Il Percorso Impersonale

 

Paola Magnani


 

 

 

 

La maggior parte delle persone sono altre persone.

I loro pensieri sono le opinioni di qualcun altro,

la loro vita una mimica, le loro passioni una citazione.

 

O. Wilde

 

 

 

L’immagine di sentiero, cammino e viaggio sono spesso utilizzate come metafora della ricerca. Grandi uomini hanno intrapreso questo viaggio che si esprime in molti modi, ognuno di loro ha lasciato la propria testimonianza e noi li chiamiamo santi, maestri o illuminati. Leggendo delle loro azioni e considerando le loro scelte, si può pensare che le strade siano ormai tracciate e che siano lì, chiare e sicure, da percorrere.

 

Così, osservando i molti esempi illustri, alcuni s’incammino su una via di rinuncia, altri trovano la loro strada nel servizio ed altri ancora la riscoprono all’interno di un’esistenza comune. Nel contempo, se da una parte un certo numero di persone si affida ad una via già percorsa, dall’altra altrettante sostengono un percorso personale affermando l’unicità specifica di ogni essere umano. A prescindere da come lo si intenda, questo movimento è una realtà che impegna nel profondo chi lo percorre.

 

Alcuni considerano questo cammino alla stregua di un viaggio oggettivo, dove si sa da dove si parte, si conosce la meta da raggiungere e il percorso da seguire. In questo contesto, si presume che il punto di partenza sia la persona che intraprende il viaggio, il punto di arrivo un raggiungimento spirituale e, tra questi, tutta una serie di strumenti e di azioni finalizzate. A volte sfugge quella che ritengo essere una caratteristica importante: il fatto che questo cammino sia solo parzialmente visibile. La maggior parte del procedere si svolge nell’invisibile: parte dall’invisibile, si muove nell’invisibile e raggiunge l’invisibile, spostandosi da mistero a mistero.

 

 

IL PUNTO DI PARTENZA

 

Ritengo che il punto di partenza risieda nella percezione di sé e fino a quando non si ha questo tipo di percezione non si è su un reale punto di partenza. Buona parte delle tecniche e delle istruzioni non riguardano il viaggio ma i preparativi per il viaggio, così talvolta c’è chi pensa di essere già su un sentiero mentre, semplicemente, sta camminando su un tapis-roulant, in allenamento per il cammino vero.

 

In generale, la percezione di sé della maggior parte delle persone è legata alla personalità piuttosto che all’essere che la anima. Gli stimoli percepiti e riconosciuti provengono dal confronto con un mondo esteriore e oggettivo piuttosto che da un mondo interiore e soggettivo che, spesso, non viene neppure preso in considerazione come “reale”. Distinguere tra il proprio aspetto personalità e quello di essere non è semplice come verrebbe da credere, poiché ciò che molti definiscono ‘spirituale’ potrebbe rientrare ancora negli aspetti della personalità, aspetti forse più sottili e inusuali, ma pur sempre legati a riferimenti transitori (es. culturali, emozionali o fisici).

 

Questa percezione di sé dovrebbe definire e palesare chiaramente le parti componenti di se stessi nel momento stesso in cui si manifestano non solo teoricamente ma anche operativamente. Come un viaggiatore conosce ed impiega in modo opportuno i mezzi di cui dispone, così il ricercatore dovrebbe altrettanto riconoscere in “tempo reale” ciò che alla maggioranza sfugge: quello che del suo agire è caratteristico della biologia, delle abitudini o dell’emotività, e quanto l’osservazione di ciò si trova davanti dipende dalla sua sensibilità percettiva oppure da un evitabile automatismo. Questi elementi sono comuni a tutti gli uomini, e la differenza si riduce a semplice apparenza e/o consistenza di grado.

 

Questo punto di partenza può considerarsi non-locale, cioè non è localizzato in un luogo (dentro o fuori una scuola), né in un tempo (passato, presente o futuro) ma nel punto esatto e nel momento stesso in cui ci si trova ad ogni singolo istante. E’ quella percezione di noi stessi che abbiamo nel qui ed ora interiore a determinare l’attimo successivo, cioè il prossimo passo sul sentiero, a prescindere dalle situazioni e condizioni in cui la nostra persona fisica con tutti i suoi strumenti si trova.

 

Il percorso impersonale parte da una consapevolezza posta su una percezione di sé priva degli attributi caratteristici della personalità, cioè posta sull’essere impersonale che ci compenetra. La libertà del nostro essere impersonale è tale da sconvolgere le leggi conosciute, modificare il tempo e la materia con cui entra in contatto, portare la visione oltre l’orizzonte del visibile.  Questa sovranità interiore individua e libera gli elementi che danno forma alle strutture, li sgancia dai rigidi legami dell’oggettività, rendendoli flessibili e funzionali al proprio scopo. In altre parole, l’essere impersonale individua ed utilizza in modo creativo quegli stessi elementi che la personalità considera rigidamente e definitivamente impostati.

 

Sono strutture i nostri vari corpi, la società in cui viviamo ed i diversi ruoli che al suo interno interpretiamo, la lingua, le tradizioni, la cultura, la religione, la scuola che si segue con i suoi insegnamenti e pratiche, ecc.. Queste strutture fagocitano una  percezione di sé centrata sulla personalità, alimentandone la reciproca dipendenza. Quando, invece, la percezione di sè si situa nell’impersonalità, tutti i particolari della personalità e delle strutture si sciolgono dall’impostazione convenzionale diventando singolarmente e creativamente fruibili.

 

 

IL PUNTO DI ARRIVO

 

E’ interessante notare le raffigurazioni che le varie tradizioni, religioni, culture hanno dato a questo punto di arrivo. Questa meta è spesso descritta con metafore, similitudini ed artifici linguistici che tentano al loro meglio di esprimere l’inesprimibile, di rimandare un riflesso che indirizzi il cuore e il pensiero verso un qualcosa la cui natura è mistero. Di esso abbiamo parole, immagini ed immaginazioni e, per ciascuna di esse, raffigurazioni sublimate e perfezionate dal pensiero.

 

La realtà del punto d’arrivo è insondabile, impensabile ed inimmaginabile. Qualsiasi aspettativa o visione che si concentri su un pensiero umano, a prescindere da chi ne ha tentato il trasferimento, è filo che ci vincola invece di guidarci verso questo mistero infinito.

 

Alcuni considerano i testi spirituali e i resoconti di precedenti viaggiatori alla stregua di mappe stradali, cercando in essi segnaletiche, presupponendo indicazioni oggettive, coordinate spaziali e temporali, operando traduzioni e traslazioni. Leggere questi scritti significa interpretare parole umane: racconti, allegorie, parabole, atmosfere… perché altro non si può portare su questo piano. E chi legge immagina sulla base della propria esperienza e percezione, quando non immagina sulle immaginazioni di altri. E’, quindi, impossibile avere, dare e ricevere definizioni reali e oggettive di questo traguardo a livello di personalità.

 

Dal punto di vista della personalià, il cammino verso il mistero è un progressivo allontanamento dal conosciuto, un ininterrotto distacco dal saputo e dal consenso generalizzato, con conseguente graduale (quando non è istantaneo) abbandono di parti di sé, cioè delle parti componenti la personalità oggettiva: il modo in cui si conosce, ciò in cui si crede, i motivi che ci muovono, i rapporti che ci legano. Avviarsi nell’invisibile significa individuare segnali invisibili, ascoltare mute istruzioni, percorrere una landa mai prima immaginata.

 

 

IL PERCORSO

 

Non è raro osservare come lo spazio che intercorre tra punto di partenza e di arrivo sia saturo di ciò che si potrebbe definire “chi cerca cosa e dove”: un insieme di credenze su di sé e sugli altri, luoghi, istruzioni e definizioni, che molti trovano semplicemente perché messi lì da qualcun altro - o da loro stessi - in base alle più svariate e individuali accettazioni. In altre parole, si potrebbe dire che camminando centrati nella personalità si trova solo quello che già è conosciuto, perché ciò che non si conosce non viene notato. Quell’intervallo che costituisce il “percorso” dovrebbe essere “vuoto” e colmato progressivamente dalla pura azione, una serie costante di passi e di soste, procedere e riposare, dove ad ogni istante ci si posiziona e ci si orienta ex-novo partendo dalla consapevolezza a quel punto acquisita.

 

Se lungo un itinerario geografico i riferimenti sono oggettivi e susseguenti, in questo tragitto i segnali sono soggettivi e pertinenti allo stato dell’essere che percepisce in ciascun preciso istante, ciò significa che se il momento successivo è vissuto in uno stato differente dal precedente, la sequenza del tipo di segnale si modifica, mescolando e confondendo (per così dire) i diversi livelli di percezione. E’ importante osservare su quale dei nostri aspetti ci appoggiamo nel singolo momento (della realtà interiore-soggettiva oppure esteriore-oggettiva) poiché da lì parte dapprima l’informazione ed in seguito il movimento che si materializza nell’azione successiva.

 

Il cammino impostato sull’aspetto personalità, con i suoi gusti, le sue supposizioni e le sue considerazioni, in genere parte dal proprio conosciuto e si dirige verso il conosciuto di qualcun altro. La personalità è oggettiva -  si identifica con un corpo fisico che ha nome, età, sesso, ruolo, cultura, paure, speranze - e con questi elementi si relaziona, conosce e riconosce dentro e fuori di sè. Si muove nell’oggettività alla ricerca di certezze e conferme oggettivamente valide, come l’avere un nobile ideale, sapere prima cosa è giusto per farlo e cosa è sbagliato per non farlo, conoscere il premio o il risultato per giudicare se vale la pena mettersi in cammino.

 

 

TRE ELEMENTI

 

Vorrei considerare tre elementi, tra i molti all’interno di questa esperienza, che possono manifestarsi anche in modo diverso. Questi sono il tempo, l’azione e l’equilibrio, per i quali non pretendo di indicare tutte le varie sfaccettature che ciascuno può individuare per se stesso.

 

Il Tempo impersonale - Per la personalità comune il tempo è una dimensione fisica, anche se invisibile. E’ un contenitore le cui pareti sono ore, giorni, ricorrenze e scadenze (momenti, date, pleniluni, transiti, ecc.) entro cui operare, e all’interno di questo contenitore si conformano le aspettative. Il percorso impersonale non si uniforma al tempo scandito dalle lancette e dagli astri, ma crea un suo tempo particolare. Mentre la realtà oggettiva della personalità si inserisce automaticamente in una struttura temporale prefissata su base consensuale, si potrebbe dire che chi procede sul proprio percorso impersonale va sviluppando un qualcosa che si potrebbe definire come tempo non-strutturato, cioè un tempo fluido e direttamente funzionale alla manifestazione dell’esperienza in atto. In altre parole, l’esperienza consapevole non va a collocarsi in una sequenza lineare preesistente, ma produce la sua dimensione temporale man mano che essa (l’esperienza) si sviluppa, ovvero non è l’azione che si svolge ‘dentro’ il tempo, ma è il tempo che viene prodotto dall’azione che si sta manifestando, e tutte le cose intorno del tempo/mondo ordinario si adattano e predispongono per “rivestirla”.

 

L’essere impersonale, essendo non-locale, non è soggetto al tempo e allo spazio comunemente inteso e quindi neppure ad azioni sequenziali, per cui può manifestarsi sul piano fisico semplicemente come “qui ed ora”, cioè una non-struttura che non soggiage alle leggi fisiche materiali e alla progressione passato-presente-futuro o, in altri termini, alla concatenazione di azione/reazione, causa/effetto, inizio/sviluppo/fine.  Esempi di una condizione di “qui ed ora” possono essere il miracolo, (es. una guarigione senza decorso) o quell’istante d’illuminazione, dove lunghi e profondi ragionamenti collassano in una frazione totalizzante priva di linguaggio e sequenzialità. Poggiare la consapevolezza sul proprio essere impersonale è avere accesso ad un qualcosa che, riflettendosi sul piano fisico, produce un tempo (per così dire) de-strutturato che si genera e si manifesta in funzione di un determinato apprendimento, esperienza o compimento. Questo apre non solo al miracolo ma anche alla sincronicità degli eventi, onda invisibile che organizza il visibile eludendo logica e programmazione.

 

Il tempo impersonale si sviluppa nel mondo interiore soggettivo, è sentito nel profondo come fluido, malleabile e perfetto, e nel suo dispiegarsi congloba amorevolmente il tempo ordinario, armonizzando gli accadimenti del mondo esteriore a quelli della realtà interiore.

 

 La Pura Azione – Molti maestri parlano di un’azione che variamente connotano come “giusta”, “appropriata”, “pura”, ecc., per distingerla dalle azioni comuni.  Questa speciale azione scaturisce dall’impulso dell’essere impersonale.

 

In senso generale, la personalità tende a reagire piuttosto che ad agire. Ogni personalità nasce in una super-struttura nella e dalla quale viene educata a rispondere in modo “confacente” al mantenimento delle varie sotto-strutture in cui la struttura principale è organizzata. (Per esempio: struttura=società e sottostrutture=famiglia, lavoro, gruppo, relazioni, ecc.). Il termine organizzazione sottintende l’azione organica di parti diverse volta in primis all’auto-mantenimento, cioè al sostegno della struttura medesima assicurato dal legame e dalle relazioni tra i singoli elementi. La personalità che si riconosce solo tramite il rapporto e il riconoscimento con gli altri si regge su questo legame, sostenendolo a sua volta.

 

Alcuni ritengono che essere su “percorso personale” significhi seguire semplicemente un’ispirazione o un “sentire” interiore, e questo senza appurarne la provenienza. La personalità umana è talmente complessa che se ciascuno seguisse a ritroso le proprie azioni arriverebbe a riconoscerle come pure ‘reazioni’, dove una pura azione (l’azione non condizionata da moti strettamente emozionali, psicologici o materiali) è difficile da rintracciarsi, poichè a livello di personalità gli aggettivi “giusto” ed “appropriato” sono in genere inconsciamente ma strettamente condizionati al benessere delle diverse strutture in cui si opera.

 

La pura azione è la concretizzazione sul piano visibile dell’invisibile impulso dell’essere impersonale che si muove libero da schemi e definizioni pre-organizzate e che entra in relazione con il mondo oggettivo tramite la personalità. Poiché la personalità ragiona ed agisce per forme strutturate e l’essere impersonale non partecipa della stessa visione, questa pura azione viene spesso illustrata in forma di parabola, o metafora, come un atto paradossale per il pensiero comune della cultura e il tempo in cui si manifesta. Il paradosso sfida il buon senso, la consuetudine e la logica dell’apparenza. La pura azione può apparire illogica perché non segue la linearità del ragionamento e delle aspettative, non si adatta agli usi e costumi, non si conforma ai tempi previsti, non riconosce la solidità delle strutture e le mina, togliendo e riposizionandone gli elementi fondamentali secondo nuove prospettive.

 

La pura azione può spaventare la personalità perché la “distacca” da ogni riferimento abituale, la sospende in un attimo di “vuoto” per riposizionarla su un nuovo tracciato dove, comunque, non può far altro che agire come sa fare, cioè in modo sequenziale e oggettivo. In un paesaggio dove tutti i suoi precedenti riferimenti vanno riconsiderati - avendo perso vecchie interpretazioni e, forse, priva di nuove - non riconosce e non è più riconosciuta a sua volta. L’ambiente è “oggettivamente” lo stesso ma “interiormente” diverso.

 

L’Equilibrio – Una persona aperta all’essere impersonale si trova a dover gestire in modo consapevole più mondi e a vivere la dicotomia di realtà ben distinte ma fuse tra loro, quella della personalità oggettiva e quella dell’esperienza soggettiva.

 

Alcuni vedono l’equilibrio come il raggiungimento di una quieta serenità, dove i piatti della bilancia si equiparano con soddisfazione di entrambi. L’equilibrio centrato nella quiete è un punto fermo e non dinamico, cioè uno stallo e non un procedere. Per chi intende avanzare sul percorso impersonale, questo elemento non si riscontra nelle definizioni consensuali di “giusto mezzo” tra due opposti, né sulla linea di (con)fusione tra due o più stati, e neppure nell’equa alternanza delle diverse manifestazioni. L’equilibrio di cui qui si tratta non coincide con l’idea di equilibrio che ha il mondo oggettivo, perchè:  il punto di partenza è indefinito, il punto di arrivo sconosciuto, la distanza tra loro uno spazio vuoto, e non c’è nulla e nessuno a cui far riferimento.

 

Si potrebbe quindi dire che l’equilibrio si riscopre nella percezione di sé, dove questa percezione contempla simultaneamente il mondo oggettivo con tutte le nostre relazioni ed il mondo soggettivo con tutti i nostri panorami e vuoti. Il mondo oggettivo non è solo il mondo “fuori” ma anche tutto quello di cui è costruita e che costruisce la nostra “personalità”, la maschera che l’essere impersonale indossa, lo scafandro che permette di esplorare i fondali marini, la tuta che permette di spostarsi nello spazio cosmico:  lo strumento che interfaccia il mondo materiale e le sue leggi. Limitare la consapevolezza alla personalità può precludere la percezione dell’essere impersonale che la ‘anima’, ma ampiarla a quest’ultimo non annulla la percezione di avere/essere anche una personalità oggettiva con tutte le sue dipendenze, piaceri e dispiaceri.

 

Per concludere, si potrebbe dire che una persona che vive il visibile e intravede l’invisibile cammina su un filo sospeso, come un equilibrista. Visto dall’esterno, si può ammirarne centratura, agilità, leggerezza e padronanza. Visto dall’interno, tutto questo è ottenuto vivendo in modo pienamente consapevole una lunga serie di singoli attimi, ciascuno colmo di tensione, instabilità, lentezza, coordinamento simultaneo di un’infinità di strutture interiori,  dove ogni passo poggia su una frazione di tempo che si dilata e di spazio che si riduce, ma pure con la consapevolezza di essere amorevolmente abbracciato dal vuoto e incoraggiato dal silenzio. Per chi guarda è uno spettacolo, ma è una vita intera per colui che  - per mantenere l’equilibrio ed arrivare - non vede la meta all’estremità del filo, non guarda dove posa il piede, ma tiene lo sguardo fisso davanti a sé, puntato su un invisibile focus nel vuoto.

 

[Home]