La Prima Loggia Fiorentina

 

di Jhaoben


 

Prima di esporre la storia della Loggia Massonica fiorentina è bene inquadrare brevemente il momento storico es­tremamente difficile che attraversava Firenze ed il Granducato. Cosimo III de' Medici, figlio di Ferdinando I, ultimo dei Granduchi illuminati di Firenze, sale al trono nel 1670 e vi rimarrà fino al 1723, anno della sua morte; un regno lunghissimo durante il quale il Granducato viene lentamente trascinato in un tetro isolamento. La formazione bigotta e chiusa del giovane Cosimo imposta dalla madre Vittoria della Rovere e dai suoi fedeli gesuiti, ebbe sul carattere di Cosimo un effetto nefasto. Il principe si rivelò il più chiuso, rigido, e meno adatto al governo del paese di tutti i Medici che fino allora avevano governato Firenze. I gesuiti acquistarono un potere quasi illimitato, ed altrettanto fece il tribunale dell'inquisizione; era infatti sufficiente vestire abiti sgargianti, leggere libri proibiti, bestemmiare in pubblico, tenere un comportamento poco consono alla pubblica morale, o avere nemici decisi, per trovarsi di fronte al tribunale dell'inquisizione, dal quale era impossibile essere giudicati innocenti, e, se anche questa rara evenienza si fosse realizzata, il solo fatto di essere incappati nelle sue attenzioni, equivaleva alla morte civile; nessuno si sarebbe più azzardato a frequentare o solo a rivolgere la parola ad un sospetto di eresia.

·        "Sono colpevoli!";

·        "Sono sospettati"

·        "Sono colpevoli di essere sospettati".

La vita civile negli anni bui di Cosimo era pressoché immobile, nessuna attività fioriva, tutti vivevano nel terrore di incorrere nelle ire dei gesuiti, la cultura era completamente controllata dalla potente lobby cattolica; nella stessa università di Pisa vennero emarginati i professori di tendenza galileiana, a favore degli aristotelici, se a questo si aggiunge la profonda crisi economica che attanagliava il Granducato dovuta anche'essa alla mano morta (con tale termine si intendono le proprietà della chiesa sulle quali non venivano pagati tributi allo stato), il quadro a tinte fosche mi pare abbastanza tracciato.

«Gli ecclesiastici tanto regolari, uomini e donne, sono il 4% della popolazione. Di questo 4% bisogna togliere i religiosi mendicanti che vivono di elemosina, sicché gli ecclesiastici che vivono di loro rendite saranno circa il 3% della popolazione, e poiché essi posseggono circa il terzo dei beni del paese, ne deriva che essi per vivere hanno il 33% e 1/2 delle rendite del paese, mentre il 97% ne hanno 66 e 2/3. Come è mai possibile, non dirò di un sovrano, ma che un padre di famiglia possa lasciar sussistere una libertà… Io mi appello allo stesso Santo Padre, che se è portato a sostenere i giusti privilegi accordati agli ecclesiastici, nello stesso modo egli è portato a impedire che questi privilegi medesimi per una distesa illimitata divengano l'oppressione dei laici, che sono parimenti suoi figli» ("Archivio di Stato di Firenze. Filza 236. Archivio di Reggenza" in Guglielmo Adilardi: "Un antica condanna": Bastogi, Foggia 1989 pag. 56-67.).

Inoltre la Toscana, dopo lo stato Pontificio, era la regione italiana con il maggior numero di ecclesiastici, a tal punto che anche la foggia degli abiti dei laici riproponeva, come per moda, la stessa degli uomini di chiesa.

Anche la vita sentimentale di Cosimo fu un vero disastro, di gran lunga preferiva gli esercizi spirituali alle attenzioni della giovane ed avvenente sposa Margherita Luisa d'Orleans, figlia, a sua volta, del Duca d'Orleans e della regina Maria dei Medici. Le difficoltà matrimoniali spinsero Cosimo ad un ulteriore tendenza all'introversione, alle crisi depressive, alle forme maniacali di bigottismo che rasentavano troppo spesso il fanatismo e la superstizione. Comunque da questo sfortunato matrimonio nacquero tre figli Ferdinando, Giangastone e Anna Maria Luisa ben presto abbandonati dalla madre, che fece ritorno in Francia, dove si gettò, in un turbinio di amanti, nella più sfrenata e gioiosa vita di corte parigina, fin troppo diversa da quella meschina e bigotta del granducato.

I tre figli di Cosimo vennero affidati alla nonna Vittoria che ripeté gli stessi errori già commessi con Francesco e Cosimo. Il primogenito si ribellò a tale educazione; aveva ereditato dalla madre un carattere gaudioso e gioioso, era amante dell'arte, della musica e del teatro; il giovane rampollo, isolato nella villa di Pratolino per i continui contrasti con il padre, riuscì a trasformare tale villa in uno dei centri più importanti per le attività artistiche di tutta l'Europa. Sfortunatamente nonostante il matrimonio con Violante Beatrice di Baviera, Ferdinando morì nel 1713 all'età di 50 anni minato dalla sifilide, malattia che impedì al principe anche di avere figli.

Le speranze di Cosimo si rivolsero al fratello minore Francesco Maria Medici coetaneo di Ferdinando, che però era cardinale. L'"amore per lo stato" fece si che il povero porporato, ormai cinquantenne e oppresso da un'adipe che rasentava il ridicolo, e, come tutti i Medici, gottoso, abbandonasse l'abito talare, con il beneplacito del papa, per convolare ad ingiuste nozze con l'allora ventenne e gracile Eleonora Gonzaga. Nonostante i trascorsi del cardinale le cui malefatte (o benefatte?) in gioventù, incurante del lignaggio, e dell'abito, avevano messo in serio imbarazzo la bigotta corte fiorentina, un simile matrimonio ebbe come unico risultato l'infelicità dei contraenti.

Questo fu l'estremo fallimento di Cosimo di dare una discendenza alla casata Medici, in quanto il suo secondogenito Giangastone in campo sentimentale aveva seguito le orme paterne senza però ottenere neppure un erede. Il matrimonio tenutosi nel 1697 con Anna Maria Francesca principessa Elettrice di Sassonia e già moglie del principe Filippo di Neuburg fallì miseramente dopo sette anni, e Giangastone nel 1705, è già di ritorno a Firenze solo con le sue manie, le sue nevrosi e, probabilmente, con la sua omosessualità. Infine, per dovere di cronaca la figlia di Cosimo, Anna Maria Luisa si sposò nel 1691 con Giovanni Guglielmo di Sassonia diventanto l'Elettrice Palatina.

Le due consorti Margherita-Luisa e Anna Maria Francese,a ovviamente nei loro paesi, resero i rispettivi mariti Cosimo e Giangastone gli zimbelli della Francia e dell'Impero, e questo non agevolò certamente la successione al trono del Granducato.

Il 31 ottobre 1723 muore Cosimo, e sale al trono all'età di 51 anni l'ultimo discendente di casa Medici: Giangastone. I primi anni di governo di Giangastone apparvero quantomai illuminati; ridusse le spese dello stato a favore del clero, diminuì le tasse, diede impulso al commercio e all'industria, ma durò poco, fu infatti sufficiente una caduta ed una lieve distorsione per costringere il Granduca a letto per… otto anni, gli ultimi della sua vita. Lentamente Giangastone si trasformò in una grottesca caricatura, obeso oltremodo, raramente lucido, sovente privo di un'igiene che definire approssimativa è un eufemismo, circondato da una serie di saltimbanchi, finti poeti, e manigoldi che scorazzavano nelle camere del Granduca fra atroci schiamazzi ed orge immonde organizzate dai due invertiti Paolo Dolci e il Dami, suoi aiutanti da camera, il cui principale compito era quello di arraffare più denari possibile al Granduca vendendogli per oggetti preziosi la peggior chincaglieria, spesso offrendogli in vendita oggetti sottratti al principe stesso il quale spesso esclamava, con quel poco di lucidità che gli rimaneva "Guarda chi si rivede". «Il letto era sudicissimo con le lenzuola sporchissime, camicia e scuffiotto lordo [… la camera] era puzzolente di tabacco in fumo e dalle tracce visibili e sensibili dei cani che facevan vita comune col Serenissimo e che invece della camera di un principe pareva una camera delle Stinche, [… il Granduca inoltre] aveva l'unghie delle mani e dei piedi come un astore, poco importandogli lo star pulito e più volte dovettero liberalo da animali immondi che lo divoravano» (Pieraccini G.: "La stirpe de' Medici di Cafaggiolo"; Vallecchi, Firenze, 1926). Scorrono così gli ultimi otto anni di vita di Giangastone la cui ultima fiammella vitale si spense il 9 luglio 1737.

Alla morte di Giangastone il Granducato passò a Francesco Stefano duca di Lorena, e marito di Maria Teresa d'Austria, futura Imperatrice d'Austria, grazie al trattato di Vienna (1738) che sanciva la fine della guerra di successione polacca.

La prima Loggia fiorentina fu fondata dall'intraprendente colonia inglese a Firenze fra il 1731 ed il 1732; il primo Venerabile fu Charles Sackville duca di Middlesex, il luogo di riunioni era presso una locanda di via Maggio, almeno inizialmente, per poi trasferirsi in una locanda imprecisata di proprietà del Fratello Collins; il trasferimento sembra dovuto non a motivi di sicurezza, quanto a puri motivi di arte culinaria. L'Officina accoglieva, oltre ad importanti notabili della colonia inglese, primo fra tutti sir Horace Mann (ambasciatore del governo inglese) anche circa sessanta fiorentini, tutti di rango, nobili, intellettuali, commercianti, tutti impegnati nella difficile battaglia di rinnovamento della cultura fiorentina contro i pregiudizi, l'intolleranza religiosa e per una maggior indipendenza intellettuale. Fra i Fratelli fiorentini ricordiamo Tommaso Crudeli, Antonio Cocchi (medico della colonia inglese e primo fiorentino ad essere iniziato), l'abate Antonio Niccolini, Guseppe Maria Buondelmonti (nipote del ministro Rucellai), lo stesso Giulio Rucellai, Ottaviano Bonaccorsi, il marchese Carlo Rinuccini, il ministro Giovanni Lami, Bernardo Tanucci (futuro ministro del regno di Napoli), il poeta Giuseppe Cerretesi, l'abate Craon (figlio di Marc Craon futuro ministro di Francesco Stefano), Paolino Dolci (aiutante di camera di Giangastone) ecc… Fra i Massoni stranieri ricordiamo il famoso incisore Johann Lorenz Natter (futuro padre della Massoneria Occultista Svedese), il barone prussiano Philip von Stosch, un essere ambiguo, faccendiere, imbroglione e spia, non solo doppio-giochista, ma triplo, e se possibile quadruplo, ma con uno spiccatissimo amore e gusto per le antichità «Ma anche in questo campo rivelava la sua mancanza di scrupoli, se è vero quanto racconta il de Brosses, secondo il quale, essendo sparita una gemma preziosa durante una visita dello Stosch al Gabinetto di Versailles, gli fu fatto bere un emetico e la gemma balzò fuori dello stomaco del numismatico prussiano» (Carlo Francovich: "Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione Francese"; Ed La Nuova Italia, Firenze 1974, pag. 57); lo Stosch era comunque scarsamente tollerato anche dai suoi Fratelli se è vero che spostarono il giorno della riunione di Loggia dal giovedì al sabato, in quanto il sabato il barone era impegnato nella sua massima occupazione: l'antiquariato. Il numero complessivo dei Massoni della Loggia Fiorentina sembra che nel 1735-7 raggiunga il migliaio (per maggiori notizie sui componenti della Loggia Fiorentina cfr. Carlo Francovich: op.cit. pag.54-63.).

Le aperture di Giangastone e la maggior libertà di costumi che ad esse seguirono, nonché la perdita dei poteri della Chiesa a Firenze diedero un impulso eccezionale allo sviluppo dell'Arte Reale nel Granducato. È infatti di quegli anni la comparsa di Officine anche a Siena ed a Livorno di cui però non abbiamo notizie certe. Come del resto non ne avremmo della Loggia fiorentina se la tragedia non fosse dietro l'angolo. Ma il contrasto fra la Loggia fiorentina e la chiesa si inserisce in un più ampio e complesso quadro di contrasto fra le correnti più conservatrici della chiesa cattolica rappresentate principalmente dai gesuiti impegnati nella difesa della scolastica, della grammatica latina e del pensiero aristotelico, l'astio per il giansenismo, contro la nuova cultura enciclopedica di cui l'intelighenzia fiorentina era pervasa la quale propugnava il metodo sperimentale di Galileo, il razionalismo cartesiano, le teorie matematiche di Gassendi nonché le dottrine liberali più recenti di Leibniz e di Newton, infine lo studio del greco in quanto questa lingua maggiormente permettava la produzione di nuove parole al servizio delle scienze.

Durante gli ultimi mesi del regno di Giangastone, il 28 aprile 1737 viene pubblicata a Roma la Bolla "In Eminenti…" che sancisce la scomunica della Massoneria. Tale bolla, pur non essendo recepita dallo stato toscano provoca non poco disagio ai Massoni fiorentini, tanto che il segretario della Loggia il Fr.˙. Tommaso Crudeli, su indicazione del M.˙. V.˙. lord Robert Raymond (eletto G.˙. M.˙. della Gran Loggia di Londra nel 1739 subito dopo la sua partenza da Firenze), comunicò lo scioglimento della Loggia. Ma il vuoto di potere provocato dalla morte di Giangastone, la presenza di un governo costituito prevalentemente da stranieri, malvisti dalla popolazione e da un sovrano del tutto sconosciuto e latitante, permise una notevole libertà di manovra al potere clericale a lungo rintuzzata da Giangastone; l'occasione era ghiotta per estirpare «ogni focolaio di anticonformiso […e di] ripristinare la scolastica e l'aristotelismo all'università di Pisa; mettere al passo i liberi pensatori e gli avversari dei Gesuiti; disperdere la Libera Muratoria, protetta dagli scismatici inglesi e considerata come una centrale della propaganda anticuriale; infine, dare una lezione che servisse d'esempio agli altri Stati della penisola» (Carlo Francovich: op. cit. pag. 74). Immediatamente il padre Paolo Ambrogio Ambrogi, Inquisitore in Santa Croce iniziò ad indagare al fine di trovare un anello debole nella Loggia, in ciò fu facilitato dalle testimonianze di Bernardino Pupilliani, noto fatuo, chiacchierone che si vantava di sapere i fatti altrui, e Orazio Minerbetti un minus habens considerato il "grullo del paese" da tutti, al quale il Cerretesi aveva raccontato le cose più astruse ed oscene (onanismo, firma del giuramento con il seme ecc.) per burla; tale anello debole doveva essere un cittadino del Granducato, giacché porre le attenzioni su di un inglese o, peggio sul von Stosch era troppo pericoloso per le reazioni che avrebbe potuto provocare, e soprattutto non facente parte della classe dirigente del Granducato; il capro espiatorio perfetto per poter discreditare la Loggia, e per impaurire tutti gli appartenenti fu individuato in Tommaso Crudeli da Poppi di professione poeta, l'abate Buondelmonti e Giuseppe Cerretesi. Il Crudeli si era fatta in Firenze una fama tutt'altro che invidiabile grazie alle sue poesie ed ai suoi motti spiritosi spesso dissacranti nei confronti della Chiesa e degli ecclesiastici, non tanto per astio nei loro confronti, ma era nel suo carattere gioioso e semplice, amava prendere la vita così come veniva, senza alcuna preoccupazione, nonostante la tisi, allora malattia gravissima e ancorché mortale, e nei sui motti e sberleffi rivolti a destra e a manca, non poneva alcun astio, era sempre pronto a ridere anche di sé stesso, ma solo burla, scherno e tanta allegria. Il suo comportamento estremamente libero gli crearono non pochi problemi con i cittadini del Granducato spesso bigotti e bacchettoni, a tal punto che il padre Inquisitore non fece fatica a trovare testimoni d'accusa "volontari" contro il poeta popponese.

Il gioco era fatto, il Granduca Francesco Stefano, abilmente raggirato dal Cardinale Neri Corsini, nipote di Clemente XII e molto vicino ai Gesuiti acerrimi nemici dei Massoni, diede l'autorizzazione a procedere mentre stava per partire per la guerra contro i Turchi. Il barone von Stosch, se la cavò con un decreto di espulsione rimasto sempre lettera morta grazie alla protezione del residente inglese sir Horace Mann; il primo a cadde nella rete degli sbirri fu il Crudeli, non avvertito in tempo; per quanto riguarda gli stessi provvedimenti che sarebbero dovuti essere presi in un secondo momento nei confronti del l'abate Buondelmonti e Giuseppe Cerretesi caddero come lettera morta per l'abile ostruzionismo dei Fratelli facenti parte del Consiglio di Reggenza che "inventavano" ogni volta una scusa diversa per procrastinare l'arresto. Dall'arresto, il 9 maggio 1739 fino ai primi di agosto il Crudeli fu rinchiuso in una cella piccola, angusta, esposta al calore dell'estate fiorentina e sulla quale si facevano sentire i terribili miasmi di una latrina a cielo aperto, con un pagliericcio infestato da cimici e pidocchi, la luce «filtrava da una feritoja, che riusciva in un andito, il quale, a sua volta la riceveva da una finestra su un cortile, posta sotto un doppio ordine di tetti muniti ambedue di una gronda non poco sporgente in fuori - inoltre - fu ordinato porsi alla ferriata della prigione un riparo di legno» (Bibblioteca Moreniana (Firenze), Fondo Palagi, 63-64, pag.30-31), il posto ideale per un tisico!! Era infatti estremamente importante per il padre Ambrogi ottenere una confessione spontanea, senza ricorrere alla tortura, data la situazione che si era creata nel Granducato, infatti il Granduca Francesco Stefano (Iniziato Massone in Olanda), in sua assenza, aveva nominato un Consiglio di Reggenza presieduto da Giulio Rucellai, dal principe Marco di Craon, e da Emanuele Richecourt, tutti e tre Fratelli Massoni anche se gli ultimi due erano stati iniziati in altra parte d'Europa, ed in quanto la bolla "In eminenti…" non aveva valore in Toscana. Solo una confessione spontanea avrebbe potuto infangare definitivamente la "setta immonda".

Il Crudeli, nonostante fosse scosso da terribili attacchi di tosse, e fosse ridotto ad una larva umana si rifiutò di collaborare. Solo ad ottobre il procuratore fornì i capi di accusa: «Aver affermato che la teologia scolastica era "inutile, superflua, chimerica e falsa". Che non esiste il purgatorio e che le indulgenze non servono a niente. Che il papa non ha alcuna "potestà, avendola data Gesù Cristo a san Pietro e non ai suoi successori". Che nel sacramento dell'eucarestia non c'è il corpo di Gesù. Che Dio è mendace. Che san Giovanni Evangelista è un somaro. Che è lecito "sollevarsi contro il principe, quando impone pesi gravi".

Il 29 aprile del 1740 al Crudeli venne mossa anche l'accusa di eresia, per aver affermato che "quando uno si battezza gli si lava il capo, perché non gli diano fastidio i pidocchi", che la confessione è "la carneficina delle coscienze", che gli uomini "sono fatti come le bestie"» (Roberto Gervaso: "Fratelli Maledetti - Storia della Massoneria"; Bompiani, Bergamo, 1996 pag. 151).

Nonostante il trattamento inumano, Tommaso Crudeli si ostinava a non rivelare i segreti della Loggia, né tantomeno i nomi dei Fratelli se non quelli già noti al padre inquisitore; ma le sue condizioni di salute peggiorarono a tal punto che il Rucellai ed il Richecourt riuscirono ad ottenere lo spostamento del prigioniero in una cella più confortevole dove poteva essere anche visitato da un medico.

Nonstante i sui accusatori avessero ritrattato le loro testimonianze di fronte al Rucellai, che da buon Fratello lo rese noto immediatamente, per l'Inquisizione non esisteva la possibilità di ritrattare; visto che non era più possibile processare la Massoneria si processò solo il Crudeli, nonostante lo stesso non avesse confessato alcunché, o forse per questo!! Il 21 luglio 1740 a Tommaso furono concessi gli "arresti domiciliari" da prima a Poppi, dove le sue condizioni di salute si aggravarono, e poi a Pontedera; solo in punto di morte gli fu concesso di tornare a Firenze. Il 27 marzo del 1745 all'età di quarantadue anni il poeta si spense. «Non ebbe nemmeno il conforto di una regolare sepoltura, ché fu gettato nella fossa comune dell'abbazia di San Fedele. L'ultimo affronto al primo massone vittima della più mostruosa delle intolleranze: quella religiosa» (Roberto Gervaso: op. cit pag. 154).

Se l'inquisizione aveva vinto la battaglia, comunque perse la guerra in quanto Francesco Stefano nel 1743 chiuse la prigione dell'inquisizione e chiuse il tribunale per undici anni; nel 1783 il figlio lo abolì del tutto.

Certo è che tale processo ebbe una risonanza europea, il coraggio e la forza con la quale il Crudeli tenne testa al Sant'Uffizio regalò un aura di ammirazione e di fama presso tutti gli stati Europei rendendo la fama della prima Loggia fiorentina imperitura a tal punto che nel 1777 un emissario della Stretta Osservanza si recò a Firenze con la speranza di contattare un Superiore Sconosciuto. Da quel giorno Firenze, comunque, cessa di essere un centro latomistico, almeno fino alla dominazione napoleonica, lasciando il testimone a Livorno. Alcuni indizi, comunque, sembrano far ipotizzare la permanenza di Logge segrete a Firenze, talmente riservate che non hanno lasciato testimonianze apprezzabili.

Jhaoben

Bibliografia

Adilardi Guglielmo: "Un antica condanna": Bastogi, Foggia 1989.

Francovich Carlo: "Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione Francese"; Ed La Nuova Italia, Firenze 1974.

Gervaso Roberto: "Fratelli Maledetti - Storia della Massoneria"; Bompiani, Bergamo, 1996 pag. 151.

Pieraccini G.: "La stirpe de' Medici di Cafaggiolo"; Vallecchi, Firenze, 1926.

Vannucci MArcello: "I Medici"; Newton Compton ed. Firenze,

 

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