice, amputandosi i genitali e i seni! Entrambe le sette reclutavano i propri aderenti non solo nei ceti contadini; tra i Flagellanti vi erano numerosi commercianti e fra i Castrati numerosissimi banchieri (non bancari)…

 

Ma qual’era la tecnica grazie a cui Rasputin riusciva ad esercitare i suoi poteri? Quella che emerge dalla consultazione dei documenti, specialmente quelli scoperti nel 1995 dallo studioso Edvard Radzinskij[6], era una specie di magia sessuale basata sulla trasmutazione della pulsione libidinosa in energia nervosa, ma Rasputin, ovviamente, non ne accennò mai se non sibillinamente, parlando di “affinamento dei sensi”. Un qualcosa di simile è stato postulato molte decine di anni dopo da un serbo, Paul Grégor, in seguito alle sue esperienze tra i macumbeiros brasiliani. In pratica, Rasputin, anche più volte al giorno in certi casi, aveva degli approcci sessuali con donne di ogni tipo, talvolta senza che queste donne fossero al corrente della pratica messa in atto dallo sciamano siberiano! Lo scopo di questi approcci era quello di contenere la pulsione erotica, di non farla sfociare nel comune coito, ma di lasciarla, per così dire, a “friggersi” nell’aura di uno o di entrambi i partners. Se la donna o Rasputin stesso “cedevano”, l’operazione tecnica non andava a buon fine e questo, di passata, spiegherebbe perché Rasputin congedava bruscamente moltissime donne, mentre con altre continuava ad intrattenere rapporti intimi. In un rapporto della polizia segreta che lo sorvegliava, è scritto che Rasputin - frequentatore anche di prostitute di ogni tipo - era entrato nella camera di una meretrice con due bottiglie di birra e si era limitato ad ordinare alla donna di spogliarsi nuda mentre lui la rimirava. Il Radzinskij, scrittore acuto ma estraneo alle cose esoteriche, ha pensato che fosse la prova che Rasputin in realtà era un impotente. La spiegazione più confacente, invece, è che si trattava di una tecnica di “amor platonico” nel senso che abbiamo accennato prima. Probabilmente, dunque, nei radienje dei Flagellanti dovevano esistere due livelli di comprensione della dottrina segreta: quello più esteriore, in cui attraverso un amore di gruppo si sublimava il “peccato”, e quello più interno, in cui si comprendeva che la bramosia erotica doveva venire portata sì al massimo della tensione ma poi riassorbita nel corpo, al fine di procacciare all’iniziato un forte potere magnetico ed estatico. Se così fosse, si potrebbe dire che le antichissime tecniche di alcuni culti misterici pagani si erano perpetuate fin nel XIX° secolo![7]

 

Rasputin era anche famoso per le sbornie gigantesche che faceva: ingurgitava una quantità prodigiosa di vini pregiati (madera, marsala) ubriacandosi regolarmente. Tuttavia nessuno è mai riuscito a spiegarsi come facesse ad annullare tutti i sintomi dell’ebrezza alcoolica nel giro di poche decine di minuti! Talvolta, nel pieno di una potente ubriacatura, veniva convocato d’urgenza dalla zarina, e lui si presentava sempre ed immancabilmente sobrio. Viene da pensare che l’alcool che prendeva gli serviva per propiziare degli stati di coscienza alterati e che il suo Io avesse la capacità di sdoppiarsi e di “mettersi da parte” rispetto alla sua fisicità più corporea. Nonostante la nomea di crapulone che si era fatto nei suoi soggiorni nei ristoranti più costosi di San Pietroburgo, Rasputin seguiva una sua dieta particolare: non mangiava mai carne né toccava dolciumi o cioccolatini; era sua premura invece di mangiare sempre pesce.

 

Su Rasputin, all’epoca, gli ambienti della Chiesa Ortodossa avevano fatto circolare un libello calunniatore e voci terribili, che fosse l’Anticristo in persona, un mago nero ed un assassino. Non c’è nessuna prova certa che possa testimoniare della veridicità di queste accuse. Tuttavia già nel 1840 la polizia zarista aveva acquisito delle testimonianze circa sacrifici umani e pratica di erotismo cannibalico[8]. Certamente si aveva interesse a demonizzare ogni voce di dissenso religioso, tuttavia le pratiche aberranti di mutilazioni sessuali dei Castrati sono documentate fotograficamente[9] e lo stesso governo comunista russo continuò nell’opera di repressione di queste sette. Non ci sarebbe quindi da meravigliarsi se tutto ciò  - a prescindere da Rasputin - fosse vero.

 

La nomea diabolica che la Chiesa Ortodossa appiccicò addosso a Rasputin

Ebbe parte anche nella leggenda che fu fatta circolare sulla sua morte e su cui hanno indugiato delle ricostruzioni cinematografiche. In realtà, come ha convincemente dimostrato il Radzinskij, Rasputin non morì nel modo che venne riportato nelle testimonianze verbali e scritte rilasciate dai suoi stessi assassini, i quali avevano interesse a nascondere certi particolari e ad ingigantire, appunto, i poteri di Rasputin, tanto da farlo apparire come un vero demonio immortale. Non si tentò di avvelenare Rasputin con l’arsenico messo nel vino e nei pasticcini ma gli si sparò al petto immediatamente. Tuttavia i colpi non furono così letali come apparve al suo primo assassino e Rasputin ne approfittò per tentare di fuggire in strada. Qui venne fulminato dalle rivoltellate di un altro congiurato, poi il precedente sparatore si accanì sulla sua faccia con un “rompitesta” di gomma, sfigurandolo. Gettato nel fiume Neva ghiacciato, Rasputin pare che ebbe un ultimo sussulto di vita, poiché il suo corpo congelato venne ritrovato nel gesto di chi era riuscito parzialmente a liberarsi dalle corde con cui era stato legato (vedi foto). Certamente la forte carica vitale del siberiano deve avergli impedito di morire ai primi colpi di pistola.

 

Morto Rasputin, lo zar e la zarina lo fecero seppellire in segreto sotto l’altare di una chiesa in costruzione. Dopo pochi mesi però, caduti i sovrani, il suo corpo venne ritrovato e disseppellito dalla soldataglia che pensava di trovare sepolte con lui chissà quali ricchezze e distrutto ignominiosamente: durante uno degli spostamenti, il camion che trasportava la bara esumata si ruppe e chi ne aveva la custodia decise di dargli fuoco ai lati della strada accumulando una grande catasta di legna[10]. I comunisti in seguito deportarono i familiari di Rasputin, che morirono di stenti. Solo la figlia maggiore riuscì a scampare alla rovina riparando all’estero. Per una curiosità della storia la figlia di costei divenne inconsapevolmente amica della nipote dell’uomo che aveva sparato e ucciso Rasputin! La nipote di Rasputin morì quindi negli Stati Uniti nel 1974. Nel 1964 morì esule in Finlandia Olga Vyrubova, la vera detentrice dei segreti fra la famiglia imperiale e Rasputin che però non tradì mai. Rasputin non lasciò un’eredità spirituale, poiché la sua fu l’esperienza di uno staretz, un anacoreta itinerante; forse uno sciamano inconsapevole. Soltanto dopo la perestroijka di Gorbaciov si sono diffuse in Russia iniziative che tentano di ricollegare Rasputin ad un’ortodossia cristiana pura e integrale; tacendo tuttavia quello che in lui con l’ortodossia cristiana non aveva nulla a che fare. E’ comunque auspicabile che vengano tradotti dal russo i due libri di Rasputin, in modo da potersi approssimare meglio a questa importante figura dell’ultima storia zarista russa[11] e alla sua spiritualità, lasciando così da parte celebrazioni di dubbio gusto, come quella di un museo di Mosca a lui dedicato che ne conserva, in bella mostra, il presunto membro virile (vedi foto qui sotto)![12]

 



 

 



 


 


[1]              Citato da E. Zolla sulla rivista Conoscenza Religiosa, n°4, 1975.

[2]              “Veramente non si poteva negare a quest'uomo un certo potere straordinario. I suoi occhi penetranti acuti e lucenti parevano vedere fin nel cervello degli altri, insinuandosi nell'anima. Aveva la capacità di comprendere e di valutare ciascuno dal primo colpo d'occhio. Era un grande conoscitore degli uomini, dei loro caratteri e desideri e della loro psicologia. Oltre a ciò era un ipnotizzatore potente, possedeva la capacità di suggestione sugli altri e sapeva esercitare l'influenza tanto sugli individui quanto su gruppi interi di gente più o meno numerosa. Possedeva pure la forza del potere e della persuasione nella voce, quella voce sorda, minacciosa, rassomigliante al lugubre sussurro degli alberi in una foresta vergine della Siberia, nella quale passò proprio così romanticamente e così burrascosamente la sua gioventù” (F. Ossendowski: L’Ombra dell’Oriente Tenebroso. Varsavia 1923 [2ª ed. italiana: Carpe Librum, Nove VI 2001]. Il testo è on-line al sito www.picatrix.com/ossendowski.htm

 

[3]              “La gente pia raccontava che Rasputin possedeva un talento impareggiabile per la preghiera. La sua preghiera era composta di parole semplici e persino incolte, che egli recitava con passione ardente, colla poesia e con ispirazione. Pareva che vedesse davanti a sé l'immagine di Dio e che rivolgesse a Lui delle parole umane, semplici e comprensibili. Un tremito nervoso delle spalle e delle mani, gli spasimi nella voce, certi spasmodici movimenti della faccia, pieni di sofferenza e d'implorazione, le lacrime ed il fuoco dello sguardo facevano un'impressione spaventevole sugli spettatori devoti e mistici. La voce sorda e minacciosa di questo ladro di cavalli acquistava una tale intonazione, suonava di una tale passione, che pareva che qualcun altro, puro e pieno di beatitudine, parlasse attraverso la bocca di quest’uomo” (Ossendowski, cit.).

[4]              La Russia - descritta e illustrata da Dixon, Biancardi, Moynet, Vereschaguine e Henriet e dal Prof. A. de Gubernatis. F.lli Treves, Milano 1880 (questi estratti sono riportati nel libro citato dell’Ossendowski).

[5]              Il comportamento di Rasputin in merito al bere e al sesso però offre una prospettiva più elevata rispetto all’opinione “religiosa” che ci si è fatta sui Flagellanti.
[6]              E. Radzinskij: Rasputin. Mondadori, Milano 2000.

[7]              Qualcosa di analogo lo si può riscontrare nella dottrina della “morte suggente che viene dalla donna”, contenuta nel romanzo esoterico di G. Meyrink: L’angelo della finestra occidentale (1ª ed. München 1928).

[8]              Ossendowski, cit.
[9]              N. Volkov: La secte russe des Castrats. Les Belles Lettres, Paris 1995.

[10]             In forma di romanzo storico ha dedicato a Rasputin un bel libro Massimo Grillandi (Rasputin. Rusconi, Milano 1979), per quanto prima delle scoperte fatte dal Radzinskij. Ecco le belle frase con cui l’autore chiuse quel libro. “Dopo un attimo di esitazione, il corpo è tolto dalla cassa e, innalzato su rozze picche di legno come per un involontario rito trionfale, viene deposto sopra la pira. Poco più tardi, la catasta di legname è accesa. Le fiamme si levano maestose davanti agli sguardi allucinati di quella gente semplice e crudele che Rasputin aveva prediletto. Poi, contro il nero velluto della notte, un prodigio strano si compie. Un alone azzurro disegna netto il profilo di Grigorij, sì che il suo volto riemerge per un istante, quasi esaltato e transumanato dallo splendore, prima che colui che fu amato e odiato, ma che, angelo o demonio che fosse, non odiò mai nessuno, torni, come un eroe omerico, polvere cenere e luce fra gli spiriti im-mortali della sua terra”.

[11]             Indirettamente, anche alla personalità della zarina, su cui pesano ancora molti luoghi comuni.

[12]             Un sistema di divinazione pratica, falsamente attribuito a Rasputin, è stato recentemente pubblicato da un’editrice italiana: Manteja: L’oracolo di Rasputin, Mediterranee, Roma 1975.

 

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