Dell’Apprendista e del Maestro

Giovanni Gigliuto

 

Quando il discepolo è pronto il Maestro arriva.. Come se i Maestri fossero a disposizione, come i medici a domicilio, di tutti gli oziosi sognatori”.

 

In questi primi anni del XXI secolo nei quali continuiamo ad assistere a un decadimento morale e spirituale quotidiano, ci chiediamo qual è il significato di ‘Apprendista’? Ovvero, ancora oggi in massoneria, quale società iniziatica – o in quel che resta di essa – che valore assume l’apprendistato? Ha esso ancora ragion d’essere?

E’ evidente che l’esistenza dell’Apprendista presuppone quella del maestro. Ma ci sono ancora Maestri? Non ci riferiamo certo a quelli ‘brevettati’ o a quelli divenuti ‘grandi’, ché di questi ce ne sono a iosa, ci riferiamo a quelli che riescono a dare anche in silenzio, senza clamore e soprattutto senza apparire?

Domande queste che ci si dovrebbe porre gettando via ad una ad una tutte le maschere indossate e guardarsi dentro, sconfiggere la propria Medusa affinché si possa e vedere il proprio vero volto. Fare di tutti i luoghi comuni un falò che quantomeno porterà un calore che ricorderà ‑ quello oramai perso ‑ della fratellanza.

 

***

 

In tutti i campi, la padronanza di un’arte o di una tecnica esige delle tappe di apprendistato: è dall’ascolto del Maestro, ma soprattutto dalla osservazione del Suo lavoro e dall’imitazione prima e dall’esigente ripetizione del gesto poi ‑ nonché dall’umile correzione degli errori ‑ che l’Apprendista giungerà alla fiducia in sé e potrà a sua volta diventare un Artista e ritrasmettere la sua conoscenza vissuta.

Da ciò risulta evidente che la figura dell’Apprendista è diversa da quella dell’allievo in quanto presuppone una valenza operativa. Egli, a differenza dell’allievo, non si accontenterà di un insegnamento teorico del quale utilizzerà la parte che gli sembrerà buono: l’Apprendista, riconoscendo con umiltà la sua ignoranza, ha la ferma volontà di mettere in pratica l’insegnamento del Maestro. Insegnamento di cui questi non ne è che il depositario. Semmai integrerà tale insegnamento per integrarlo nei suoi comportamenti: in quanto solo mettendolo in pratica potrà verificarne la validità per proseguire nel cammino e guadagnarsi così l’autonomia.

In tal modo egli è discepolo, segue cioè una disciplina, imposta dal Maestro, atta a conseguire il perfezionamento e quindi la maestrìa. Il Maestro – se veramente tale – non può semplicemente insegnare i rudimenti dell’arte e lasciar all’apprendista libero sfogo alla sua creatività alla sua fantasia, poiché in tal modo significa lasciarlo in balìa di se stesso. Potrà forse diventare un genio, giammai un artista.

 

Marcel Aubert, circa la situazione del XIII secolo ha scritto:

 

“Il maestro, che ha il comando della loggia, distribuisce il lavoro, fornisce agli scultori le idee guida, e trasmette i particolari del programma iconografico che ha ricevuto dal consulente ecclesiastico. Fornisce inoltre schizzi, forse piuttosto dettagliati, che dovrebbero contenere le misure, il profilo, la positura e gli elementi fondamentali della figura. Sorveglia l’esecuzione e, quando è il caso, prende egli stesso in mano scalpello e mazzuolo […]. È responsabile sia dei dettagli dell’opera scultorea che della costruzione architettonica”.

 

Spesso molti ‘maestri’ dimenticano d’esser stati a loro volta degli apprendisti.

Ma la maestrìa è come un abito che ha una sola taglia e non è assolutamente modificabile, non si può adattare a chi lo indossa. E’ vero il contrario, chi vuole indossarlo deve crescere fino a poterlo indossare, poiché si riconoscerebbe subito un nano.

Quanti pseudo maestri si circondano di tanti adepti! Questi, più che al denaro, sono interessati al potere sugli altri. Legano a sé ignari discenti, con le promesse di chissà quali rivelazioni. “Chi dà il pesce invece di insegnare a pescare, vi sfama ma allo stesso tempo vi affama, perché è da lui che dovrete tornare”.

Ribadiamo: un maestro è solo, è un viandante che si incontra sulla strada. Egli non ha rifugi, non costruisce ospizi e, quel che è più importante, non costruisce templi. Egli è semplicemente un compagno di viaggio.

Strana situazione quella del Maestro, può avere tanti apprendisti ma rimarrà sempre da solo. Infatti se è stato un buon insegnante ha fatto sì che i suoi discepoli siano andati oltre.

Il legame col proprio maestro viene sciolto con l’uccisione iniziatica di questo: “se incontri un Buddha per strada uccidilo!” diceva Siddharta. E’ un sacrificio rituale, un sacrum facere.

A ben vedere, questa è una operazione necessaria, nel senso di superamento del proprio Maestro ‑ che non significa esser migliore o surclassarlo in quanto più grandi – superamento in quanto Quegli è Guardiano dell’ultima Soglia prima di pervenire alla mèta. La devozione verso il Maestro impedisce di aprire quella porta che immette nell’ultimo tratto della Via – la più impervia ‑ che si dovrà percorrere da soli. Essa rappresenta un ostacolo in quanto il discepolo tende ad emulare il Maestro o peggio ad Egli identificarsi. E’ questo è il motivo per cui si deve uccidere il proprio Maestro e sciogliere così quel cordone ombelicale che a Lui lega.

Un altro modo è il rinnegamento del proprio Maestro, non il tradimento. Il tradimento viene fatto per un qualche tornaconto, si vende qualcosa (o qualcuno) per ricavarne un utile. Questa nefanda azione, sicuramente spregevole, in verità ha anch’essa qualcosa di iniziatico, o meglio, di contro-iniziatico. E’ bene ricordare che il lato oscuro della iniziazione è la contro-iniziazione, essa è una iniziazione a tutti gli effetti ma al contrario.

Il rinnegamento invece è un atto di viltà: si rinnega per paura. E’ una azione che possiamo assimilarla ad un suicidio, poiché questa nefanda azione, così priva di dignità e onore, non viene fatta contro il Maestro, bensì contro se stessi. E’ un disseccamento del legame iniziatico, è un precipitarsi negli imi più bassi dell’essere, ai confini col non-essere.

Vorremmo, prima di concludere questo breve scritto, svellere quello che è diventato un luogo comune – peraltro tanto amato dai massoni esoterici ‑ “il legame indissolubile tra iniziato e iniziatore”. Infatti, nelle Organizzazioni Iniziatiche l’iniziazione, ovvero la trasmissione di una precisa influenza spirituale, avviene in modo diretto: dall’iniziatore ‑ che la possiede realmente ed ha il crisma del trasmetterla ‑ all’iniziato, il quale, a sua volta, deve avere qualificazioni per riceverla.

 

“[…] l’iniziazione propriamente detta consiste essenzialmente nella trasmissione di una influenza spirituale, trasmissione che può soltanto effettuarsi per il tramite di una organizzazione tradizionale regolare, sicché non si può parlare di iniziazione al di fuori di un collegamento ad una tale organizzazione”.

 

Questa prassi non ha più patria in massoneria, almeno quella dello stato attuale. Questa già dalla fine del secolo XVII, ma soprattutto dopo la grande scissione del 1717, ha subìto (e subisce) una degenerescenza con una progressione geometrica: da Organizzazione Iniziatica s’è trasformata in società iniziatica:

 

“[…] ognuno sa abbastanza bene che cosa sia una “società”, vale a dire una associazione che ha statuti, regolamenti, riunioni in luoghi e date fisse, che tiene registri dei suoi membri, che possiede archivi, processi verbali delle sue sedute e altri documenti scritti, in una parola circondata da tutto un apparato esteriore più o meno ingombrante. Tutto ciò, ripetiamolo, è perfettamente inutile per una organizzazione iniziatica, che in fatto di forme esteriori ha bisogno soltanto di un certo insieme di riti e di simboli, i quali, in pari modo dell’insegnamento che li accompagna e li spiega, devono regolarmente trasmettersi per tradizione orale”.

 

L’iniziazione nella massoneria moderna avviene in modo virtuale. La trasmissione spirituale viene fatta dalla figura del Maestro Venerabile, non dall’uomo che ricopre tale carica. Infatti, ci si rifletta un momento: se quest’ultimo non ha ricevuto una iniziazione diretta, vera, e soprattutto non è stato investito dei poteri iniziatici – cioè non ha nessun crisma ‑ cosa trasmetterà?

Non essendo quindi possibile il legame tra iniziato e iniziatore – in quanto quest’ultimo è una entità virtuale –, tale trait d’union dovrebbe sussistere allora tra il neofito e il fratello presentatore, quello che negli antichi rituali era chiamato Padrino, e che aveva l’onere di guidare l’Apprendista fino alla maestrìa. Ma con questi chiari di luna…  e visti i metodi primaverili di proselitismo…

Ma allora l’Apprendista è solo?

Lasciamo all’arguzia e alla sensibilità del sincero lettore la risposta.

Da parte nostra potremmo solo aggiungere quello che ci disse una volta il nostro Maestro:

 

E’ solo nella Grande Solitudine che s’incontrerà il proprio Maestro. Quegli è là da sempre poiché quella è la Sua Via.

Per sempre.


 


Articolo pubblicato nella rivista LexAurea31, si prega di contattare la redazione per ogni utilizzo.

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