Il Mare il Paradiso Perduto degli Embrioni

di Fulvio Mocco

 

 

 

Secondo alcune teorie, lo sviluppo intrauterino dei mammiferi non sarebbe altro che la ripetizione della primordiale esistenza passata nel grembo dell’oceano. La nascita sarebbe una ricapitolazione individuale, della  grande  catastrofe collettiva che costrinse i nostri antenati ad abbandonare acque in via di prosciugamento  e  dunque  ad adattarsi alla terraferma, passando dalla respirazione branchiale a quella polmonare. Le fasi che l’embrione umano ricapitola, confermerebbero quest’ipotesi.

Il liquido amniotico, poi, rappresenta una sorta di oceano archetipico introiettato nel corpo materno. L’ambiente liquido o marino sarebbe quindi ancora e sempre quello in cui si sviluppa la vita umana. Poiché la luna influenza le acque attraverso la forza delle maree, questo può spiegare perché  il ciclo mestruale corrisponda a quello dei 28 giorni lunari.

 

Le specie anfibie che vivono sulla terraferma, rospi, salamandre, tornano in acqua soltanto nel periodo dell’accoppiamento; viceversa, le specie che dalla terra sono quasi regredite  al mare, ad esempio le foche e gli elefanti marini, nel periodo riproduttivo tornano alla terraferma, mostrando una nostalgia per un ambiente che avevano abbandonato.  Anche il coito, secondo certe teorie (Rank, Ferenczi) che avviene in ambiente liquido negli animali superiori, non sarebbe che un metaforico ritorno alla vita uterina di madre-oceano. 

 

Tutto ciò restando sul piano puramente biologico e fisico; sul piano metafisico, il ritorno non è in realtà che un tentativo  di ripristinare lo stato paradisiaco perduto  (il tuo volto originario prima della nascita, dice il buddhismo zen); stato in cui la coscienza ed il mondo, l’io e il non-io cessano di contrapporsi, così come nel coito fisico si affievolisce l’identità personale e la sensazione di essere due è ricondotta, confusamente, all’unità, ma questa  è solo  una parodia fisica  della vera  unione o identificazione col Principio.

Già  Platone nel Simposio  immaginò le Monadi. Sfere primordiali che furono divise in due per un loro peccato d’orgoglio, e così sarebbero nati i sessi, e con loro il desiderio di ritrovare la metà perduta, ricomponendo  la  Monade  originaria. Non è casuale la scelta platonica della sfera: c’era già stato il mito orfico dell’uovo cosmico.

Anche una cosmogonia pellerossa parla di una divinità che si sarebbe gonfiata come un uovo “per paura della solitudine”, spaccandosi poi in due metà uguali, che  si trasformarono in animali capaci di accoppiarsi fra loro. In altre civiltà, più orientali, si parla di un magico embrione d’oro, spesso sospeso all’albero di vita.

 

La bisessualità, fisica e psichica, è cosa dimostrata non solo dallo sviluppo del feto, ma ad esempio dagli atrofici capezzoli maschili. Aggiungiamo un dato che non sarà sfuggito a nessuno: anche il sonno, oltre al coito, si dimostra un’imitazione dello stato vegetativo intrauterino, infatti la posizione fetale è la preferita nei dormienti.

R. D. Laing, che ha  studiato il problema della vita fetale ed embriologica, sostiene fra l’altro che i serpenti che attorcigliano le immagini della Grande Madre, potrebbero essere, nei miti, non simboli fallici (da cui l’interpretazione di madre divoratrice o castrante dei psicoanalisti) ma solo intrauterini (placenta, cordone ombelicale).  Ciò darebbe una nuova impronta agli studi delle relazioni mitiche fra eroe (eroe-embrione….) e Dea, o fra figlio e madre-vergine (Adone, Tammuz, Horus, Ercole, Gesù, e così via).

 

Se Laing avesse un bagaglio più tradizionalista forse aggiungerebbe un’interpretazione più semplice del serpente in relazione con la madre. Già dalla Bibbia conosciamo l’inimicizia fra la donna e il rettile, una coppia complementare. Nello yoga tantrico l’energia serpentina o kundalini è di polarità femminile e si incarna miticamente nella mortifera Kalì, che ha comunque  relazioni  con divinità elleniche come Ecate, o l’egizia Sekhmet.

I serpenti intrecciati rappresentano nello yoga le Nadi attorno alla Sushumna, ovvero l’albero di vita, e l’immagine ritorna nel ben noto Caduceo ermetico.  Fondamentalmente, e grazie al cristianesimo, la Donna vestita di sole schiaccia la testa al serpente, nell’Apocalisse, ma forse avrebbe dovuto ascoltarne più  saggiamente la voce, in quanto esso rappresenta la forza tellurica per eccellenza, la forza della donna stessa.

 

La tendenza psichica alla regressione, ad uno stato anteriore, non deve comunque essere considerato sempre negativo.  L’esoterista convinto che sia esistita un’Età dell’Oro perduta e da ripristinare vedrà il passato diversamente. Molti sostengono però che vedere tutto il bene nel passato sia solo una fuga dal presente, e se il paradiso perduto fosse realmente nel passato, avrebbero ragione, tuttavia l’Eden non è nel passato o nel futuro, è fuori dal tempo, come ogni mito, che accade ora e sempre, quindi non é perduto né da ritrovare.

Il detto evangelico “se non diventerete come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt, XVIII, 3), e poi il detto apocrifo “Questi piccoli lattanti somigliano a coloro che entrano nel regno” (Vangelo Di Tommaso, log. 22) indicano la necessità di una regressione, un rientrare nelle viscere della terra, negli Inferi, cioè nell’interiorità, ma in modo cosciente.

A differenza dell’embrione, infatti, che è un tutt’uno col suo mondo uterino vegetativo, l’iniziato  scende agli Inferi o rientra  nella matrice uterina o prima  materia  con la propria consapevolezza e disciplina, riemergendo da esso come nato a nuova vita. Chi fallisce  diventa preda  delle proprie immagini interiori, un evento illustrato dal mito di Atteone che fu sbranato dai suoi cinquanta cani per aver visto la dea Diana nella sua terribile nudità.

 

C’è ancora un punto da chiarire.  Secondo la Tradizione Esoterica il più non può procedere dal meno, non esiste quindi evoluzione  ma al massimo una involuzione  rispetto al Principio e all’Uomo Universale  o Anthropos, ancora un tutt’uno con esso.  In altre parole: la ricapitolazione embrionale di stati inferiori mostra non un processo darwiniano dall’animale  all’uomo, ma gli “stati inferi” presenti in esso, nella sua Ombra.

 

Tornando al mare, esso è uno scenario consueto delle odissee iniziatiche e dei viaggi immaginali, in quanto riflesso delle acque superiori: il Gange o il Nilo celeste, l’Eridano o la Via Lattea.

Le acque inferiori sono anche le maree tumultuose delle passioni e delle forme illusorie e contingenti; l’iniziato dovrebbe appunto saper “camminare sulle acque”.  La piatta superficie acquea diventa allora lo schermo ideale su cui proiettare la nostra eterna ricerca.

 

In fondo il mare è una madre sia tenera che omicida. Ci illude con la sua calma e intanto cova tempeste; conserva  la ricchezza da cui è sbocciata la vita e invia l’eterno richiamo a cui il marinaio deluso della terra non sa resistere, come la gente che torna ritualmente ad ogni estate a quella zona crepuscolare e quasi uterina che è la spiaggia...

 

   


 


Articolo pubblicato nella rivista LexAurea42, si prega di contattare la redazione per ogni utilizzo.

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