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		La Tecnica come Simbolo 
		
		
		Di Carlo Caprino 
		
		
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Premessa
La parola “Simbolo” deriva dal termine greco symbolon, con cui si 
identificava un segno di riconoscimento formato dalle due metà di un oggetto 
spezzato che si accostano. In una accezione più ampia del termine è un elemento 
materiale, un oggetto, una figura, una 
persona o una qualsiasi altra cosa che rappresenta un concetto ideale o 
una entità astratta. Più sinteticamente, 
nelle sue “Lettere sullo Yoga”, Sri Aurobindo afferma che: 
“Un simbolo è la forma che su un dato piano, rappresenta una verità di un altro 
piano...”
Così come un simbolo, in passato, permetteva di identificare colui che lo 
portava, oggi tramite i simboli possiamo riconoscere verità e concetti nascosti 
o dimenticati. Dico riconoscere nell'accezione etimologica del termine, non 
tanto conoscere ex-novo quindi, ma “conoscere di nuovo” un qualcosa che 
avevamo dimenticato, magari un archetipo di quell’”inconscio collettivo” 
descritto da C.G. Jung.
Tramite il lavoro sui simboli possiamo giungere a conoscere delle verità 
“incomunicabili”, non tanto perché segrete ma quanto per l'impossibilità di 
essere tradotte in parole, o meglio, di essere oggetto di 
comunicazione/trasmissione; è una conoscenza a cui ciascuno arriva (se arriva) 
per gradi, lungo un percorso individuale, lavorando con e su sé stesso, operando 
trasformazioni ad un tempo fisiche e spirituali.
Come è avvenuto in passate occasioni, un evento apparentemente casuale ha 
stimolato il coagularsi di pensieri e riflessioni, apparentemente distanti e 
scollegati dalla causa prima, ma in realtà (almeno per chi scrive) fortemente 
collegati con rapporti di causa/effetto. Nel caso specifico, queste righe 
scaturiscono dalla lettura di un breve saggio di Mircea Eliade, dedicato alle 
modalità di studio del simbolismo religioso.
Nel saggio citato, l’Autore affronta nello specifico il simbolismo religioso, ma 
afferma che:
“Dato che l’uomo è un ‘homo simbolicus’, e che tutte le sue attività implicano 
il simbolismo, ne segue che tutti i fatti religiosi possiedono carattere 
simbolico”.
Da questa affermazione possiamo ricavare che non solo tutti i fatti religiosi, 
ma tutti i fatti in generale possiedono carattere simbolico, ovvero che possono 
essere letti e interpretati non solo in base alla loro “apparenza” ma anche con 
chiavi di lettura diverse. Ovviamente questo carattere simbolico può essere più 
o meno apparente, pur essendo sempre presente, ed in alcune attività può 
risaltare in maniera eclatante mentre in altre può rivelarsi solo ad un attenta 
osservazione.
In
Aikido tutto è simbolo: il gesto più semplice come l'oggetto più comune o 
la parola più usata: è simbolo l'orientamento del kamiza ed il lato del
tatami dove siede il Maestro, è simbolo il nodo dell'obi , il 
numero di pieghe della hakama ed il modo di piegarla, è simbolo l'inchino 
ed è simbolo il kiai che ritma le varie tecniche ed il tono con cui è 
pronunciato.
Così quello che per qualcuno è solamente il “fine”, ovvero l'addestramento 
fisico, può essere per altri un “mezzo” per eseguire un lavoro spirituale più 
sottile ma altrettanto, se non più, faticoso ed impegnativo. Un “simbolo”, 
appunto, per riconoscere qualcosa che abbiamo sotto gli occhi, che forse 
già vogliamo ma che ancora non riusciamo a vedere, oppure che non riusciremmo a 
vedere in altro modo.
Questa è la grande funzione dei simboli: superare se stessi in una continua 
tensione verso una potenza che li trascende ed al cui detentore essi sempre si 
volgono; dischiudere livelli di realtà altrimenti chiusi, e dischiudere livelli 
della mente umana dei quali non siamo altrimenti consapevoli.
Il Mondo parla, o rivela se stesso attraverso i simboli, e tuttavia non in 
linguaggio utilitaristico e oggettivo. Il simbolo non è un mero riflesso della 
realtà oggettiva; rivela qualcosa di più profondo e di più fondamentale.
I Simboli [...] sono in grado di rivelare una modalità del reale o una struttura 
del Mondo che non risulta evidente a livello della esperienza immediata.
[Anche in questo caso] non si tratta di conoscenza riflessiva, bensì di 
intuizione immediata della ‘cifra’ del Mondo. Il Mondo parla attraverso il 
simbolo [dell’Albero Cosmico], e questa parola viene compresa direttamente. Il 
‘Mondo’ viene appreso come ‘vita’ e, nel pensiero primitivo, ‘la vita è un 
aspetto dell’essere’.
E’ bene ribadire, a scanso di equivoci, che anche se nelle citazioni si parla di 
simboli religiosi, queste note non vogliono intendere la pratica dell’Aikido 
come un rito o una cerimonia religiosa (anche se non significa escludere che 
questo possa essere, a determinate condizioni). Quello che si vuole sottolineare 
è la “simbolicità” di una tecnica, che aldilà dell’essere un atto fisico 
efficace ed efficiente, offre al praticante che abbia “occhi per vedere” 
ulteriori possibilità di approfondimento.
Uno, nessuno, centomila
Questo livello “riservato” è proprio di moltissime Arti, marziali e non: così 
come unico scopo dell’Aikido non è quello di picchiare prima e meglio un 
avversario, unico scopo dell’Ikebana non è quello di disporre fiori in un 
contenitore, così come la pratica del Cha-do non ha come unico scopo il 
sorbire una tazza di té.
Certamente, arti meno “fisiche” rendono più facile allo spettatore profano 
immaginare che ci siano altri scopi, oltre quelli meramente apparenti, mentre 
questa intuizione è un po’ più difficile per quelle che si rifanno alla pratica 
marziale.
Una prima traccia può essere ricavata da uno dei “simboli” più immaginifici e – 
per certi versi – esplicativi, impiegati dall’Oriente, ovvero la scrittura 
ideogrammatica e quindi, per quanto riguarda il Giappone, i kanji.
L’Aikido viene compreso nel novero delle Arti marziali che in Giappone 
vengono classificate come “Budo”. Questo termine è composto da due 
caratteri; il secondo, Do, indica una disciplina, un metodo, una pratica 
che diventa stile di vita mentre il primo, Bu, viene solitamente tradotto 
come “marziale”, “militare”, “che ha a che fare con la guerra”.
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Se approfondiamo l’analisi di questo ideogramma, scopriremo che è composto da 
due parti, la parte inferiore indica un piede, suggerendo l’idea di avanzare e 
il principio del movimento, mentre la parte superiore rappresenta una alabarda, 
quale simbolo di battaglia, combattimento o lotta. Una prima interpretazione 
dell’unione dei due caratteri può quindi essere “avanzare a piedi con una 
alabarda”, rendendo appieno l’azione di un fante del medioevo giapponese 
impegnato su un campo di battaglia e quindi, per estensione, una azione 
militare. Approfondendo l’esame però, il radicale che indica il piede può anche 
esprimere l’idea di fermare, arrestare, “puntare i piedi”. Ecco quindi che 
Budo può anche essere tradotto come “fermare un conflitto”, passando così da 
una idea di Guerra ad una di Pace.
Una struttura essenziale del simbolismo [...] è la sua ‘polivalenza’, la sua 
capacità di esprimere simultaneamente un gran numero di significati il cui nesso 
logico non risulta evidente sul piano della esperienza immediata.
La porta oltre il cancello
Tecniche, attacchi o principi (apparentemente) contorti o arzigogolati, come – 
sempre parlando di Aikido -  
kaiten-nage, ushiro ryote dori, irimi nage e non pochi kokyu nage 
possono (o, se si vuole, devono...) essere letti anche in questa prospettiva: 
non solo come tecniche o principi per affrontare un avversario a mani nude o 
armato di spada, lancia, bastone o coltello (e già questo chiarisce non poche 
perplessità), ma come situazioni “limite” in cui affrontare sé stessi, e non 
solo “l’altro da sé”.
Il simbolo religioso permette all’uomo di scoprire una certa unità del Mondo e, 
allo stesso tempo, di svelare a se stesso il proprio destino in quanto parte 
integrante del Mondo.
[Il simbolo ha] la capacità di esprimere situazioni paradossali, o certe 
strutture della realtà ultima, altrimenti del tutto inesprimibili.
Diventa, in altre parole, un modo di provarsi, di mettersi in discussione, 
utilizzando il compagno di pratica come strumento e specchio al fine di 
conseguire la vittoria più importante che – come il Fondatore dell’Aikido 
(e non solo lui) affermava, è la vittoria contro sé stessi.
Si potrebbe anche dire che l’addestramento è un ponte, necessario per giungere 
alla nostra meta, che bisogna percorrere di buona lena senza soffermarsi più del 
necessario oppure considerarlo un cancello, come affermava un Maestro di spada 
giapponese.
L'apprendimento è il cancello, non la casa.
Quando lo vedi non pensare che sia la casa, devi passarci attraverso per entrare 
nella casa che si trova oltre. 
Poiché l'apprendimento è un cancello, quando leggi dei libri non pensare che si 
tratti del Metodo.
Il fraintendimento ha fatto sì che molte persone rimanessero ignoranti sul 
Metodo, per quanto esse avessero studiato e per quante parole conoscessero.
(Yagyu Munedori)
Quindi già secoli fa un Maestro di spada metteva in 
guardia contro il proliferare di manuali e libri (oggi aggiungeremmo 
videocassette, DVD e filmati su YouTube) e sottolineava quanto fosse 
indispensabile non fermarsi all’apprendimento puro e semplice ma utilizzare 
quanto imparato per fare esperienze utili alla propria crescita.
“Entrare”, “passare attraverso” sono concetti che troviamo espressi come 
principi marziali sia nelle tecniche come irimi-nage o shi-ho-nage 
che nelle parole di esperti come Musashi Myamoto:
Sotto la spada levata vedi l'inferno;
ma passa oltre, vai avanti;
e si apriranno le porte del paese felice.
e nei doka del Fondatore dell’Aikido, in cui Ueshiba Morihei 
condensò con un linguaggio “rarefatto” ed ermetico l’aspetto pratico e 
spirituale dell’Arte, rifuggendo da spiegazioni didattiche e razionali ed 
affidandosi ad un “linguaggio dello spirito” che concepisce una trasmissione tra 
Maestro ed allievo “da cuore a cuore”.
Impara e senti Il ritmo dell’attacco
entra e taglia: dell’Aikido i segreti giacciono in superficie.
Se tu vorrai disarmare il nemico
parti per primo entra rapido e taglia
con tutta la tua forza!
Destra e sinistra con mente fissa e ferma
ruotando schiva ogni colpo e schivata: porta l’attacco ed entra (mantenendo il 
controllo)
Libero e forte evita i colpi e schiva il duro attacco del contendente tuo: entra 
con forza e taglia!
Gli stessi concetti di “entrare” e “passare attraverso”, ad uno sguardo poco 
meno che distratto, possiamo coglierli anche altrove, ed in maniera anche più 
ampia di quanto si possa immaginare. Uno dei casi più presenti è nel simbolismo 
delle Simplegadi.
Le Simplegadi (dal greco syn, insieme, e plésso, urtare, battere) 
sono, nella mitologia greca, un gruppo di isole, note anche come Isole Cianee, 
all'ingresso del Ponto Eusino. Si narrava che queste isole si scontrassero 
continuamente fra loro (da qui il nome), costituendo così un pericolo per i 
marinai che navigavano in quelle acque. Le immagini più frequenti di questa 
simbologia sono il passaggio tra due rocce che continuamente cozzano insieme, 
tra due montagne che si muovono senza pause, fra le fauci di un mostro 
(Pinocchio, Giona, Moby Dick), il penetrare e l’uscire incolumi da una ‘vagina 
dentata’, o il riuscire ad entrare in una montagna senza aperture (Alì Babà ed 
il suo “apriti sesamo”).
[...] se esiste la possibilità di un ‘passaggio’, essa non può realizzarsi se 
non in spirito, dando a questo termine tutti i significati che esso possiede 
nelle società arcaiche, significati che cioè si riferiscono a un modo di essere 
disincarnato oltre che al mondo dell’immaginario e a quello delle idee.
Sarebbe facile cedere alla tentazione di sperare che basti una parola magica o 
un gesto ieratico a separare le montagne ed a spalancare i passaggi, purtroppo o 
per fortuna così non è e da che mondo è mondo l’addestramento in un arte prevede 
un apprendistato caratterizzato da un rigore formale più o meno accentuato, un 
rigore formale che non è (o non dovrebbe essere...) fine a sé stesso ma che 
serve a dare dei “paletti” che delimitano l’ambito di movimento del praticante. 
Una volta che la corretta modalità d’azione è stata interiorizzata il “recinto” 
non è più un qualcosa che limita ma uno stimolo a superare un ostacolo, 
traguardo a cui si giunge solo e solamente quando si può e si vuole farlo.
E’ questa una delle peculiarità forse più sfuggenti del Takemusu Aikido, 
una caratteristica sottile come la lama di un rasoio, che come una lama di 
rasoio taglia il malaccorto che non abbia esperienza ed attenzione nel 
maneggiarla.
Nell’ambito della applicazione dell’aikido nella vita reale, voglio ora portare 
l’attenzione sulla parola “takemusu”. Questa viene generalmente tradotta come 
“creazione spontanea di tecniche” ed è l’aspirazione di ogni artista marziale. 
Questa condizione è nettamente distinta dalle tecniche che pratichiamo durante 
l’addestramento, previste per l’esecuzione in un contesto ben definito e che 
costituiscono un metodo per comprendere i più profondi principi della 
armonizzazione, così come un praticante di body-building non esegue l’esercizio 
del “curl al bicipite” per aumentare la sua abilità nell’esecuzione 
dell’esercizio specifico, quanto per ottenere un aumento delle prestazioni del 
muscolo interessato dall’esercizio.
Allo stesso modo dovremmo usare l’aikido nella vita reale e se ci capita di 
limitarci alla mera esecuzione delle tecniche come apprese durante 
l’allenamento, stiamo smarrendo uno dei fondamentali principi per essere un 
artista marziale.  Dovremmo usare 
ogni particolare del nostro essere per realizzare la desiderata uscita dalla 
spiacevole situazione in cui ci troviamo: il nostro corpo – irrobustito dalle 
ukemi, il tenkan eseguito dai nostri piedi, il nostro kiai, il nostro centro 
stabile, la nostra mente concentrata... tutte deve essere coinvolto ed 
utilizzato. 
L’epifania della tecnica
Le riflessioni sopra riportate offrono il fianco a non poche critiche, prima tra 
queste la difficoltà a dare dimostrazioni logico-razionali a concetti e 
riflessioni che si fondano su esperienze personali e tragitti di vita 
individuali. Di fatto nulla è indispensabile nella pratica, se non la pratica 
stessa; si possono eseguire per anni centinaia di tecniche senza il desiderio e 
la necessità di interrogarsi su “cosa c’è dietro” e senza che l’efficacia 
dell’azione e l’armonia dell’esecuzione ne vengano minimamente intaccate. Ciò 
non significa che “qualcosa” – anche a nostra insaputa – non stia agendo...
La psicologia del profondo ci ha insegnato che il simbolo comunica il proprio 
messaggio e adempie alla propria funzione anche quando il suo significato sfugge 
alla consapevolezza.
Ovviamente essere consapevoli di determinati significati, o quantomeno avere 
contezza che un significato ci sia ed interrogarsi in proposito faciliterà la 
ricerca di una risposta, piuttosto che attendere che questa appaia come 
d’incanto, ed essere consapevoli che un significato c’è permette di vedere con 
“occhi nuovi” anche quello che ci circonda, aiuta a cogliere gli infiniti e 
minuti collegamenti che uniscono tra loro ogni momento della nostra vita, 
consente di immaginare cosa poteva voler suggerire Ermete Trismegisto nella 
“Tavola di Smeraldo”.
Il simbolo [...] non soltanto svela una struttura della realtà o una dimensione 
dell’esistenza, ma con quell’atto stesso porta un ‘significato’ nell’esistenza 
umana, Questo è il motivo per cui anche i simboli che mirano alla realtà ultima 
costituiscono contemporaneamente rivelazioni esistenziali per l’uomo che decifra 
il loro messaggio.
[...]
Il simbolo religioso traduce una situazione umana in termini cosmologici e 
viceversa; più precisamente, rivela la continuità fra le strutture 
dell’esistenza umana e le strutture cosmiche.
[...]
Di conseguenza, grazie al simbolo, l’esperienza individuale viene ‘ridestata’ e 
tramutata in atto spirituale. Vivere un simbolo e decifrare correttamente il suo 
messaggio implica aprirsi allo Spirito e, infine, accedere all’universale.
Qualunque Arte allora, qualunque atto quotidiano, assume una valenza nuova ed 
una potenza che va ben aldilà del gesto muscolare puro e semplice, e le parole 
di O’Sensei Ueshiba Morihei  
suonano più come una promessa che come un illusione.
Ken ga ten wo sasu uchu kara ki ga ken no naka ni hairimasu ato de hikari de 
terasu 
Conclusioni
Come è ovvio queste note non possono e non vogliono esaurire un argomento che – 
già di per sé complesso e articolato – può trovare idonea metabolizzazione 
individuale solo attraverso una pratica fisica unita ad una sincera e costante 
riflessione personale. Il volerle condividere è un modesto dono ai compagni di 
pratica ed un ringraziamento ai Maestri passati e presenti che ci permettono di 
godere dei loro insegnamenti.
Articolo pubblicato nella rivista
LexAurea36, 
si prega di contattare la
redazione 
per ogni utilizzo.
www.fuocosacro.com