Sull’Alchimia

(Intervento ad una conferenza dibattito, fine 2006. A cura di DPE)

 

Questa sera, come mi avete richiesto, parlerò dell’Alchimia.

Ma non tanto di quella che si legge su qualsiasi libro.

Ma di quella vissuta in prima persona, e non per insegnarla a chicchessia, ma per mostrare un mondo strano imprevedibile affascinante e soprattutto nascosto.

Desidero iniziare riportandovi quanto si può trovare di succinto ed indicativo in Internet riferito ad una parola che a volte viene utilizzata in certi ambienti di spettacolo televisivo.

L’Olismo.

 

 

 

“Olismo: dal greco Olos, "il tutto, l'intero", che rappresenta il carattere di totalità insito nelle cose, per cui ogni cosa potenzialmente influisce su ogni altra. É alla base delle dottrine orientali, che ebbe in Aristotele il suo primo propugnatore occidentale. Secondo Aristotele, sia i singoli soggetti che i sistemi subordinano il loro comportamento ad un piano globale, da cui dipendono ed in armonia col quale si muovono. È la teleologia aristotelica, da telos, fine. Le implicazioni filosofiche e religiose di tale dottrina sono enormi. L'esistenza di un disegno finale inserisce il concetto di destino, e dunque di predestinazione, nonché dell'ipotesi di Dio. Compare da noi in veste di dottrina scientifica agli albori del XX secolo, grazie al fisiologo inglese J. S. Haldane. Un contributo determinante all'affermazione dell'Olismo, come teoria biologica, è stato dato da A. Meyer Abich, il quale sosteneva che il concetto di totalità (Ganzheit) risulta di primaria importanza nel campo biologico, poiché solo esso consente una corretta comprensione dei fatti naturali nelle loro diverse sfaccettature. Si tratta di una teoria intermedia tra il vitalismo (dottrina che ammette un principio vitale distinto dall'anima e dall'organismo) ed il meccanicismo. Significa che nelle applicazioni matematiche, come nei fenomeni naturali, viene definita olistica ogni struttura in cui sia presente un processo continuo di "feedback", (retroazione) tra le sue varie componenti. L'approccio olistico evidenzia anche un nuovo sebbene antico rapporto tra l'osservatore e l'oggetto osservato, che suggerisce l' idea di una trasformazione che coinvolge entrambi per effetto dell'influenza reciproca esercitata dal momento del contatto. I concetti di ordine e di caos vi si configurano quindi in virtù di una relazione assoluta con il tutto, ma allo stesso tempo con l'infinito significato di ciascuna parte, sia essa un elemento, un'azione od un processo. L'Olismo vede una recente grande espansione nella sua applicazione, permettendo di studiare in piena libertà mentale tutti i sistemi più complessi. Ogni sistema viene trattato come entità particolare, che interagisce con altri sistemi, quindi non è mai ridotto alla somma dei suoi componenti. Nell'Olismo la logica non funziona, proprio perché la somma non vi dà mai il totale: infatti somma e totale sono considerate due cose diverse. L'eminente fisico Bohm sostiene che non soltanto il tutto non viene definito dalle singole parti, ma che l'esistenza stessa delle singole parti può essere definita dal tutto. L'Olismo ha implicato la fusione della fisica e della biologia con la filosofia, nell'azione di ricerca di una risposta ai grandi "perché" dell'essere umano moderno.”

 

 

 

Come avrete notato, vengono citati filosofi e scienziati, ed è indubbio che queste due figure rappresentano il fior fiore della conoscenza.

Bene, questa sera cercherò in due parole di far presente che quanto si dice da parte loro sull’olismo, in realtà è una vecchia conoscenza di un altro settore d’indagine; quello, appunto, dell’Alchimia.

Per addentrarci in questa storia e capire meglio la questione cercherò di tornare indietro nei miei ricordi fino a tanti, tanti anni fa.

Da piccolo avevo già avuto esperienze quasi chimiche mescolando liquidi diversi o sciogliendo qualcosa in qualcos’altro, annotandomi tutto e soprattutto i risultati.

Ma non possedevo un metodo ripetibile.

Finché un giorno, ebbi l’occasione di incontrare la mamma di una mia compagna di classe, che ben conosceva la mia curiosità per il “meraviglioso”.

Lei mi parlò a lungo e mi domandò parecchie cose e me ne disse altre, incrementando la mia curiosità fino al punto di effettuare un esperimento particolare.

La ricordo ancora quella sera in cui, da solo in cucina, presi un bicchiere e vi inserii qualche grammo di gesso da sarto su cui versai un po’ di acido cloridrico, acquistato al drugstore, in rapporto da uno a tre, cioè per ogni grammo di gesso tre grammi di soluzione acida.

Un piccolo colore opalino, poi altro.

E stetti lì col naso sopra il bicchiere a guardare se ne usciva qualcosa di interessante.

Versai il tutto in una pentolina e cominciai a riscaldare.

Concentrai il tutto ma non completamente fin che nel fondo non rimanevano che alcune grosse gocce ed un po’ di residuo.

E fu a quel punto che mi capitò per la prima volta una cosa strana.

Presi un cucchiaio e cercai di prelevare dalla pentolina quanto si poteva.

Quando il cucchiaio fu colmo ebbi per un istante la tentazione di assaggiare.

Poi la mente ebbe il sopravvento e buttai via tutto: e così tutto finì lì.

O meglio sarebbe dire che tutto cominciò proprio da lì.

Era nato in me un qualcosa che faceva si che tutto ciò che facevo, tutto ciò che era esterno ma che mi “comprendeva” facesse o dovesse far parte anche del mio interno.

Come alcuni mesi più tardi quando, con uno dei miei quaderni segreti di appunti scientifici, quello più importante, pensavo di frullarlo così da poterlo bere e mi entrasse dentro.

E solo la consapevolezza successiva che ciò che vi era scritto era nato da me e che quindi era ancora in me, mi ha convinto a non distruggerlo.

Tutto quello che viene detto sull’Alchimia lo si può trovare in qualsiasi libro, quello che non vi si trova invece è ciò che l’alchimista prova quando comprende che lui stesso e l’esterno costituiscono un sistema globale.

Per anni fino ad una quindicina di anni fa, ho pensato che la natura, con i suoi componenti, fosse strutturata come in un Lego in livelli sistemici a complessità crescente, come si può notare sinteticamente in questa tabella.

 

Componenti:

 

QUARK

PARTICELLE

ATOMI

MOLECOLE

MACROMOLECOLE

MICRORGANISMI

CELLULE

PERSONE

GRUPPI SOCIALI

STATI

Livello sistemico:

 

SUB-ATOMICO

ATOMICO

MOLECOLARE

MACROMOLECOLARE

MICRORGANICO

CELLULARE

TESSUTO

SOCIALE

NAZIONALE

MONDIALE

 

Era una sistemazione-classificazione interessante, e sembrava funzionale ma era solamente molto datata e minimalista.

Non è più possibile pensare in termini di “reductio” o viceversa (come in questo caso) di “amplificatio”.

E non è più possibile perché si è capito che le due azioni, di riduzione o di amplificazione, perdono alcuni significati collaterali, togliendo sfumature o ampliando in modo non proporzionale altre sfumature.

Quella che è necessaria è una teoria globale, onnicomprensiva che contempli un sistema unico la cui divisibilità sia solo formale ma non sostanziale.

In altre sedi l’ho chiamata teoria “cosmosociologica”.

Sempre a proposito di quella tabella vi è un’ipotesi, effettivamente alquanto suggestiva, di Sheldrake, quella dell’idea di causazione normativa, ipotesi che suggerisce che la mente umana non sia localizzata nello spazio e neppure nel tempo.

Che non sia limitata al “qui e ora”.

Che sia immortale e non energetica.

Con il corollario che il suo effetto non venga diminuito dalla separazione spaziale.

In questa ipotesi la mente non è ristretta al cervello né prodotta da esso, anche se può agire attraverso di esso.

Questa ipotesi implementa l'idea di una coscienza collettiva secondo cui essa può essere immagazzinata collettivamente come una sola mente, fuggendo dal cervello e dal corpo di singole persone.

Come dicevo, questa ipotesi suggerisce che la mente non è localizzata nello spazio, che può persistere nel tempo e che è oltre il corpo ed inoltre, che la coscienza non è necessariamente limitata agli esseri umani.

Cioè perlomeno in grandi variabili, essa può essere condivisa da molte forme di vita oltre che dagli esseri umani.

Voi capite però che non si può credere a tutto ciò che ci viene propinato, anche se è attraverso Internet o libri pubblicati ad hoc.

Però l’ipotesi è di per sé suggestiva per quanto anch’essa di tipo riduzionista.

In realtà quella Tabella bisognerebbe leggerla contemporaneamente in questi due modi:

 

Componenti:

 

.

.

.

MACROMOLECOLE

.

.

.

.

.

Livello sistemico:

 

SUB-ATOMICO

ATOMICO

MOLECOLARE

MACROMOLECOLARE

MICRORGANICO

CELLULARE

TESSUTO

SOCIALE

NAZIONALE

MONDIALE

Componenti:

 

QUARK

PARTICELLE

ATOMI

MOLECOLE

MACROMOLECOLE

MICRORGANISMI

CELLULE

PERSONE

GRUPPI SOCIALI

STATI

Livello sistemico:

.

.

.

.

.

.

.

SOCIALE

.

.

Cioè uno o più Componenti con tutti i Livelli ovvero uno o più Livelli con tutti i Componenti.

Vi rendete conto che in questa modalità di lettura, la cosa cambia aspetto.

Ma ritorniamo a noi.

Nel ’24, nel loro lungo carteggio, Einstein scrisse a Born una frase che è rimasta nella storia: "L'idea che un elettrone esposto a una radiazione scelga liberamente l'attimo e la direzione in cui vuole saltare mi è insopportabile. In questo caso preferirei fare il ciabattino o addirittura il croupier in un casinò piuttosto che il fisico".

E quelle due parole, che ho sottolineato con la voce, hanno una valenza che va certamente al di là di tonnellate di carta stampata. Come dicevo alcuni minuti fa, si trovano facilmente libri sull’Alchimia.

E lì solitamente vi si leggono le definizioni di via umida, via secca, via intermedia. Si legge di binario, di ternario, di quaternario, di quintessenza. Si possono vedere anche delle figure interessanti. Molti ci si riempiono la bocca. Ma quello che non vi trovano è lo stato d’animo che precede e che segue ogni atto.

Vi invito ad avvicinarla e di attivarla personalmente, perché qui da noi non sono il Sufismo o la Kabala ad essere la nostra radice esoterica: solo l’Alchimia.

L’occultista svedese Swedemborg diceva che "Il cielo ha la forma di uomo, la terra stessa è un essere vivente, l'uomo quando si trasmuta assume un altro aspetto, la sua forma umana non ha nulla a che vedere con l'aspetto umano, una semplice apparenza che si percepisce in maniera diversa”.

Cerchiamo di tendere a questo.

Solo un atteggiamento alchemico, tanto per capirci l’ondeggiare del Cavallo degli scacchi, può generare una lettura delle tabelle come quella che vi ho appena mostrato.

La visione globale.

Quella visione che in ultima istanza ti insegna che se hai la capacità di fare qualcosa, allora hai la responsabilità di farla.

Desidero leggervi un brano di Thorwald Dethlefsen tratto dal suo libro: "Il destino come scelta - psicologia esoterica".

“Noi tutti conosciamo dalla fisica il concetto di risonanza. Un diapason vibra ad un suono solo se questo suono corrisponde alla sua propria frequenza. Se questo non avviene, il suono per il diapason non esiste in quanto non può percepirlo. Una radio ricevente predisposta per le onde medie riceverà soltanto onde medie, proprio sulla base della risonanza. Onde corte e onde lunghe non vengono percepite, non fanno parte del suo mondo. Allo stesso modo l'uomo per ogni percezione ha bisogno in se stesso di una corrispondenza in grado di "vibrare all'unisono" e di trasmettergli quindi la percezione attraverso la risonanza...

Ogni persona può percepire solo quegli aspetti della realtà per i quali possiede capacità di risonanza. Questo non vale soltanto per il campo della percezione puramente sensoriale, ma per tutta la percezione della realtà. Dato che tutto ciò che si trova fuori dalla propria capacità di risonanza non può essere percepito, per la persona in questione non esiste affatto. Per questo ognuno crede di conoscere tutta la realtà e che al di fuori di quella non ci sia niente. Se uno legge un libro, crede di averlo capito fino in fondo, sebbene di quanto legge possa percepire solo quello che si trova in armonia col suo stato di coscienza del momento. Che le cose stiano così, lo si capisce quando si rileggono certi libri dopo anni. La coscienza in questi anni si è ampliata, e quindi si capisce il libro "ancora meglio". Queste cose sono evidenti ad ognuno e hanno solo lo scopo di rendere più chiaro il principio che vogliamo appunto applicare al destino in generale. Si può venire in contatto soltanto con le idee, le persone e le situazioni per le quali abbiamo una nostra risonanza, o ...una affinità. Senza una adeguata affinità non si potrà mai arrivare a una manifestazione. Se uno si trova in una rissa o in una baruffa, questo non avviene mai a caso, ma sempre sulla base della propria affinità con simili esperienze. La colpa per le eventuali conseguenze di questa rissa è quindi anche di chi afferma di essercisi trovato coinvolto senza alcuna responsabilità sua. Senza affinità non ci si sarebbe mai trovato coinvolto. Se qualcuno viene investito per strada, la semplice colpa funzionale dell'automobilista non cambia nulla al dato di fatto che l'investito era maturo per quella esperienza, altrimenti l'evento in questione non avrebbe mai potuto entrare nel suo campo di esperienze... Il cosiddetto mondo esterno è in realtà uno specchio in cui ognuno vive se stesso, in quanto dalla realtà vera, oggettiva, uguale per tutti, filtra solo quello per cui ha personalmente un'affinità. Chi non è consapevole di questo fatto, finisce per commettere errori di comportamento. Quando la mattina mi guardo allo specchio e in questo specchio vedo un viso che mi guarda in modo poco amichevole, posso strapazzare per bene questo viso...il viso nello specchio non si lascia per questo impressionare, anzi invia altrettanti insulti. In questo modo è facile arrabbiarsi sempre di più finché non si incomincia a colpire il viso incriminato e lo specchio va in frantumi. Nessuno però si comporterà in questo modo con lo specchio del bagno, perché siamo ben consapevoli della sua funzione di specchio. Tuttavia quasi tutti gli uomini si comportano nella vita quotidiana nel modo sopra descritto. Lottano contro i loro nemici nel mondo esterno, contro i vicini o i parenti indisponenti, contro le ingiustizie dei superiori, contro la società e altro ancora. Tutti in realtà combattono soltanto se stessi... La legge di risonanza e dello specchio vale naturalmente sia in senso positivo che negativo. Se nelle nostre considerazioni citiamo quasi esclusivamente esempi negativi, è perché è qui che si produce il dolore umano...Se l'uomo si rende conto della funzione di specchio del mondo che lo circonda, si procura una insospettata fonte di informazione... è uno dei metodi migliori per conoscere se stessi,... Se l'uomo impara a chiedersi il senso di tutto ciò che gli capita, non solo imparerà a conoscere meglio se stesso e i propri problemi, ma scoprirà anche le possibilità di cambiamento... Più consapevole diviene l'uomo, più impara a dare un ordine alle cose, a chiedersi quali informazioni esse possono fornire. Di importanza fondamentale è restare in armonia con tutto ciò che è. Se questo non riesce, se ne cerchi il motivo in se stessi. L'uomo è il microcosmo e di conseguenza un'immagine esatta del macrocosmo. Tutto ciò che percepisco all'esterno, lo ritrovo anche in me.... Tutte le persone cattive e gli eventi sgradevoli sono in realtà solo messaggeri, mezzi per rendere visibile l'invisibile. Chi capisce questo ed è disponibile ad assumersi personalmente la responsabilità del proprio destino, perde ogni paura del caso che lo minaccia... Chi modifica se stesso, modifica il mondo. In questo mondo non c'è niente da migliorare, molto invece c'è da migliorare in se stessi. La via esoterica è una via di continua trasformazione, di nobilitazione del piombo a oro...”.

Qui termina l’esoterismo e per molti aspetti la visione nota dell’Alchimia.

Ma la vera Alchimia fa un passo in più, come del resto la Massoneria.

Prende il tutto e lo trasla sul piano del “prendersi cura” del mondo che ci circonda, partendo anche dal “chiedere ragione” di tutto.

E come dice Berti: “L'atteggiamento del «chiedere ragione» (logon labein), cioè del domandare, del problematizzare, è l'atteggiamento filosofico per eccellenza, almeno nella tradizione inaugurata appunto da Socrate, che è quella della filosofia occidentale, a cui ancora oggi si rifà la maggior parte del pensiero filosofico. Questo atteggiamento, però, non è puramente formale, perché presuppone che la realtà, cioè il mondo dell'esperienza, della vita, della storia, non si spieghi da sé, ma abbia bisogno di essere in qualche modo spiegato. Il domandare, infatti, non è altro che l'espressione, sul piano soggettivo, di una domanda, per così dire, oggettiva, costituita dall'esperienza stessa. Anzi, i termini soggettivo e oggettivo sono fuorvianti, perché alludono ad una contrapposizione tra un soggetto ed un oggetto, che nell'esperienza invece non sussiste, poiché l'esperienza è l'unità del soggetto e dell'oggetto nell'atto stesso dell'esperire.  Il mettere in questione, cioè il problematizzare, ciascuna delle opinioni proposte nel corso di una discussione, come faceva Socrate, equivale a riconoscere che ciascuno dei momenti che costituiscono l'esperienza, ovvero la vita umana, la stessa storia dell'umanità, è di per sé relativo, instabile, precario, bisognoso di spiegazione, cioè problematico. Ed il mettere in questione l'esperienza nella sua totalità, domandandone il principio, ovvero la spiegazione ultima, come facevano Platone ed Aristotele, equivale a riconoscere che la stessa totalità dell'esperienza è problematica, cioè che l'esperienza è pura problematicità. Questa non è più una posizione puramente formale, ma è un orientamento filosofico ben definito, che si oppone ad ogni assolutizzazione dell'esperienza o della storia, cioè ad ogni metafisica di tipo immanentistico”.

Insomma prima il cuore e poi la mente.

E mente e cuore assieme per risolvere i problemi di noi stessi e del mondo.

Vedete, l’antro dell’Alchimista è idealmente costituito da due stanze.

Nella prima, l’Oratorium, l’Alchimista, anche non da solo, studia e approfondisce e poi, da solo, prega.

Permettetemi che su questo punto mi soffermi un pochino.

Vi mostrerò intanto questi due slide (*) non tanto per parlarvene quanto perché li osserviate di tanto in tanto ascoltando le mie parole di questa parte del mio soliloquio.

L’atto del pregare è certamente soggettivo e posso assicurare che quando ne ho sentito parlare per la prima volta, mi ero molto meravigliato, non tanto per l’atto in sé quanto per il tipo di preghiera che doveva essere innalzata e a chi.

E’ stato col tempo che mi resi conto che le mie convinzioni e le mie esperienze precedenti erano solo da intralcio per la preghiera che deve scaturire dal nostro interno liberamente ed improvvisamente senza alcun pregiudizio o preparazione.

E non è mai sempre la stessa.

Sì, magari le intenzioni e il riassunto dei contenuti si ripetono, ma la forma muta in funzione dello stato d’animo che si uniforma agli obiettivi che ci si pone e che ogni giorno cambiano o, se si vuole, si perfezionano. In quel momento non ti ricordi neanche chi sei né ti rendi conto di cosa stai facendo, materialmente intendo. Senti solo la tua voce come in lontananza. E se anche il luogo prescelto è in penombra lo vedi molto illuminato, anche se la luce è solo virtuale, come se fosse derivante da quella lampadina disegnata nei “cartoons” per indicare l’idea che pare si sia creata. E le parole silenziose ti sgorgano spontanee: lì parli con il tuo amico, ti confidi gli chiedi aiuto per continuare. Non esiste una documentazione ufficiale che deve essere seguita. Sei tu che gli parli e che gli chiedi, per te e per il mondo. Non vi sono personalismi accentuati, magari sì qualche punta di orgoglio per ricordare che sei vivo, ma quello che più conta è il tuo “essere in relazione” con il tutto. Come vedete, non si tratta di un’espressione derivante da una specifica Religione. È solo una manifestazione di una forma particolare di religiosità.

Di un tentativo di unione di immanenza e di trascendenza che si evidenzia tanto più ti addentri nel tuo interno. Ad esempio per me il mio Dio, è sì il Grande Architetto, ma è un po’ particolare, è musicale.

E le mie manifestazioni di raccordo con lui sono fondate su rapporti armonici e melodici. Non vi è nulla di scritto che può essere ripetuto, vi è solo un insieme di atti spontanei. A volte, nulla; basta l’innalzamento del proprio spirito silenzioso.

E la risposta non tarda a venire. E la risposta la senti dentro, con nuove idee nuovi pensieri, rinnovata volontà.

Bene, continuiamo. Poi vi è una porta invisibile che solo da lui deve essere attraversata, ed è quella del Laboratorium.

E lì crea. Magari la parola da me utilizzata sembra un po’ forte, ma è di questo che si tratta, giacché sono solo la sua fantasia ed il suo amore a gestire un’Opera che senza di lui non sarebbe.

Insomma lui è diventato uno strumento, al pari di quelli che solitamente usa.

E ciò che ottiene appartiene ad un gradino di una grande scala che si dipana verso l’alto fuori di lui e verso il basso all’interno di lui.

L’Esterno e l’Interno. Contemporaneamente. Ed è questo che gli dà il tremore, non la paura badate bene, solo il tremore di sentirsi sempre più solo al cospetto di ciò che gli è stato concesso di intravedere e di plasmare. Se ne ha le capacità ed il tempo. E in quei momenti capisce una cosa molto semplice e per molti aspetti tremenda.

Che è entrato e si muove nel regno della complessità. Una complessità relazionale, sistemica, in cui tutto è in ogni cosa ed in ogni cosa è nel tutto.

Solo con questa consapevolezza rispolvera la parabola dei Talenti.

Esprimere il meglio di sé sempre e comunque, per sé stesso e quindi per tutti e per ogni cosa e ovunque.

Insomma, per l’universo.

La ricerca della Pietra Filosofale è una delle grandi bugie messe in campo per sviare la segretezza dell’agire e la finalità dell’agire stesso.

In realtà questa Pietra è solo uno dei tanti gradini che completano l’Opera ed è negli stadi iniziali.

La costruzione del Diamante è ciò che, in effetti, si cerca.

Intendiamoci bene, il Diamante non è quello cui solitamente si pensa o si ammira in qualche vetrina, è un modo di essere, di sapere e di saper fare.

Forse qualcuno ce l’ha fatta. Ma non è necessario che ciò avvenga. E’ necessario invece che in ognuno dei Ricercatori esista il tendere verso questa realizzazione, la realizzazione suprema.

Il passaggio dalla cecità iniziale alla mezza luce del “mezzo del cammìn” non è scevro di conseguenze sulla sua vita relazionale e sulla sua eventuale ricerca o operatività nel mondo profano.

Vedete, solitamente siamo indotti a pensare all’Alchimista come ad un colui che è vissuto secoli fa, ad una figura non più esistente.

Per chi non conosce la Storia della Filosofia Occulta o dell’Alchimia o in generale dell’Esoterismo, la figura dell’Alchimista rimanda un po’ ed erroneamente, alla figura di don Ferrante dei Promessi Sposi.

La realtà è ben diversa. La presa di coscienza di una mente tra le menti è l’inizio della vera trasformazione. Ma, intendiamoci sulle menti.

L’Alchimista assegna una mente a tutto e a tutti. Tutto e tutti hanno pari dignità come creature, viventi o non viventi che siano. Solo così riesce a costruirsi una visione olistica. E solo così cresce.

Ma sul problema della mente e delle menti solo una piccola cosa prima di concludere.

Secondo il filosofo Searle non è del tutto corretto che la nostra mente possa essere considerata alla stregua del programma di un computer, come affermano i sostenitori più accesi dell’intelligenza artificiale.

Ci sono modi della comprensione umana che sfuggono al programma più sofisticato, e il nostro cervello è una struttura ben più complessa di qualsiasi calcolatore.

Quando si parla di coscienza si fa riferimento a qualcosa che deve rientrare  a tutti i costi nel nostro mondo razionale, quindi si parla di processi biologici, fisiologici, fisici, chimici, neurologici, questo perché è nella natura dell’uomo indagare nell’immanente, oltre i processi puramente razionali non si può andare, ci sono i limiti della ragione umana.

Mentre il neuroscienziato Dennett, che si definisce solo filosofo, non ritiene che ci sia una sostanziale differenza tra il modo di operare di un calcolatore e quello del cervello umano.

In entrambi i casi si tratta di sistemi fisici (composti da un certo numero di sottosistemi). 

Non ha importanza il tipo di materiale con cui tali sistemi sono costruiti, bensì la funzione che essi svolgono.

Dice infatti: “Se il Sé è soltanto il Centro di Gravità Narrativa, e se tutti i fenomeni della coscienza umana rappresentano soltanto i prodotti dell'attività di una macchina virtuale realizzata con connessioni variamente modificabili del cervello umano, allora, in linea di principio, un robot opportunamente "programmato" con un cervello costituito da un calcolatore al silicio, sarebbe cosciente, avrebbe un Sé”.

Quindi la qualità dell'essere coscienti, per lui deriva unicamente da un certo tipo di organizzazione funzionale, e non dal fatto che si abbia a che fare con un cervello organico piuttosto che con un cervello costituito da un calcolatore elettronico.

"Se vogliamo un'analisi adeguata della creatività, dell'invenzione, dell'intelligenza, questa dev'essere analizzata e quindi scomposta in parti tali che in nessuna di esse vi sia intelligenza".

Lo scienziato-uomo può arrivare anche a questi punti, ovviamente discutibili.

Ma io sono certo che in altri contesti (ad esempio quelli etici) occorrono ben altri modelli, non legati al dominio della teoria dell'informazione e dell'intelligenza artificiale.

L’Alchimia è arrivata molto più in là senza perdere mai di vista l’oggetto delle proprie riflessioni e delle proprie contemplazioni.

Come avrete certamente capito, le due stanze ideali con in mezzo la porta di comunicazione, di cui vi ho parlato, non sono necessariamente fisiche.

Nel mio caso, come del resto per alcuni altri che conosco, sì esistono a grandi linee anche fisicamente, ma più spesso rappresentano dei momenti esistenziali, tre per l’esattezza.

Il primo quello dello studio, da solo o con altri per un approfondimento e scambio di idee.

Ma prima di varcare quella porta di separazione o di unione, è necessaria una profonda meditazione per verificare internamente l’appreso ed il compreso e per riconoscere le motivazioni e gli obiettivi nell’ovvia considerazione della propria impotenza nello svolgere quanto ci si è prefissati, sia come metodo sia come meta: è il secondo momento. Poi all’improvviso, ed ecco il terzo momento, compare qualcosa che si crea in modo autonomo. Personalmente mi si visualizza un foglio di carta per musica su cui si disegnano schemi o grafici o formule. Tutto qua. Come facilmente capite, spesso il merito di ciò che si fa non è così facilmente attribuibile. E visto che siamo arrivati al punto cruciale, desidero solo ricordare che tra le tantissime cose che Feynman ci ha lasciato ci sono due piccole frasi che meritano più attenzione di quanto non sembri a prima lettura:

 

"Stranamente molti non credono che nella scienza ci sia posto per la fantasia… una fantasia diversa da quella dell’artista e che consiste nel cercare di immaginare qualcosa che mai a nessuno è venuto in mente".

"Io vivo sempre senza risposte. È facile. Quello che voglio sapere è come si arriva alla conoscenza. È proprio questa libertà di dubitare, ad essere fondamentale nella scienza e, credo, in altri campi".

 

Questi pensieri sono luci indirizzanti permanentemente accese e che fanno tanto riflettere.

In ogni caso, almeno per me e per le mie ricerche fino ad oggi.

E spero anche per l’avvenire.

 

 

 

 

 

 

 (*)

i due slide.

 

 

 

 

 

 pubblicato per la prima volta su Lex Aurea 20

 

www.fuocosacro.com

 

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