La Voce Della Notte, La Voce Della Luce: Le Istruzioni Per La Pratica

 

Sri Aurobindo, Savitri 7/6, 532 Traduzione di Carlo Chiopris Centro Studi Savitri - Settembre 2004  www.savitra.it

 

Savitri come poema può essere considerata uno sguardo sui molti aspetti dell’intera esperienza umana dal punto di vista di una coscienza che è il risultato della pratica dello yoga. Lo yoga è in questo senso più la premessa di tutto il poema, che il suo argomento e oggetto. Savitri non è il poema dello yoga perché parla specificamente dello yoga, almeno nel modo in cui ce lo potremmo ingenuamente attendere, ma perché presenta tutta la vita alla luce dello yoga. Ne presenta i mondi, i momenti, le situazioni, non una particolare tecnica, che sarebbe meno interessante e non avrebbe un valore letterario e di vissuto.

Esistono però parti del poema dove l’aspetto dello yoga in senso più stretto e più tecnico diventa rilevante. Queste parti sono di grandissimo interesse per l’insieme di indicazioni che danno alla pratica dello yoga, della concentrazione e della meditazione. Sono per certi aspetti la controparte delle “Lettere sullo Yoga” o della “Sintesi dello Yoga”, ma essendo in bellissimi versi, ricchi di immagini e di suggestioni sonore, risultano particolarmente efficaci e toccanti, capaci di avvicinare ad esperienze non facilmente accessibili e a sviluppare un gusto per la concentrazione e il silenzio. Alcuni passaggi, per il fatto di essere in versi, sono facili da ricordare e possono diventare un patrimonio per la pratica, riemergendo dalla memoria al momento opportuno, o nell’essere usati per ricordare o evocare un particolare stato o mondo. Sono inoltre carichi di un significato mantrico.

La parte di Savitri dedicata esplicitamente allo yoga è il settimo dei dodici libri, il “Libro dello Yoga”, situato assieme al precedente “Libro del Fato” in posizione centrale, come ad esserne il cuore. In questo libro la protagonista, preparandosi per il giorno della morte dello sposo Satyavan e al confronto con Yama dio della Morte, effettua un percorso di pratica che la porta dalla consapevolezza della sofferenza della condizione umana, alla scoperta delle regioni interiori, all’identificazione con l’anima, a una realizzazione di superamento dell’io individuale che dopo una temporanea permanenza in un Nirvana negativo la porterà ad un sé cosmico.

In questa pratica, Savitri è a volte aiutata, a volte ostacolata, da figure e da voci che le si presentano. In particolare, una voce dall’alto le si presenta all’inizio per incitarla a uscire dallo stato di prostrazione in cui si trova, a cui prima risponde la voce della personalità esteriore di Savitri, poi la voce della personalità profonda, l’anima. Più avanti, dopo che Savitri ha realizzato l’identità con l’anima, in un momento sereno e lieto, una “voce della Notte” le verrà incontro per dichiarare (in versi peraltro bellissimi e con argomentazioni serrate) vana questa sua realizzazione, lasciandone così devastato il mondo interiore. A seguito di questa voce, e da questa in un certo senso provocata, un’altra voce, una voce questa volta di luce, risponderà. 

Quest’ultima voce è di straordinario interesse per molti motivi. Da un lato dà a Savitri precise e dettagliate istruzioni sulla pratica da seguire; è forse il punto del poema in cui è meglio esposta e condensata la visione di Sri Aurobindo sulla pratica di meditazione. Dall’altro, questa seconda voce non nega quanto detto dalla voce precedente, ma invita Savitri ad attraversarlo e andare oltre: è un errore considerare un completo annientamento quello che è solo la fine dell’io, oltre questo esistono la dimensione cosmica e trascendente. Questo continuo attraversare e andare oltre è una delle caratteristiche del poema, oltre che dello yoga e delle vite di Sri Aurobindo e Mère.

Oltre ad essere una descrizione di una pratica fondamentale dello yoga, quella della disidentificazione dai movimenti della coscienza e della separazione del purusha da prakriti, questo passaggio è fondamentale nell’esporre la dualità esistente tra le dimensioni del personale e dell’impersonale, le differenze sfumate tra io, non-io, anima e sé. Queste differenze non sono rese in termini concettuali o filosofici, ma sono presentate come vissuti, e quindi come sensazioni, modalità di visione, sentimento, mondo. Per questo motivo risultano intense e profondamente toccanti.

Se nel “Libro del Viaggiatore dei Mondi” Aswapati percorre la dimensione evolutiva che dalla materia porta allo spirito, nel “Libro dello Yoga” Savitri percorre la dimensione che porta dall’io individuato nella sua condizione di sofferenza, al sé individuale, poi cosmico, poi trascendente; una dimensione che è ortogonale a quella materia-spirito come l’altezza, per fare un esempio geometrico, lo è al piano. Se quella di Aswapati può sembrare una sadhana per pochi, il percorso di un praticante eccezionale che poco può avere a che fare con la nostra condizione di esseri ordinari, la sadhana di Savitri sembra più accessibile, più prossima a quello che siamo proprio perché il suo punto di partenza è l’esperienza dell’amore e della sofferenza e impermanenza della vita umana.

E’ opinione di chi scrive che il “Libro dello Yoga” non sia la descrizione di una pratica riservata ad essere eccezionali e ad Avatar come è Savitri, ma il documento che Sri Aurobindo ha lasciato per indicare qualcosa che tutti i praticanti possono o devono fare.

 

Once as she sat in deep felicitous muse,

Still quivering from her lover's strong embrace,

 And made her joy a bridge twixt earth and heaven,

An abyss yawned suddenly beneath her heart.

A vast and nameless fear dragged at her nerves

As drags a wild beast its half-slaughtered prey;

 It seemed to have no den from which it sprang:

It was not hers, but hid its unseen cause.

Then rushing came its vast and fearful Fount.

A formless Dread with shapeless endless wings

 Filling the universe with its dangerous breath,

A denser darkness than the Night could bear,

Enveloped the heavens and possessed the earth.

A rolling surge of silent death, it came

Curving round the far edge of the quaking globe;

Effacing heaven with its enormous stride

It willed to expunge the choked and anguished air

And end the fable of the joy of life.

It seemed her very being to forbid,

Abolishing all by which her nature lived,

And laboured to blot out her body and soul,

 A clutch of some half-seen Invisible,

An ocean of terror and of sovereign might,

A person and a black infinity.

It seemed to cry to her without thought or word

The message of its dark eternity

And the awful meaning of its silences:

Out of some sullen monstrous vast arisen,

Out of an abysmal deep of grief and fear

Imagined by some blind regardless self,

A consciousness of being without its joy,

Empty of thought, incapable of bliss,

That felt life blank and nowhere found a soul,

A voice to the dumb anguish of the heart

Conveyed a stark sense of unspoken words;

In her own depths she heard the unuttered thought

That made unreal the world and all life meant.

“Who art thou who claimst thy crown of separate birth,

 

Una volta, mentre sedeva in assorbimento lieto e profondo,

fremente ancora per l’intenso abbraccio del suo amante,

e faceva della sua gioia un ponte tra la terra ed il cielo,

 sotto il cuore improvviso si spalancò un abisso.

 Una paura vasta e senza nome trascinava i suoi nervi

come una belva trascina la preda per metà dilaniata;

sembrava non avesse alcuna tana dalla quale balzare:

non era a lei che apparteneva, ma nascondeva la sua causa invisibile.

Quindi venne, avventandosi, la sua Fonte terrificante e enorme.

Un informe Terrore dalle ali prive di forma e fine,

che con il suo respiro insidioso occupava l’intero universo,

 una tenebra densa più di quanto la notte possa reggere

 avvolse i cieli e fece sua la terra.

Ondata vorticante di morte silenziosa, se ne venne

curvando intorno al limite estremo del globo scosso;

il cielo cancellando con il suo passo enorme,

voleva annientare l’aria stessa, soffocata e angusta,

porre fine alla favola della gioia di vivere.

Sembrava le vietasse la sua stessa esistenza,

abolendo ogni cosa grazie a cui la sua natura viveva,

operava per cancellarne il corpo e l’anima,

stretta di un Invisibile solamente intravisto,

oceano di terrore e potere sovrano,

una persona e un infinito nero.

Sembrava le gridasse, senza usare pensiero né parola,

il messaggio della sua eternità oscura

ed il senso terribile dei suoi silenzi:

sorto da qualche tetra, mostruosa vastità,

da una qualche profondità abissale di paura e dolore

figurata da un sé incurante e cieco,

una coscienza d’essere, priva di quella gioia,

sterile di pensiero ed incapace di beatitudine,

che sentiva la vita come vuota e non trovava in alcun luogo un’anima,

una voce alla muta angoscia del suo cuore

comunicò un significato nudo di parole taciute;

Savitri udì nel suo stesso profondo il pensiero inespresso

che rendeva irreale il mondo e tutto quello che la vita significa.

“Chi sei tu che reclami la corona di una nascita a parte

 

 

The illusion of thy soul's reality

And personal godhead on an ignorant globe

In the animal body of imperfect man?

Hope not to be happy in a world of pain

And dream not, listening to the unspoken

Word And dazzled by the inexpressible Ray,

Transcending the mute Superconscient's realm,

To give a body to the Unknowable,

Or for a sanction to thy heart's delight

To burden with bliss the silent still Supreme

Profaning its bare and formless sanctity,

Or call into thy chamber the Divine

And sit with God tasting a human joy.

I have created all, all I devour;

I am Death and the dark terrible Mother of life,

I am Kali black and naked in the world,

I am Maya and the universe is my cheat.

I lay waste human happiness with my breath

And slay the will to live, the joy to be

That all may pass back into nothingness

And only abide the eternal and absolute.

For only the blank Eternal can be true.

All else is shadow and flash in Mind's bright glass,

Mind, hollow mirror in which Ignorance sees

A splendid figure of its own false self

And dreams it sees a glorious solid world.

O soul, inventor of man's thoughts and hopes,

Thyself the invention of the moments' stream,

Illusion's centre or subtle apex point,

At last know thyself, from vain existence cease.

” A shadow of the negating Absolute,

The intolerant Darkness travelled surging past

And ebbed in her the formidable Voice.

It left behind her inner world laid waste:

A barren silence weighed upon her heart,

Her kingdom of delight was there no more;

 

 

l’illusione della realtà dell’anima,

di una divinità individuale su una terra ignorante

nel corpo di animale di un uomo imperfetto?

Non sperare di essere felice in un mondo di pena

non sognare nemmeno, dando ascolto al Verbo inespresso

abbagliata dal Raggio inesprimibile,

nel trascendere il reame della muta Sovracoscienza,

di dare un corpo all’Inconoscibile,

oppure, per sanzione al diletto del tuo cuore,

di imporre il peso della beatitudine al Supremo silenzioso ed immobile, profanandone la santità nuda, priva di ogni forma,

o invocare il Divino nella tua stanza,

e sedere con Dio assaporando una gioia umana.

Tutto ho creato, tutto io divoro;

sono la Morte e sono l’oscura e terribile Madre della vita,

sono Kali, nera e nuda nel mondo,

sono Maya e l’universo é il mio inganno.

Col mio soffio anniento la felicità umana

ed uccido la volontà di vivere e la gioia di esistere

così che tutto ritorni nel nulla

e che solo dimori l’eterno e l’assoluto.

Perché è solo un Eterno vuoto che può essere vero.

Tutto il resto non é che abbaglio e ombra nello specchio brillante della Mente,

la Mente, specchio vacuo dentro il quale l’Ignoranza contempla

un’ immagine splendida del proprio falso sé,

e sogna di vedere un mondo vero e bello.

Anima, che inventi le speranze e i pensieri dell’uomo,

invenzione tu stessa del flusso degli attimi,

centro dell’illusione o vertice sottile,

riconosci alla fine te stessa, e ritirati dalla esistenza vana”.

Ombra dell’Assoluto negativo,

l’intollerante Oscurità la superò, un’ondata,

ed in lei rifluì la Voce formidabile.

Lasciava devastato il suo mondo interiore:

sul cuore le pesava un silenzio desolato,

il suo regno di gioia non esisteva più;

 

 

Only her soul remained, its emptied stage,

Awaiting the unknown eternal Will.

 

rimaneva soltanto la sua anima, la sua scena svuotata,

che attendeva l’ignota, eterna Volontà.

 

Una volta, mentre sedeva in assorbimento lieto e profondo,

fremente ancora per l’intenso abbraccio del suo amante,

e faceva della sua gioia un ponte tra la terra ed il cielo,

sotto il cuore improvviso si spalancò un abisso.

 

Il momento in cui accade questa esperienza è uno dei pochi lieti di Savitri. Ha appena realizzato la propria anima, si sente sicura del futuro di Satyavan, vive una felice e ordinaria in compagnia del marito. Questo stato cambia all’improvviso, con una variazione repentina come spessissimo accade nel poema. L’abisso le si spalanca sotto il cuore, non sotto la mente, a indicare che quello dell’impermanenza e dell’illusorietà di ogni ottenimento umano è un sentimento e una sensazione, non una concezione. E’ qualcosa di fisico.

 

Una paura vasta e senza nome trascinava i suoi nervi

come una belva trascina la preda per metà dilaniata;

sembrava non avesse alcuna tana dalla quale balzare:

non era a lei che apparteneva, ma nascondeva la sua causa invisibile.

 

L’immagine dell’animale catturato e trascinato via è molto forte, ma c’è anche l’indicazione è che questo sentimento non origina da noi, è esterno. Lo consideriamo naturale e nostro perché non ne vediamo l’origine.

 

Quindi venne, avventandosi, la sua Fonte terrificante e enorme.

Un informe Terrore dalle ali prive di forma e fine,

che con il suo respiro insidioso occupava l’intero universo,

una tenebra densa più di quanto la notte possa reggere

avvolse i cieli e fece sua la terra.

 

Dopo la paura, il Terrore, con una presenza quasi personale ma questa volta enorme, tanto da avvolgere l’intero universo, colmarlo e possederlo. E’ probabilmente una prima apparizione del dio della Morte Yama, con cui Savitri si troverà poi a combattere lungamente nei libri successivi, e da cui udrà argomentazioni simili.

 

Ondata vorticante di morte silenziosa, se ne venne

curvando intorno al limite estremo del globo scosso;

il cielo cancellando con il suo passo enorme,

voleva annientare l’aria stessa, soffocata e angusta,

porre fine alla favola della gioia di vivere.

 

E’ interessante che quella della gioia di vivere sia considerata una favola, una fola: è il segno di un nichilismo radicale, di un disincanto che porta alla rinuncia dell’esistenza. E’ anche significativo che questa sensazione sia caratterizzata da sensazioni fisiche, in questo caso dal soffocamento. L’immagine dell’irrompere di questa sensazione è paragonata ad un maremoto, che scuote la terra e produce un’ondata devastatrice, tanto alta da coprire il cielo alla vista di chi la veda arrivare, e al cui rifluire, come dirà più avanti, il mondo risulterà devastato.

 

Sembrava le vietasse la sua stessa esistenza,

abolendo ogni cosa grazie a cui la sua natura viveva,

operava per cancellarne il corpo e l’anima,

stretta di un Invisibile solamente intravisto,

oceano di terrore e potere sovrano,

una persona e un infinito nero.

 

Un altro aspetto dell’essere abissale di questa esperienza è che non solo attacca direttamente l’esistenza, ma attacca anche tutto quello su cui questa poggia, ne intacca i presupposti. E’ qualcosa che è comunque inafferrabile, personale e impersonale al tempo stesso.

 

Sembrava le gridasse, senza usare pensiero né parola,

 il messaggio della sua eternità oscura

ed il senso terribile dei suoi silenzi:

 

Qui si assiste ad un rovesciamento di termini che nello yoga sono normalmente positivi: il silenzio diventa terribile, l’eternità oscura, l’assenza di parole una forma di comunicazione più atroce.

 

sorto da qualche tetra, mostruosa vastità,

da una qualche profondità abissale di paura e dolore

figurata da un sé incurante e cieco,

una coscienza d’essere, priva di quella gioia,

 

 

Anche qui un rovesciamento: la vastità invece di essere ampia e lieta è tetra, il sé invece di essere testimone e veggente è cieco. E’ un Sat Chit Ananda (essere, coscienza, beatitudine) al negativo: esiste una coscienza dell’essere, ma non della gioia che ne segue, l’esistenza è quindi solo dolore e come tale da abolire. Tutto questo non va inteso come visione concettuale o filosofica, è la percezione diretta e vissuta che si può avere dell’esistenza in particolare passaggi dello yoga, qualcosa che il praticante si può trovare a sperimentare.

 

sterile di pensiero ed incapace di beatitudine, 

che sentiva la vita come vuota e non trovava in alcun luogo un’anima,

una voce alla muta angoscia del suo cuore

comunicò un significato nudo di parole taciute;

Savitri udì nel suo stesso profondo il pensiero inespresso

che rendeva irreale il mondo e tutto quello che la vita significa.

 

La presenza di un senso, e di una realtà, sembra essere il prodotto della presenza dell’anima, che qui è appunto assente. Anche alla fine del canto 2/13 (Libro del Viaggiatore dei Mondi, Nel Sé della Mente) Aswapati incontra il sé della mente e il relativo nirvana che gli mostra l’esistenza come una prigione dalla quale l’unica cosa sensata da fare è evadere. E’ più il Nirvana di Shankaracharya che quello di un Buddha che per pragmatismo spirituale rifiuti di definire il Nirvana in termini metafisici. Da quell’esperienza di assenza di senso e realtà Aswapati emerge quando si avvicina finalmente all’Anima del Mondo, che comunica un senso ritrovato, un ritorno a casa.

 

“Chi sei tu che reclami la corona di una nascita a parte,

l’illusione della realtà dell’anima,

di una divinità individuale su una terra ignorante

nel corpo di animale di un uomo imperfetto?

 

Nella visione proposta dalla voce, nulla può esistere separatamente o essere dotato di una vera individualità. Pensare in questo modo è una pretesa arrogante, quella che normalmente viene fatta dall’ego che si considera erroneamente eterno, indipendente e immutabile. La fallacia consiste però nell’assimilare l’anima o il sé all’io.

 

Non sperare di essere felice in un mondo di pena

non sognare nemmemo, dando ascolto al Verbo inespresso

abbagliata dal Raggio inesprimibile,

nel trascendere il reame della muta Sovracoscienza,

di dare un corpo all’Inconoscibile,

oppure, per sanzione al diletto del tuo cuore,

di imporre il peso della beatitudine al Supremo silenzioso ed immobile, profanandone la santità nuda, priva di ogni forma,

o invocare il Divino nella tua stanza,

e sedere con Dio assaporando una gioia umana.

 

Quali che siano le esperienze fatte, le gioie provate per la pratica dello yoga, tutte queste sono impermanenti, e la realtà ultima è diversa. E’ al di là di corpo, conoscenza, forma, anche della gioia. E’ una realtà di vuoto e nudità, di silenzio e immobilità statica, qualcosa che non ha a che fare con la dimensione umana. E’, in questo senso, disumana. Di fronte a questo l’uomo può solo annientarsi.

 

Tutto ho creato, tutto io divoro;

sono la Morte e sono l’oscura e terribile Madre della vita,

sono Kali, nera e nuda nel mondo,

sono Maya e l’universo é il mio inganno.

 

L’ennesimo rovesciamento: Kali non è in realtà solo nera e terribile, è anche benefica e salvifica; Maya non è solo inganno, ma anche creazione. D’altra parte non sarebbe corretto dire che non ci siano i lati di distruzione di Kali e Maya.

 

Col mio soffio anniento la felicità umana

ed uccido la volontà di vivere e la gioia di esistere

così che tutto ritorni nel nulla

e che solo dimori l’eterno e l’assoluto.

Perché è solo un Eterno vuoto che può essere vero.

 

In questa visione la gioia di vivere è un’altra illusione, da estirpare per contemplare la verità nuda che solo il nulla è vero ed eterno. Non è solo illusione, è anche profanazione, in genere la profanazione compiuta dall’ego. Ma la fallacia di questa argomentazione è di mostrare che esiste solo l’ego, ed assimilare a questo anche il sé individuale e il sé cosmico.

 

Tutto il resto non é che abbaglio e ombra nello specchio brillante della Mente,

la Mente, specchio vacuo dentro il quale l’Ignoranza contempla

un’ immagine splendida del proprio falso sé,

e sogna di vedere un mondo vero e bello.

 

Anche se pronunciate con un intento perverso, queste parole non sono strettamente false. Sono anche bellissime, e descrivono un’esperienza che accade nella meditazione, quando la mente diventa veramente uno specchio vuoto (e per questo meraviglioso) del mondo e l’io (piuttosto del sé) si rivela solo un’illusione ottica, un inganno prospettico, un miraggio. E’ interessante che in inglese il mondo sia “glorious solid”, perché più avanti nella pratica di Savitri la solidità del mondo sarà smascherata, e questo si rivelerà solido solo per effetto dello sguardo visionario che lo contempla tra un battito e l’altro delle ciglia.

 

Anima, che inventi le speranze e i pensieri dell’uomo,

invenzione tu stessa del flusso degli attimi,

centro dell’illusione o vertice sottile,

riconosci alla fine te stessa, e ritirati dalla esistenza vana”.

 

L’anima che inventa le speranze, è a sua volta invenzione del flusso ininterrotto degli eventi sulla coscienza. Perché il punto di osservazione è uno, sembra esistere un centro stabile, ma non è così. La vera conoscenza, per questa voce, è riconoscere l’illusorietà della propria esistenza, riconoscerla vane e quindi ritirarsene.

 

Ombra dell’Assoluto negativo,

l’intollerante Oscurità la superò, un’ondata,

ed in lei rifluì la Voce formidabile.

Lasciava devastato il suo mondo interiore:

sul cuore le pesava un silenzio desolato,

il suo regno di gioia non esisteva più;

rimaneva soltanto la sua anima, la sua scena svuotata,

che attendeva l’ignota, eterna Volontà.

 

Questa voce è l’ombra di un assoluto, da qui il suo grande potere, ma di un assoluto che nega. Molto intensa e molto fisica l’idea della voce che rifluisce da Savitri, lasciando dietro un paesaggio devastato, come dopo un’inondazione. Altra immagine appena accennata è quella della scena vuota, di un palcoscenico liberato dopo lo spettacolo, ennesima variante di una metafora dell’esistenza come rappresentazione e teatro che ricorre spessissimo nel testo. Ancora una variante cupa del silenzio, che però lascia spazio ad un movimento di surrender e accettazione, quella dell’anima che attende le parole di una volontà che risulta ignota. Nei versi precedenti Savitri ha ascoltato una “Voce della Notte” dichiarare vana, un atto di inutile superbia, qualunque sua speranza o realizzazione spirituale. Questa voce l’ha invasa come un’ondata che invada le terre prossime al mare e le lasci devastate.

In risposta a questa voce, e in risposta anche alla nuda attesa dell’anima di Savitri di sapere quale sia la volontà da seguire, ecco giungere la “Voce della Luce”, che dirà a Savitri come procedere nello yoga, col superamento del pensiero e col non considerare l’impermanenza e la fine dell’io in termini negativi, ma solo come un passaggio verso il sé cosmico (l’identificazione all’intero universo) e trascendente.

 

 

Then from the heights a greater Voice came down,

The Word that touches the heart and finds the soul,

The voice of Light after the voice of Night:

The cry of the Abyss drew Heaven's reply,

A might of storm chased by the might of the Sun.

“O soul, bare not thy kingdom to the foe;

Consent to hide thy royalty of bliss

Lest Time and Fate find out its avenues

And beat with thunderous knock upon thy gates.

Hide whilst thou canst thy treasure of separate self

Behind the luminous rampart of thy depths

Till of a vaster empire it grows part.

But not for self alone the Self is won:

Content abide not with one conquered realm;

Adventure all to make the whole world thine,

To break into greater kingdoms turn thy force.

Fear not to be nothing that thou mayst be all;

Assent to the emptiness of the Supreme

That all in thee may reach its absolute.

Accept to be small and human on the earth,

Interrupting thy new-born divinity,

That man may find his utter self in God.

If for thy own sake only thou hast come,

An immortal spirit into the mortal's world,

To found thy luminous kingdom in God's dark,

In the Inconscient's realm one shining star,

One door in the Ignorance opened upon light,

Why hadst thou any need to come at all?

Thou hast come down into a struggling world

To aid a blind and suffering mortal race,

To open to Light the eyes that could not see,

To bring down bliss into the heart of grief,

To make thy life a bridge twixt earth and heaven;

If thou wouldst save the toiling universe

 

 

Poi dalle altezze scese una Voce più grande,

la Parola che tocca il cuore e sa trovare l’anima,

dopo la voce della Notte venne la voce della Luce:

il grido dell’Abisso aveva attratto la risposta del Cielo,

la potenza del Sole mise in fuga quella della tempesta.

“Anima, non svelare il tuo regno al nemico;

consenti di celare la tua regalità di beatitudine,

così che non ne trovino la strada il Tempo e il Fato

e vengano a bussare alla tua porta con un colpo tonante.

Nascondi finché puoi il tesoro di un sé separato

dietro i baluardi luminosi del tue profondo

fino a che questo non divenga parte di un impero più vasto.

Ma non per sé soltanto si ottiene il Sé:

non rimanere paga della conquista di un regno solo;

osa tutto se vuoi che il mondo intero possa essere tuo,

dirigi la tua forza per irrompere in domini più grandi.

Non avere timore di essere nulla per poter essere tutto;

acconsenti al vuoto del Supremo

così che tutto in te possa raggiungere il suo assoluto.

Accetta d’essere piccola e umana sulla terra,

sospendendo la tua divinità appena nata,

così che l’uomo in Dio possa trovare il proprio pieno sé.

Se tu fossi venuta per te stessa soltanto:

spirito immortale nel mondo dei mortali,

per trovare il tuo regno luminoso nella notte di Dio

sola stella splendente nel dominio dell’incosciente,

unica porta aperta sulla luce nell’Ignoranza,

quale bisogno avresti mai davvero avuto di venire?

Tu sei discesa in un mondo di lotta

per portare il tuo aiuto a una razza mortale cieca e sofferente,

per aprire alla luce occhi che non potevanoo vedere,

per portare la gioia nel cuore del dolore,

per fare della tua esistenza un ponte tra la terra ed il cielo;

se davvero desideri salvare l’universo in affanno

 

 

The vast universal suffering feel as thine:

Thou must bear the sorrow that thou claimst to heal;

The day-bringer must walk in darkest night.

He who would save the world must share its pain.

If he knows not grief, how shall he find grief's cure?

If far he walks above mortality's head,

How shall the mortal reach that too high path?

If one of theirs they see scale heaven's peaks,

Men then can hope to learn that titan climb.

God must be born on earth and be as man

That man being human may grow even as God.

He who would save the world must be one with the world,

All suffering things contain in his heart's space

And bear the grief and joy of all that lives.

His soul must be wider than the universe

And feel eternity as its very stuff,

Rejecting the moment's personality

Know itself older than the birth of Time,

Creation an incident in its consciousness,

Arcturus and Belphegor grains of fire

Circling in a corner of its boundless self,

The world's destruction a small transient storm

In the calm infinity it has become.

If thou wouldst a little loosen the vast chain,

Draw back from the world that the Idea has made,

Thy mind's selection from the Infinite,

Thy senses' gloss on the Infinitesimal's dance,

Then shalt thou know how the great bondage came.

Banish all thought from thee and be God's void.

Then shalt thou uncover the Unknowable

And the Superconscient conscious grow on thy tops;

Infinity's vision through thy gaze shall pierce;

Thou shalt look into the eyes of the Unknown,

Find the hid Truth in things seen null and false,

Behind things known discover Mystery's rear.

Thou shalt be one with God's bare reality

 

percepisci, come se fosse tua, la vasta sofferenza universale:

tu dovrai sopportare il dolore che pretendi curare;

chi porta il giorno deve camminare nella notte più oscura.

Chi vuole salvare il mondo ne deve condividere la pena.

Senza la conoscenza del dolore come potrebbe trovarne la cura?

Camminasse al di sopra del livello più alto della mortalità,

come raggiungerebbero i mortali quel sentiero troppo alto?

Vedessero scalare uno dei loro le sommità del cielo,

gli uomini potrebbero sperare d’imparare quell’ascesa titanica.

E’ sulla terra che Dio deve nascere, essere come l’uomo,

così che, essendo umano, l’uomo possa raggiungere Dio.

Chi vuole salvare il mondo, con il mondo deve essere uno,

contenere ogni cosa sofferente nello spazio del cuore

e portare il dolore e la gioia di tutto ciò che vive.

La sua anima dev’essere più vasta dell’universo

e sentire, come propria sostanza, la stessa eternità,

respingendo la personalità dell’attimo

conoscere sé stessa più antica della nascita del Tempo,

la creazione come un’episodio nella propria coscienza,

Arturo e Belfagor come grani di fuoco

orbitanti in un angolo del sé illimitato,

la distruzione del mondo soltanto una piccola passeggera tempesta

nell’infinità calma che è diventata.

Se tu vuoi allentare, anche di poco, la catena immensa,

recedi dal mondo che l’idea ha costruito,

la selezione che la tua mente effettua dall’Infinito,

la glossa dei tuoi sensi sulla danza dell’Infinitesimo,

allora tu saprai come é venuta la grande schiavitù.

Bandisci da te ogni pensiero e sii il vuoto di Dio.

Allora svelerai l’Inconoscibile,

ed il Sovracosciente diventerà cosciente sulle tue sommità;

dal tuo sguardo penetrerà le cose la visione dell’Infinito;

tu guarderai negli occhi dell’Ignoto,

troverai la Verità nascosta in cose viste come errate e false,

dietro le cose note scoprirai il lato nascosto del Mistero.

Tu sarai una cosa sola con la realtà nuda di Dio

 

And the miraculous world he has become

And the diviner miracle still to be

 When Nature who is now unconscious God

Translucent grows to the Eternal's light,

Her seeing his sight, her walk his steps of power

And life is filled with a spiritual joy

And Matter is the Spirit's willing bride.

Consent to be nothing and none, dissolve

Time's work, Cast off thy mind, step back from form and name.

Annul thyself that only God may be.

” Thus spoke the mighty and uplifting Voice,

And Savitri heard; she bowed her head and mused

Plunging her deep regard into herself

In her soul's privacy in the silent Night.

Aloof and standing back detached and calm,

A witness of the drama of herself,

A student of her own interior scene,

She watched the passion and the toil of life

And heard in the crowded thoroughfares of mind

The unceasing tread and passage of her thoughts.

All she allowed to rise that chose to stir;

Calling, compelling nought, forbidding nought,

She left all to the process formed in Time

And the free initiative of Nature's will.

Thus following the complex human play

She heard the prompter's voice behind the scenes,

Perceived the original libretto's set

And the organ theme of the composer Force.

All she beheld that surges from man's depths,

The animal instincts prowling mid life's trees,

The impulses that whisper to the heart

 And passion's thunder-chase sweeping the nerves;

She saw the Powers that stare from the Abyss

And the wordless Light that liberates the soul.

 But most her gaze pursued the birth of thought.

 

 

e il mondo di miracolo che é divenuto

e il miracolo ancora più divino che ancora deve essere

quando la natura, che adesso é Dio, ma inconsapevole,

diverrà trasparente alla luce dell’Eterno,

la sua vista sarà la visione di lui, il suo cammino i suoi passi di forza,

la vita ricolmata di gioia spirituale

e la Materia sposa consenziente dello Spirito.

Consenti di essere nulla e nessuno, dissolvi l’operare del Tempo,

ripudia la tua mente, ritirati dalla forma e dal nome.

Annullati, ché sia soltanto Dio.

" Cosi parlò la Voce, grande ed elevata,

e Savitri ascoltò; chinò il capo in contemplazione

in sé affondando lo sguardo profondo,

nella notte silenziosa, nella intimità dell’anima.

Appartata, ritraendosi nella calma e il distacco,

testimone del dramma di sé stessa,

studiosa della propria scena interiore,

osservò le passioni e il travaglio della vita,

e udì nelle affollate vie principali della propria mente

l’andatura e il passaggio incessanti dei suoi pensieri.

Consentiva di emergere a ogni cosa che scegliesse di muoversi,

senza chiamare né forzare nulla, senza nulla reprimere,

lasciava tutto al processo formatosi nel Tempo

e all’iniziativa indipendente dell’arbitrio della natura.

Nel seguire così la complicata commedia umana,

udì, dietro le scene, la voce del suggeritore,

riconobbe la trama originale

ed il tema di organo del Potere compositore.

Contemplò ogni cosa che sorgesse dalle profondità umane,

gli istinti d’animale a caccia tra gli alberi della vita,

gli impulsi che sussurrano al cuore,

e l’irrompere nei nervi del vortice delle passioni;

vide i Poteri che dall’abisso scrutano,

vide la Luce priva di parola che dà libertà all’anima.

Ma più di ogni altra cosa, del pensiero il suo sguardo inseguiva la nascita. 

Poi dalle altezze scese una Voce più grande,

la Parola che tocca il cuore e sa trovare l’anima,

dopo la voce della Notte venne la voce della Luce:

il grido dell’Abisso aveva attratto la risposta del Cielo,

la potenza del Sole mise in fuga quella della tempesta.

 

In risposta alla voce della Notte, forse anche attratta dall’accettazione dell’anima, si presenta una voce della Luce, simile al sole dopo la tempesta. Sarà interessante osservare che questa voce non si prova a negare quanto detto dalla voce precedente, non fa affermazioni consolanti o rassicuranti che distolgano Savitri dall’immersione nell’impersonale. Le dice invece di procedere e di guardare davvero, prima di un giudizio di verità o valore.

 

“Anima, non svelare il tuo regno al nemico;

consenti di celare la tua regalità di beatitudine,

così che non ne trovino la strada il Tempo e il Fato

e vengano a bussare alla tua porta con un colpo tonante.

Nascondi finché puoi il tesoro di un sé separato

dietro i baluardi luminosi del tue profondo

fino a che questo non divenga parte di un impero più vasto.

 

Non è chiaro quanto queste parole siano rivolte a Savitri come Avatar o al praticante comune. Sono probabilmente possibili entrambe le letture. Per Savitri come Avatar, si tratta di non rivelare chi è davvero. Per il praticante si tratta di non esporre troppo presto, con troppa sicumera, la propria realizzazione dell’anima per attrarre l’agire avverso di tempo e fato.

 

Ma non per sé soltanto si ottiene il Sé:

non rimanere paga della conquista di un regno solo;

osa tutto se vuoi che il mondo intero possa essere tuo,

dirigi la tua forza per irrompere in domini più grandi.

 

Anche qui una lettura duplice. Per Savitri si tratta di conquistare tutto il mondo per poi salvarlo. Per il praticante si tratta di non rimanere contento di quanto ottenuto. Fondamentale l’osservazione che il Sé (con la maiuscola) non si conquista per sé (con la minuscola) soltanto. Non è solo l’indicazione di una sadhana a beneficio di tutti, è anche l’indicazione che la motivazione egoica (un beneficio per sé stessi) non è compatibile col conseguimento del Sé.

 

Non avere timore di essere nulla per poter essere tutto; 

acconsenti al vuoto del Supremo

così che tutto in te possa raggiungere il suo assoluto.

 

Qui si presentano i grandi temi della mistica, e i grandi termini del relativo linguaggio (tutto, nulla, vuoto e assolutamente pieno). E’ un movimento di surrender e di rinuncia all’io. Eppure questa rinuncia è il compimento supremo. E’ proprio perché si rinuncia a qualcosa di limitato e limitante (l’io) che si può accedere al tutto. Ma questa rinuncia è ad un vuoto, e richiede un esplicito consenso. E’ appunto un dono di sé. E’ anche qualcosa che fa paura, che suscita un timore molto giustificato, se è vero che una delle principali funzioni dell’io è quella di operare per la sopravvivenza.

 

Accetta d’essere piccola e umana sulla terra,

sospendendo la tua divinità appena nata,

così che l’uomo in Dio possa trovare il proprio pieno sé.

Se tu fossi venuta per te stessa soltanto:

spirito immortale nel mondo dei mortali,

per trovare il tuo regno luminoso nella notte di Dio

sola stella splendente nel dominio dell’incosciente,

unica porta aperta sulla luce nell’Ignoranza,

quale bisogno avresti mai davvero avuto di venire?

 

Per Savitri, è l’indicazione della sua piena missione. Per il praticante, è forse l’invito a non prendere una strada di allontanamento dagli altri. In entrambi i casi, è il concetto della compassione, che riesce anche a dare un senso alla tragedia dell’incarnazione (il venire nel mondo). E’ un tema questo che appartiene sia a Sri Aurobindo che, in forma piuttosto diversa, al buddismo mahayana nella figura del bodhisattva.

 

Tu sei discesa in un mondo di lotta

per portare il tuo aiuto a una razza mortale cieca e sofferente,

per aprire alla luce occhi che non potevano vedere,

per portare la gioia nel cuore del dolore,

per fare della tua esistenza un ponte tra la terra ed il cielo;

 

La missione di Savitri è quella di costruire il ponte tra terra e cielo. Molto toccanti gli accenti di questa compassione, che è quella che pervade sia Savitri come personaggio che Savitri come poema. Questa comprensione profonda e partecipe della condizione umana sembra a volte umanissima e altre sovrumana.

 

se davvero desideri salvare l’universo in affanno 

percepisci, come se fosse tua, la vasta sofferenza universale:

 tu dovrai sopportare il dolore che pretendi curare;

chi porta il giorno deve camminare nella notte più oscura.

 

La sofferenza non solo umana ma universale deve essere compresa, fatta oggetto di consapevolezza. Ma anche questo non basta, per realizzare l’identità col mondo che permetterà a Savitri di trasformarlo, questa sofferenza, che è definita come vasta, deve essere accettata come propria e percepita. E’ sia una scelta per la missione da compiere, che una conseguenza della universalizzazione che si sta per compiere con l’uscita dall’io e dal sé individuale per il sé cosmico e universale. E’ anche una indicazione della dure prove che possono attendere in questo cammino eroico.

 

Chi vuole salvare il mondo ne deve condividere la pena.

Senza la conoscenza del dolore come potrebbe trovarne la cura?

Camminasse al di sopra del livello più alto della mortalità,

come raggiungerebbero i mortali quel sentiero troppo alto?

Vedessero scalare uno dei loro le sommità del cielo,

gli uomini potrebbero sperare d’imparare quell’ascesa titanica.

 

Rispetto a un atteggiamento di fuga (anche verso l’alto) e negazione del dolore, qui si presenta la piena conoscenza. Chi vuole essere d’aiuto al mondo si deve situare al livello del mondo stesso.

 

E’ sulla terra che Dio deve nascere, essere come l’uomo,

così che, essendo umano, l’uomo possa raggiungere Dio.

Chi vuole salvare il mondo, con il mondo deve essere uno,

contenere ogni cosa sofferente nello spazio del cuore

e portare il dolore e la gioia di tutto ciò che vive.

 

La dualità da congiungere di umano e divino. Ancora il tema della sofferenza universale, tanto spesso accennato da Sri Aurobindo e Mère come parte della sadhana da loro compiuta. E’ forse interessante notare che le cose sono “sofferenti” anche se hanno sia gioia che dolore, nel senso probabilmente che la sofferenza è la condizione dell’esistere attuale, presente anche nei momenti di gioia.

 

La sua anima dev’essere più vasta dell’universo

e sentire, come propria sostanza, la stessa eternità,

respingendo la personalità dell’attimo

conoscere sé stessa più antica della nascita del Tempo, 

la creazione come un’episodio nella propria coscienza,

Arturo e Belfagor come grani di fuoco

orbitanti in un angolo del sé illimitato,

la distruzione del mondo soltanto una piccola passeggera tempesta

nell’infinità calma che è diventata.

 

Quest’universalizzazione viene descritta nei termini sia dello spazio che del tempo, per dare una sensazione efficace della vastità. Eppure, per quanto grande l’universo, anche la sua distruzione non ne è che un breve evento, un accadimento sporadico in un angolo del sé. Perché il sé, la coscienza, precede anche la nascita del tempo.

 

Se tu vuoi allentare, anche di poco, la catena immensa,

recedi dal mondo che l’idea ha costruito,

la selezione che la tua mente effettua dall’Infinito,

la glossa dei tuoi sensi sulla danza dell’Infinitesimo,

allora tu saprai come é venuta la grande schiavitù.

 

Ecco le prime vere istruzioni, utili per uscire dalla grande illusione e catena. Si deve prendere atto che il mondo che vediamo è una costruzione della mente e delle idee, della attività di selezione che la mente effettua sull’insieme di eventi che le si presentano, dall’attività di costante interpretazione (la glossa) che i sensi (ad un livello molto inferiore a quello della mente) effettuano sugli eventi infinitesimali. Una volta superato tutto questo, disinnescati questi meccanismi automatici e del tutto inconsci per la nostra vita mentale ordinaria, si può incominciare a vedere da dove ha origine la grande schiavitù, e operare per le diverse possibili liberazioni.

 

Bandisci da te ogni pensiero e sii il vuoto di Dio.

 

Qui si presenta la pratica di rinuncia al pensiero in favore di un vuoto che non è però un vuoto qualunque, è un vuoto di Dio, oppure con una traduzione appena diversa, il vuoto che Dio è.

 

Allora svelerai l’Inconoscibile,

ed il Sovracosciente diventerà cosciente sulle tue sommità;

dal tuo sguardo penetrerà le cose la visione dell’Infinito;

tu guarderai negli occhi dell’Ignoto,

troverai la Verità nascosta in cose viste come errate e false,

dietro le cose note scoprirai il lato nascosto del Mistero.

 

Tutto questo diventa possibile solo col superamento di una mente ordinaria per la quale l’inconoscibile è destinato a rimanere tale. Il mondo cambia forma e senso ad uno sguardo diverso, e si presenta come Mistero. Le cose non sono più quello che sembravano, la verità non è più dove la si aspettava.

 

Tu sarai una cosa sola con la realtà nuda di Dio

e il mondo di miracolo che é divenuto

e il miracolo ancora più divino che ancora deve essere

quando la natura, che adesso é Dio, ma inconsapevole,

diverrà trasparente alla luce dell’Eterno,

la sua vista sarà la visione di lui, il suo cammino i suoi passi di forza,

la vita ricolmata di gioia spirituale

e la Materia sposa consenziente dello Spirito.

 

L’aggettivo “nudo” è spesso usato in Savitri per descrivere qualcosa quando questo è percepita senza alcuna ulteriore aggiunta (di pensiero, desiderio etc.). In questo stato, con questa identificazione, il mondo cessa di essere quello ordinario che crediamo di conoscere e diventa miracolo e trasparenza.

 

Consenti di essere nulla e nessuno, dissolvi l’operare del Tempo,

ripudia la tua mente, ritirati dalla forma e dal nome.

Annullati, ché sia soltanto Dio."

 

I tre ultimi versi pronunciato dalla voce sono densissimi di indicazioni. Diventare nessuna cosa (nessun particolare oggetto) e nessuno (nessuna personalità particolare) è qualcosa che richiede un nostro consenso, ma a seguito di questo atteggiamento l’operare del tempo, cioè il karma, il costante perpetuarsi e rinascere dell’agire e del pensare, può finalmente essere dissolto. I termini nome e forma, in sanscrito nama e rupa, identificano anche la mente e il corpo, e presi insieme nama-rupa indicano una particolare identità: è quindi l’indicazione di ritirarsi dall’individualità. Infine ancora il concetto di un annullamento che significa fare spazio a Dio: il tema centrale della via di Sri Aurobindo. Il ripudio della mente non è la rinuncia a una razionalità, ma a una gamma molto più ampia di funzioni, la più importante delle quali è il senso dell’io. Più avanti nel libro verranno meno il linguaggio, la possibilità di qualunque concettualizzazione, qualunque valutazione duale, il senso dell’io e dell’esistere.

 

Cosi parlò la Voce, grande ed elevata,

e Savitri ascoltò; chinò il capo in contemplazione

in sé affondando lo sguardo profondo,

nella notte silenziosa, nella intimità dell’anima.

 

La Voce parla e Savitri esegue, è il concetto di Adesh, l’ordine interiore che deve essere subito eseguito. Lo sguardo, in genere rivolto verso l’esterno, viene adesso rivolto verso sé stessa, ed è uno sguardo profondo e che vede in profondità. E’ interessante che questo accada in una notte silenziosa, che sembra richiamare i temi della “Notte Oscura dell’Anima” di Giovanni della Croce. E’ anche interessante notare che guardare in profondità sia il significato della parola vipassana (visione profonda), che indica nel mondo buddista theravada una pratica molto simile a quella che Savitri sta per intraprendere.

 

Appartata, ritraendosi nella calma e il distacco,

testimone del dramma di sé stessa,

studiosa della propria scena interiore,

osservò le passioni e il travaglio della vita,

e udì nelle affollate vie principali della propria mente

l’andatura e il passaggio incessanti dei suoi pensieri.

 

Qui si trovano tante indicazioni dell’atteggiamento interiore, più che della tecnica, della meditazione: un appartarsi, un ritrarsi, il porsi come studioso e osservatore, essere il testimone (purusha) del dramma che la natura (prakriti) mette in scena. Con questo atteggiamento si diviene consapevoli che costante incessante procedere dei pensieri in una mente che sembra una città o un mercato.

 

Consentiva di emergere a ogni cosa che scegliesse di muoversi,

senza chiamare né forzare nulla, senza nulla reprimere,

lasciava tutto al processo formatosi nel Tempo

e all’iniziativa indipendente dell’arbitrio della natura.

 

Altri versi di denso significato. A differenza di altre forme di pratica, in cui si opera costruendo qualcosa (si pensi alle visualizzazioni del tantra, o al mantra-japa), a differenza di pratiche di devozione come quelle descritte nel canto precedente dove Savitri nel loto del cuore invoca la Madre dei mondi, a differenza anche dall’atteggiamento del sadhaka che sceglie cosa accettare dei propri movimenti interiori, qui l’accettazione è completa di quello che accade nel momento. Una adesione perfetta al presente, senza alcun movimento atto a variare la situazione che si presenta, senza costruzione e senza giudizio. Per questo Savitri permette di emergere a tutto, non invoca nulla (nemmeno un dio), non forza nulla (nessun atteggiamento o movimento), nemmeno reprime nulla. Questo modo di essere è indispensabile per una coscienza che diventa più consapevole: non possiamo divenire consapevoli finché censuriamo o rimuoviamo, finché cerchiamo di imporre qualcosa di conforme alle nostre aspettative. Questo movimento di consapevolezza coincide con una sospensione del giudizio e con un pieno surrender. Si rinuncia quindi a sostenere e favorire alcunché, e in questo modo, essendo i movimenti della coscienza non più sostenuti dal nostro attaccamento o dalla nostra avversione, questi possono finalmente esaurirsi e rivelarsi differenti da noi. In termini più tecnici, si dissolve il karma, si supera l’errata identificazione di purusha con prakriti (la natura).

 

Nel seguire così la complicata commedia umana,

udì, dietro le scene, la voce del suggeritore,

riconobbe la trama originale

ed il tema di organo del Potere compositore.

 

Questa aumentata consapevolezza le permette di cogliere quello di cui normalmente non è consapevole: non è più uno spettatore semplice che siede davanti e si fa assorbire dalla recita; adesso sente il bisbiglio del suggeritore, vede gli attori come tali, riconosce le strutture del libretto. Non partecipa più della scena umana, complicata e ricca di colpi di scena, ma sempre soggetta alle medesime leggi narrative. Torna la metafora del teatro, poco prima accennata come scena svuotata. Questo atteggiamento produce la fine della recita, o almeno la fine della partecipazione.

 

Contemplò ogni cosa che sorgesse dalle profondità umane,

gli istinti d’animale a caccia tra gli alberi della vita,

gli impulsi che sussurrano al cuore,

e l’irrompere nei nervi del vortice delle passioni;

vide i Poteri che dall’abisso scrutano,

vide la Luce priva di parola che dà libertà all’anima.

 

Parlando di silenzio mentale, un termine spesso usato per indicare la meditazione in Sri Aurobindo, si può pensare che ad essere oggetto di silenzio siano solo i pensieri in senso stretto, quelli formulati in parole. Invece si indica qui tutto l’insieme dei movimenti della coscienza. Non è per nulla una meditazione “mentale” in senso deteriore o limitativo, è piuttosto una meditazione “integrale” in cui tutto l’essere si porta alla consapevolezza. Così Savitri vede (in modo simile ma più individuale di come nel secondo libro aveva visto Aswapati) tutti i piani dell’essere: il substrato animale del corpo, le passioni, l’influenza dell’abisso a caccia di prede da ridurre in schiavitù, l’influenza dell’alto e della sua luce che conferisce libertà.

 

Ma più di ogni altra cosa, del pensiero il suo sguardo inseguiva la nascita.

 

La conclusione di questo passaggio segnala la cosa più importante per questa pratica: l’esercizio di una consapevolezza (definita come sguardo) che non è pensiero ma che del pensiero è in grado di inseguire le origini più profonde. E’ importante la distinzione tracciata in questo verso tra pensiero e consapevolezza (sguardo): il primo è mentale, ma la seconda esiste su tutti i piani dell’essere; il pensiero non può fermare il pensiero, la consapevolezza sì.

Procedendo nel canto, Savitri scoprirà poi che le nascite del pensiero sono molteplici, aggregate intorno ai chakra, e con l’approfondire della sua visione sperimenterà stati di silenzio, disidentificazione e superamento di io sempre più radicali che la porteranno fino al Nirvana e oltre, al sé cosmico e trascendente.

 

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