Aleister Crowley: Oltre la Superstizione

Fra\ Sup\ Magis Magisque

 

 

Vi sono due cose infinite, l’universo e l’ignoranza

umana, anche se sul primo nutro ancora qualche dubbio.”

                                                               (Albert Einstein)

 

Fa’ ciò che vuoi sarà tutta la Legge.

 

Per poter esaminare con obiettività e correttezza il pensiero di Crowley, nonché gli aspetti filosofico-spirituali della Legge di Thelema, è necessario identificare il momento storico in cui nasce il Maestro Therion e in cui si produce l’insorgere dell’Eone di Horus confermato dalla dettatura del Libro della Legge con la proclamazione della Legge di Thelema.

Crowley viene alla luce in una società ottocentesca, fortemente condizionata dalla mentalità vittoriana, in un clima culturale che, tuttavia, era decisamente in fermento a causa del progresso scientifico e delle inquietudini filosofiche e politiche di certi ambienti dell’intellettualità europea.

Tutto ciò costituiva, di fatto, un vero e proprio scontro tra due mondi, quello “antico” e tradizionale e quello moderno e innovativo che si stava affacciando sul nuovo secolo.

Crowley, di fatto, in quella che diverrà la sua destinata “missione” nel mondo, sarà costretto a raccogliere l’eredità di quel vecchio mondo e, suo malgrado, a farsi carico di setacciare l’utile dall’inutile, il superstizioso dallo scientifico, la fede cieca dalla certezza sperimentale, al fine di adeguare responsabilmente la sua erudizione e la sua inclinazione spirituale alle necessità della nuova epoca.

Il mondo della giovinezza di Crowley era un ambiente ancora privo di quelle conoscenze tecnologico-scientifiche che avrebbero da li a poco rivoluzionato l’intera società umana.

Solo per farci un’idea: il primo aeroplano, il Flyer dei Fratelli Wright, spiccherà il suo volo solo nel 1903 ev. Nel giugno del 1896 e.v. Guglielmo Marconi (quasi coetaneo del Maestro Therion - 1874 e.v.) per primo deposita il brevetto d’un sistema di telegrafia senza fili, mediante il quale, nel dicembre del 1901 e.v., invia segnali attraverso l’Atlantico. Nasce così la radio.

Sempre nel 1900 e.v. Max Planck annuncia la sua “teoria dei quanti” che, insieme alla “teoria della relatività speciale” che Einstein divulgherà nel 1905 e.v. (ad un anno dalla dettatura a Crowley del Libro della Legge), andranno a costituire le colonne portanti della fisica moderna.

Sullo sfondo di questo panorama di società umana destinato ad un radicale mutamento, forse il più grande da quando la storia ha iniziato ad effettuare le sue registrazioni, si colloca appunto l’inizio dell’avventura spirituale del Maestro Therion. Un’avventura che sarà deputata a cristallizzarsi e a definirsi totalmente intorno alla “Rivelazione del Cairo”, l’evento che ha sancito la fine dell’Eone Osirideo e le sue formule realizzative, pregne di dogmatismo, superstizione, tabù, irrazionali rigori morali, e dove la scienza è stata spesso sottomessa alla religione, in favore dell’epoca veloce e violenta, ultradinamica, del Figlio Coronato e Conquistatore, di Ra-Hoor-Khuit.

Questa figura simbolica di “divinità”, definita di “Guerra e di Vendetta”, si propone quale distruttrice di tutto ciò che precedentemente ha costretto l’uomo alla remissione spirituale, limitando la sua libertà e dignità attraverso il timor di Dio e il terrore del Diavolo e con le categorie morali del bene assoluto e del male assoluto.

Ra-Hoor-Khuit presenta all’uomo moderno la visione di un palcoscenico esistenziale totalmente differente, in cui, ad ogni dualità concepibile, va assegnato un valore relativo e non assoluto, funzionale alla transitorietà dell’esperienza dell’incarnazione. E con i categorici concetti morali di bene e di male Egli abolisce quindi anche la farsa teologica centrata sull’idea del “Peccato”.

La relatività delle cose è quindi un tema decisamente interessante sul quale si coagula la ricerca spirituale del Thelemita poiché lo pone, nell’osservazione di ogni fenomeno, in una posizione di miglior comprensione sia di se stesso che dell’Universo in cui è manifestato, proponendogli un approccio epistemologico che, come vedremo, sarà la base sulla quale stabilirà la sua Magia.

E se Einstein, in altro modo, aveva espresso nella sua celebre “teoria” questa idea, è straordinario osservare come il grande filosofo Giacomo Leopardi, vissuto prima della nascita di Crowley, avesse colto in anticipo questo moderno principio esprimendolo già nel 1822 e.v. nello Zibaldone:

Ella è cosa certa e incontrastabile. La verità, che una cosa sia buona, che un’altra sia cattiva, vale a dire il bene e il male, si credono naturalmente assoluti, e non sono altro che relativi. Quest’è una fonte immensa di errori e volgari e filosofici. Quest’è un’osservazione vastissima che distrugge infiniti sistemi filosofici ecc.; e appiana e toglie infinite contraddizioni e difficoltà nella gran considerazione delle cose, massimamente generale, e appartenente ai loro rapporti. Non v’è quasi altra verità assoluta se non che Tutto è relativo. Questa dev’esser la base di tutta la metafisica”.

Ora, il Liber AL vel Legis, autorevole e sacra espressione dello spirito del Nuovo Eone, non solo sostiene questa “relatività delle cose”, ma proclama all’uomo un Metodo di “realizzazione spirituale” in grado di collocarlo al centro del suo universo, facendo coincidere la concezione di Dio con il concetto di Vero Sé, di Sé Superiore, e dove la realizzazione della Volontà di questo Nucleo quintessenziale diviene il Supremo Diritto di ogni individuo, non esistendo al di fuori dell’uomo nessun altro dio al quale doversi prostrare, accettandone così passivamente la presunta superiore volontà.

E infatti il Libro della Legge afferma con grande enfasi e precisione che:

“Io sono solo: non c’è Dio dove io sono” (II, 32).

A tale proposito il Commento di Crowley a questo verso ammonisce:

Ammettere Dio è guardare verso Dio e così non essere Dio. La maledizione della dualità”.

E poi significativamente prosegue: “Quando si comprende la propria Verità, non vi è spazio per qualunque altra concezione. Significa anche che il concetto di Dio deve andare con le altre reliquie della Paura nata dall’ignoranza nel limbo delle barbarie”.

Se adesso consideriamo invece il Liber OZ, definito tecnicamente come “lo statuto dei diritti dell’Uomo” così come evinti dal Liber AL, troviamo un’ulteriore enfasi conferita a quanto evidenziato, e infatti in esso leggiamo:

“Non c’è dio al di fuori dell’uomo l’Uomo”.

Queste esternazioni, così precise e categoriche nel loro significato, ci introducono immediatamente ad una visione paradigmatica di Thelema di sostanziale importanza, poiché stabilisce un tratto di questa Via Realizzativa fondamentalmente “a-teo” seppur, come vedremo, profondamente “spirituale” negli scopi e assolutamente scientifico nei metodi.

Fu per questo motivo che Aleister Crowley, quando nel 1909 e.v. iniziò la pubblicazione di The Equinox, la “rivista” che doveva rappresentare la voce dell’AA verso il mondo — e che propose significativamente come la “Rivista dell’Illuminismo Scientifico” — volle prendere le distanze dalle consuete e obsolete concezioni della Magia e del Misticismo più retorico, considerate eccessivamente caratterizzate dalla presenza di retaggi superstiziosi e da principi fideistico-religiosi e sovrannaturali. Fece questo realizzando un motto di grande rilievo pratico per il suo novello Ordine: “Il metodo della Scienza, lo scopo della Religione”.

Da allora, questo Motto ha contraddistinto l’intera sostanza di Thelema in ogni suo più piccolo risvolto.

Perciò, considerando attentamente quanto detto, possiamo ben comprendere come l’applicazione della Legge, che è “Fa’ ciò che vuoi, sarà tutta la Legge”, richieda, lungo tutto quel complesso e travagliato percorso che deve portare a comprendere Sé stessi quali individui unici, regali e assoluti, dotati di una Volontà esclusiva e inalienabile, la costante e coerente adesione a quella linea guida tracciata, a quel modus operandi.

Di fatto, l’ateismo di Aleister Crowley è un ateismo che non priva l’uomo di una visione trascendente dell’esistenza, di un percorso Mistico verso la Conoscenza. E in verità, in alcuni suoi scritti, egli definisce Thelema come la Via dell’Ateismo-Spirituale.

In determinati aspetti la sua concezione si avvicina a quella del grande poeta inglese Percy Bysshe Shelley il quale, nel suo libro “La Necessità dell’Ateismo” (opera che gli procurerà l’espulsione da Oxford) afferma che la non esistenza di Dio, o degli dei, non preclude “l’ipotesi di uno Spirito pervadente coeterno con l’universo”. Tuttavia l’idea del Maestro Therion va ben oltre.

Infatti, invece di suggerire uno “Spirito pervadente” o una qualche altra discutibile affermazione di carattere metafisico, egli si accontenta, attraverso molti suoi scritti, di collocare lo “spirito divino” nell’umanità e nella volontà dell’uomo, abolendo la necessità di parlare di questo spirito come qualcosa di separato dall’Uomo.

Ma questo concetto è esattamente quello che abbiamo considerato prima in relazione al verso II, 32 del Libro della Legge, verso che proclama esattamente l’Uomo quale unica e sufficiente divinità del suo Universo.

 

Nel suo “Trattato Sul Numero”, pubblicato in The Equinox Vol.I, n°5, Crowley afferma che esistono tre tipologie di atei: La prima la descrive come quella del “Puro Stupido”, il quale, sebbene di una certa intelligenza, non ha la capacità di guardare oltre i limiti della sua prospettiva.

La seconda, la definisce quella del “Misero Disperato”, il quale cerca Dio, ma non riesce a trovarlo.

La terza categoria è infine quella che egli sottoscrive: questo ateo è “l’Adepto Filosofico, il quale, conoscendo Dio, dice ‘Non c’è Dio’, volendo dire che ‘Dio è Zero’, come qabalisticamente Egli è”.

Nel descrivere questa terza tipologia, più avanti nel “trattato”, Crowley sostiene che questo “Adepto Filosofico”, questa tipologia di ateo, quando afferma che “Non c’è Dio” afferma la sua aspirazione al “Non”, ovvero al “Nessuno”, al “Nulla”, vale a dire alla coscienza non duale, che in termini qabalistici è il trascendimento dell’Albero della Vita stesso, il Velo dell’Aiyn Soph, che nella nostra Corrente è rappresentato dalla Dea Nuit, espressione dell’annichilimento di qualunque forma di Dualità.

Perciò l’Uomo, a cui si rivolge il Libro della Legge nel verso citato prima, è sostanzialmente proprio “L’Adepto Filosofico”, il quale ha l’esigenza spirituale di rendersi conto di questa sua identità divina. Ecco che allora l’Uomo, quando agisce secondo il punto di vista della non-dualità, senza attaccamento nei confronti del risultato delle sue azioni, inizia a compiere la sua Vera Volontà e diviene realmente Dio.

In breve, proprio attraverso l’atto di Volontà, emancipato dalla dualità e dal suo seguito di “brama di risultato”, che rappresentano un vero e proprio ostacolo verso qualsiasi conseguimento, ogni individuo non può che raggiungere quella ideale condizione di “ateismo” descritta da Crowley nella terza tipologia.

Va da sé che, realizzando in questo modo la sua volontà, l’uomo non dovrà adorare o riporre alcuna fede in ipotesi discutibili o in entità sovrannaturali. Le sue azioni dovranno scaturire perciò da un reale stato di coscienza in cui egli si percepisca come “dio”, ed eliminando completamente, in questo modo, il concetto di “dio” dal suo universo.

In sostanza, quindi, la necessità che viene sostenuta in Thelema e nella sua Magia, è la determinazione a superare la umana tendenza a credere in un Dio separato ed esterno all’uomo, come pure a degli “dei” intesi quali enti dotati di caratteristiche e poteri divini. Si tratta, di fatto, di un superamento simile a quello sostenuto da Friedrich Nieztsche quando dichiarò per la prima volta, nel suo “la Gaia Scienza”, e successivamente in “Così Parlò Zaratustra”, che “Dio è morto”, ingiungendo ai lettori di ‘sgominare l’ombra di Dio che ancora si annida su tutte le cose,  di “sdeificare” la natura’ (da “La Gaia Scienza).

Purtroppo, dobbiamo ammettere che tutt’oggi quest’ombra è ancora troppo presente in noi, e persiste in molte forme di credenza: Dei, spiriti, il sovrannaturale ecc. — tutte forme del non-fisico come qualcosa di separato dal fisico, vale a dire: forme di dualismo!

Ora, quando Aleister Crowley decise di affrontare con questa mentalità il soggetto della Magia, si rese conto che era necessario distaccarsi da tutto quanto era stato accolto per magia fino a quel tempo. C’era la necessità di inquadrare il soggetto sotto una nuova legge, più moderna e adeguata alle scoperte scientifiche del suo tempo.

In una nota nel suo libro Magick (pag. 170 dell’edizione italiana) Crowley scrive:

“In un certo senso, la Magia può essere definita come il nome dato dal volgo alla Scienza”.

 

Per questo motivo, non volendo abbandonare questo termine, che tradizionalmente stava davvero ad indicare la scienza dei Magi, ovvero la Scienza dei Grandi Saggi dell’antichità, ma desiderando fortemente scostarsi da qualsiasi implicazione con le più comuni e becere interpretazioni superstiziose e pseudo-religiose dell’argomento, Crowley aggiunse una K alla fine del termine inglese — Magick — per indicare, secondo un preciso riferimento qabalistico, il superamento del sistema, ovvero “l’andare oltre”, essendo la lettera K l’undicesima lettera di molti alfabeti, e significando così l’Uno oltre il Dieci — numero, quest’ultimo, rappresentante le Sfere complessive dell’Albero della Vita.

Naturalmente esistono anche altre motivazioni che giustificano la scelta della K quale lettera distintiva del nuovo concetto di Magia inaugurato da Crowley. Tuttavia, non è scopo di questa mia trattazione affrontare questi aspetti così tecnici e fuorvianti rispetto all’intento del tema dell’articolo.

Dunque, così concepita, la Magia del Nuovo Eone di Horus aveva bisogno di una definizione che si accordasse al tenore filosofico, spirituale e scientifico richiesti dai versi del Libro della Legge, soprattutto in accoglimento dell’ingiunzione del v. 58 del I° Capitolo, “Io do inimmaginabili gioie sulla terra; certezza, non fede, durante la vita, sopra la morte ...”, verso che di fatto fa emergere prepotentemente la necessità, da parte dell’Iniziato del Nuovo Eone, di affrontare meticolosamente i temi filosofico-spirituali della fede e del dubbio e di definire i contorni etici e pragmatici entro i quali collocare la sua “certezza”.

Tale definizione venne formulata da Crowley per la prima volta nel suo celebre Book 4, libro che egli realizzò a Posillipo, a Villa Caldarazzo, nell’inverno tra il 1912-13 e.v. in collaborazione con Mary d’Este Sturges (Soror Virakam).

Qui leggiamo: “La Magia è la Scienza e l’Arte di causare cambiamenti in conformità con la Volontà”.

Quindi, ottenere dei cambiamenti relativi al proprio essere e al proprio ambiente diviene realmente possibile se si agisce osservando il canone del rispetto della propria Vera Volontà. Cos’è allora questa Vera Volontà? Anche in questo caso, si potrebbe dedicare un intero articolo solo a questo argomento, ma vedrò di sintetizzare la questione.

Potremmo affermare che la Vera Volontà è quella richiesta profonda del Sé di aderire completamente alle sue peculiare necessità, precedenti ad ogni condizionamento, e perfettamente in sintonia con le necessità di ogni altra Vera Volontà. Questa richiesta, passando attraverso i filtri del subconscio e della volontà conscia, generalmente non emerge oppure, se emerge, viene spesso soffocata dalle pretese della volontà conscia, capricciosa e condizionata.

La Vera Volontà potrebbe perciò essere considerata come un’espressione energetica della coscienza individuale che, quando decodificata e imposta alla propria volontà conscia è in grado di interagire perfettamente con ogni altro campo energetico esistente provocando dei mutamenti nella sfera del sensibile.Tali mutamenti saranno perciò del tutto possibili e compatibili con la natura dell’evento ricercato e con le leggi fisiche universali, prima fra tutte la “legge di conservazione dell’energia”.

 

Quest’ultima nozione, che generalmente sarà stata appresa a scuola o all’Università — come non ricordare il postulato fondamentale del grande fisico-filosofo Lavoisier, “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma — è molto importante per il Mago Illuminista-Scientifico di Thelema, e merita di essere ricordata.

La “legge di conservazione dell’energia” afferma che la quantità totale di energia di un sistema isolato è costante. Tutte le forme di energia possono essere trasferite da un corpo ad un altro oppure trasformate da una forma di energia all’altra, tuttavia la somma totale dell’energia prima e dopo la trasformazione è sempre la stessa. La legge di conservazione dell’energia può essere così coagulata nella seguente espressione di reale tenore magico:

“L’energia si trasforma, non viene né creata, né distrutta”.

Tenendo ben presenti queste condizioni, possiamo allora intuire perché Aleister Crowley, sempre in Magick, abbia enunciato specifici teoremi profondamente significativi, relativi all’applicazione della Vera Volontà, che andrebbero meditati con attenzione al fine di afferrare il senso più vero del nostro sistema di Magia.

A titolo esemplificativo ne citerò solo alcuni che si accordano perfettamente alla legge di conservazione dell’energia a cui ci siamo riferiti:

 

— Il primo requisito per causare un qualunque cambiamento è la completa comprensione qualitativa delle condizioni.

— Il secondo requisito per causare qualunque cambiamento è la capacità pratica di mettere in moto nel modo esatto le forze necessarie.

— Un uomo il quale fa la sua Vera Volontà ha dalla sua l’inerzia dell’Universo che lo assiste.

— La scienza ci permette di approfittare della continuità della Natura mediante l’applicazione empirica di certi principi la cui interazione comporta differenti ordini di idee, connessi l’uno con l’altro in un modo che sta al di là della nostra attuale capacità di comprensione.

— Ogni forza dell’Universo può venire trasformata in un’altra specie di forza, ricorrendo a mezzi adatti. Vi è quindi una scorta inesauribile di ogni particolare specie di forza che può servirci.

 

Quindi, alla luce di quanto detto, si può senz’altro concludere che la Vera Volontà, così debitamente intesa, debba essere veramente considerata come la capacità di “Comprendere Sé stessi e di applicare tale comprensione all’azione”, e che tale Comprensione transita necessariamente attraverso la rielaborazione di un concetto cardine della spiritualità, vale a dire quello di Anima, o Sé Superiore, o Vera Natura o, molto più precisamente, di Khabs, in quello di “Energia Autocosciente”.

Questa “Energia Autocosciente” è, di fatto, l’essenza eterna dell’Uomo, il solo e unico nostro elemento in grado di sperimentare il concetto di “continuità dell’esistenza” in rapporto al significato del verso 26 del I Capitolo di del Liber AL vel Legis:

Tu sai! E il segno sarà la mia Estasi, la consapevolezza della continuità dell’esistenza, l’inframmentario fatto non-atomico della mia universalità”.

 

Di conseguenza, scoprire la propria Vera Volontà e realizzarla potrà significare, in un certo qual modo, avere accesso a questa “Energia Autocosciente” e riuscire ad ottenerne l’attivo supporto, senza più il blocco o il filtro dalla mente conscia. Si tratta insomma di disporre di quella Energia per utilizzarla nella direzione congeniale all’ottenimento degli scopi relativi alla sua specifica manifestazione, traducendoli in una perfetta armonia di azioni-reazioni sul piano fisico-esperienziale dell’esistenza.

Il Mago dell’Eone di Horus, il Thelemita, vero Scienziato Illuminista, deve quindi imparare ad osservare ogni fenomeno dell’Universo come modalità attraverso le quali si esprime l’Energia, e riuscire ad entrare in relazione con queste Energie nel rispetto delle leggi fisico-chimiche-matematiche che le regolano.

Quel grande genio dell’età moderna che è stato Einstein sosteneva che:  Tutto è Energia, e questo è tutto quello che Esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella Realtà. Non c’è un’altra via. Questa non è filosofia. Questa è Fisica”.

 

Quindi, se è necessario un atteggiamento illuministico-scientifico per approcciare la realtà della Magia di Thelema, dobbiamo essere disposti ad abbandonare totalmente quelle tendenze, spesso spontanee, che incoraggiano fede e dogma quali criteri utili alla propria ricerca spirituale, ammantandoli dell’ammaliante fascino del “mistero” e del “sovrannaturale”.

Nell’introduzione a Magick, Soror Virakam avverte il lettore:

Frater Perdurabo [Crowley] è il più onesto di tutti i grandi maestri spirituali. Altri hanno detto ‘Credetemi’. Egli dice: ‘Non credetemi!’. Egli non cerca seguaci: li disprezza e li rifiuta. Egli vuole una schiera indipendente e autosufficiente di discepoli che realizzino metodi propri di ricerca...

Tale ammirevole affermazione è riscontrabile in molte trattazioni di Crowley, e il valore del Dubbio, il Dubbio onesto, contrapposto alla Fede cieca, si è imposto perciò come tema centrale del paradigma di Thelema. Si può così affermare che, se volessimo pensare a delle Virtù emblematiche da assegnare al Thelemita, queste potrebbero essere: Dubbio, Splendore (o Bellezza) ed Estasi.

Il Dubbio, quale virtù, è quella trepidazione di carattere squisitamente etico che si associa alla grande curiosità tipica di ogni vero ricercatore, in qualsiasi ambito. È l’ingrediente fondamentale di quella spinta dinamica che evita la stagnazione, e quindi il limite, la Restrizione, che nel Libro della Legge è l’unico vero “peccato” che l’Uomo può commettere (“La Parola del Peccato è Restrizione” — I, 41).

Il Dubbio rappresenta pertanto quel legittimo “Perché” che, soprattutto il Ricercatore dello Spirito, deve sentir sempre sorgere spontaneo nel suo procedere e che non deve mai esaurirsi nemmeno di fronte alle più sublimi risposte. Infatti, ogni risposta rappresenta, ovviamente, una parziale visione della verità, un tentativo da parte della mente di accontentarsi di una spiegazione, o di imporre una spiegazione accettabile, al fine di contenere l’insoddisfazione del riconoscimento della relatività delle cose.

Ma questa risposta rappresenta altresì il bisogno dell’Ego di poter stabilire, in accordo alla mente, ovvero alla Ragione, una solidità alle sue comode e funzionali certezze. È la spiegazione sulla quale poter riposare.

Potremmo paragonare questo concetto a quello di “descrizione del mondo” insegnato da Don Juan a Castaneda. Per Don Juan, infatti, la realtà del nostro quotidiano consiste in un interminabile flusso di interpretazioni percettive che ognuno di noi, individualmente, nel condividere una specifica appartenenza, ha gradualmente imparato a trarre allieneandosi così alle descrizioni/risposte più facili e comode per il suo quieto vivere.

Nel Libro della Legge tutto questo viene affrontato con molta forza nei versi dal 27 al 32 del II Capitolo, giungendo, nel verso 33, ad una violentissima e perentoria dichiarazione: “Basta di Poiché! Che sia dannato come un cane!”.

Va notato, per inciso, che l’utilizzo in seno a questi versi dei termini Why (Perché) e Because (Poiché) è assolutamente intenzionale e funzionale in relazione alla rappresentazione della dinamica “Domanda e Risposta”, ovvero, di “Lecita Curiosità” da una parte e di “Pretesa di Saccente Soddisfazione della Curiosità”, ovvero di “Spiegazione/Descrizione”, dall’altra.

A questo proposito, ne “La Legge è per Tutti” Crowley scrive nel suo Commento:

Diffida di ogni spiegazione, qualsiasi essa sia. Disraeli disse: ‘Non invitate mai a cena chi deve ricevere una spiegazione’. Tutte le spiegazioni si propongono di nascondere menzogne, ingiustizie, o vergogne. La Verità è radiosamente semplice”.

 

Naturalmente, come si può facilmente intuire, la condanna è rivolta alla “Saccente Spiegazione”, al “Poiché”, proposti come termini finali di questioni non sostenute e sottoponibili a prova sperimentale, ma con pretesa di autorevolezza, come “certezze” intellettualmente indiscutibili. Non si tratta perciò di “ipotesi di lavoro”, che per altro dovrebbero sempre includere in partenza il presupposto che “tutto è relativo” e nulla è assoluto. Si tratta al contrario di quel genere di “spiegazione” che non ammette il legittimo e onesto Dubbio ma richiede una sorta di fede.

Questo è il tipico atteggiamento di chi segue una religione, di chi, appunto, è incline alla superstizione e al pregiudizio. Ed è stato, e purtroppo lo è ancor oggi, l’atteggiamento di chi si è approcciato all’esoterismo, alla magia e, in certi casi, a Thelema stessa.

Tuttavia, Crowley, dotato di un maggior ottimismo rispetto ad Einstein, il quale sosteneva che è più facile spezzare un atomo che rompere un pregiudizio, si è sforzato, nel suo insegnamento, nel suo proporre Thelema quale “metodo della scienza e scopo della religione”, di respingere con forza questo atteggiamento condannando con molta chiarezza la fede quale strumento di emancipazione spirituale.

Eloquente è ciò che egli scrive in “Magia senza Lacrime” :[1]

Fede...: La facoltà di credere in ciò che sappiamo essere non vero. È quanto meno l’accettare per vera un’affermazione senza sottoporla a critica, ad esame, a verifica, o a qualunque altro metodo di prova. La fede di questo tipo è evidentemente il sintomo principale del ritardato mentale, dell’imbecille, dello scemo del villaggio. È il tipo di fede sul cui possesso ed esercizio i religiosi insistono quale principale condizione per la salvezza”.

 

L’approccio alla magia che Crowley ci suggerisce si basa perciò su criteri che, esenti dal pregiudizio, si prefiggono lo studio e la verifica sperimentale dei fenomeni partendo dalle cause che li hanno prodotti, per poi riprodurli in modo controllato e conveniente, ma senza assegnare a questi una definizione categorica e settaria.

Si tratta, sostanzialmente, di assumere una mentalità estremamente lucida e aperta verso l’osservazione attenta e distaccata di quanto siamo in grado di provocare in noi e all’esterno di noi attraverso l’utilizzo dei più disparati “strumenti”, (simboli, suoni, odori ecc.) manipolando e trasformando, di fatto, i campi energetici nei quali siamo immersi e penetrando a volte, probabilmente, nel tessuto spazio-temporale di quel “multiverso” sostenuto dalle teorie più avanzate della fisica relativistica e quantistica.

E tutto questo senza dimenticare che la nostra mente è un laboratorio poderoso di certi processi, ancora poco chiari e misconosciuti, in grado di generare effetti psico-fisici di incredibile portata. Forse è questa la ragione che indusse Crowley a scrivere nella sua Introduzione alla Goetia[2] che “Gli spiriti della Goetia non sono altro che porzioni del cervello. I loro sigilli, perciò, rappresentano dei metodi di stimolazione di quei punti (attraverso la vista)”.

E per rendere ancora più chiaro questo argomento, nel capitolo di Magick dedicato alla teoria magica dell’Universo egli scrive:

... quando diciamo che Nakhiel è l’ ‘Intelligenza’ del Sole, non intendiamo affermare che vive nel Sole, ma semplicemente che ha un certo rango e un certo carattere, e benché possiamo invocarlo, non intendiamo necessariamente dire che esista nello stesso senso della parola in cui esiste il nostro macellaio. Quando ‘evochiamo Nakhiel in apparizione visibile’, può darsi che il nostro processo sia in realtà più simile alla creazione, o meglio all’immaginazione, che non ad un’evocazione vera e propria. L’aura di un uomo viene chiamata ‘specchio magico dell’universo’ e, a quanto pare, si può affermare che al di fuori di tale specchio non esista nulla. È quindi preferibile rappresentare il tutto come se fosse soggettivo: si fa minor confusione. E poiché ogni uomo è un perfetto microcosmo, è facilissimo rimodellare in ogni momento la propria concezione”.

Attraverso queste citazioni ci stiamo certamente accorgendo di quanto ci si stia allontanando dalle vetuste interpretazioni dei fenomeni della Magia a cui eravamo avvezzi. E questa distanza tende ad accrescersi via via che ci introduciamo con sempre maggior attenzione negli scritti più maturi di Crowley, facendoci accorgere di quanti commenti egli abbia realizzato su questo argomento con lo scopo di demolire la vecchia concezione “sovrannaturale” della magia.

Il suo scetticismo in merito a quelle credenze infarcite di demoni, angeli, spiriti la cui natura era considerata concreta e correlata per diverse ragioni alla nostra, emerge veramente molto spesso nelle sue esternazioni, confermando che il dubbio sull’oggettiva esistenza di questi esseri (almeno come tradizionalmente ipotizzati) costituiva il punto focale del sistema magico Thelemico da lui sostenuto.

Per esempio, consideriamo il capitolo LXXI di Magia Senza Lacrime. Qui troviamo un’altra decisa conferma alla volontà di Crowley di far chiarezza su questo argomento. Infatti, ad un certo punto della lettera alla Soror a cui si rivolge, egli sembra alzare la voce per ammonirla:“Tu dici che ‘gli spiriti elementali e gli Arcangeli ci osservano’. (!) Mia cara, cara sorella, hai inventato tutti questi esseri per nessun’altra miglior ragione che spiarti? Essi ci sono per servirti; essi sono parti del tuo essere la cui funzione è quella di porti in grado di procedere oltre in una particolare direzione o in un’altra senza interferenza delle altre parti, nel caso tu avessi bisogno di loro per un servizio o per l’altro nella Grande Opera.

Qui Crowley afferma chiaramente che gli spiriti sono stati “inventati” dal praticante, e che sono rappresentazione di parti dell’essere dello stesso praticante. Crowley manifesta, in questo scritto, un’evidente incredulità sul fatto che lei possa averli inventati per poi pensare di esserne spiata. Viene ribadita con forza la natura endogena di questi “esseri”, di queste categorie di “energie” disponibili al controllo e all’utilizzo del praticante, dell’Iniziato, del Mago.

Mi si conceda un’ultima efficace citazione a corona e completamento del discorso intrapreso. Mi avvalgo ancora una volta di quel capolavoro della letteratura Thelemica ed esoterica costituito da Magick. In quello che sto per proporre troviamo riassunto e sintetizzato il senso più emblematico di quanto descritto e analizzato fin’ora:

“In questo libro si parla di Sephiroth e delle Vie, degli Spiriti e delle Evocazioni; degli Dei, delle Sfere, dei Piani e di molte altre coseche possono o non possono esistere. Che esistano o no non ha importanza. Facendo certe cose si ottengono certi risultati; gli studenti debbono guardarsi dall’attribuire realtà oggettiva o validità filosofica a qualsiasi di essi.” (Liber O vel Manus et Sagittae).

Non mi pare fuori luogo sostenere che questo passaggio presenti, in una forma molto pratica ed immediata, il criterio metodologico dell’AA così come desunto dal suo motto “il metodo della scienza, lo scopo della religione” per l’utilizzo “in campo” del Thelemita. Oserei dire, una sorta di appunto da tenere sempre a memoria!

Sostanzialmente, con molta concretezza, allo studente viene suggerito di:

 

— Fare una cosa (mettere in atto l’esperimento).

— Osservare e registrare ciò che accade.

— Trarre delle conclusioni (senza valore di assolutezza)

 

Nell’adottare questa linea di condotta sarà anche molto utile e saggio ricorrere a quanto eloquentemente enfatizzato dal Liber CDXVIII, La Visione e la Voce, nel 9° Aethyr:[3]“Benedetto tu sia, che hai veduto, ma che tuttavia non hai creduto”.

Quindi, con questa enfatica proposizione, siamo tornati ancora una volta al tema del Dubbio quale strumento di valutazione e critica delle nostre osservazioni, dei nostri risultati, delle nostre convinzioni. Non si tratta ovviamente di uno scetticismo nichilista, di un atteggiamento squilibrato incapace di concedere un senso e una direzione alla propria ricerca. Al contrario, è lo stimolo che non affossa, è una dinamica progressione verso obiettivi sempre nuovi e inimmaginati. È l’elemento che, di fatto, esprime la più gioiosa, libera e intelligente ambizione del nostro Sé, della nostra Vera Volontà.

Applicare il Metodo del Dubbio alla Magia di Thelema significa dimostrare realmente il proprio autentico desiderio di pervenire alla Conoscenza. Il Thelemita fa questo consapevole che la Magia non è in grado di produrre alcun “miracolo”, né può violare le leggi fisiche dell’Universo — per esempio non si può causare un’eclisse, né spegnere il Sole — sebbene sia teoricamente possibile produrre in un oggetto qualsiasi cambiamento quell’oggetto possa realizzare per sua natura.

Inoltre, in linea con il Metodo del Dubbio e con la mentalità Scientifico-Illuminista che Crowley si sforzò di insegnare, il Thelemita sa che “teoricamente” non esiste nessun fenomeno, nessun “mistero”, nessun “effetto speciale” che prima o poi, in un qualunque futuro possiamo immaginare, non possa essere spiegato. E sa anche bene che tutto è soggetto alle stesse leggi di causa-effetto le quali, fisicamente e chimicamente, non permettono la creazione di alcunché. Tutto ciò che esiste, in uno stato o nell’altro, in una dimensione o nell’altra, non può essere alterato in quantità da nessuna magia.

Come sosteneva il poeta e filosofo latino Lucrezio nel suo De Rerum Natura: “Ex nihilo nihil fit”, vale a dire “Nulla viene dal nulla”. Se sottoponiamo questa locuzione al confronto con le nostre moderne conoscenze della fisica, non possiamo non accorgerci che Lucrezio, oltre 2000 anni or sono, stava enunciando la “legge di conservazione dell’energia” che abbiamo considerato prima!

Quindi nemmeno un ipotetico Dio, inteso religiosamente quale creatore di tutte le cose, potrebbe alterare questa legge dell’ordine universale delle cose, del loro equilibrio, altrimenti ci troveremmo di fronte ad un paradosso scientifico capace di annichilire tutti i fondamenti fisico-matematici e chimici che reggono la struttura dell’Universo, conducendo lo stesso ad un’inesorabile caos auto-distruttivo. È di fatto, tertium non datur, un limite all’Onnipotenza di quell’ipotetico Dio, e perciò è una dimostrazione della sua inesistenza.

Queste idee apparivano già con grande evidenza nella filosofia greca. Che una quantità materiale possa sorgere dal nulla appariva agli Ellenici così impensabile che gli stessi pensatori, i quali, come Platone, ammettevano un inizio del mondo, parlavano di “Continuo di un Ordinatore” ma mai di un Creatore della materia. Ed anche in numerose altre asserzioni di antichi filosofi appare chiaramente evidente l’idea della conservazione della sostanza, della conservazione dell’energia. Allo stesso modo Kant, nella “Critica della Ragion Pura”, ha sostenuto qualcosa di simile notando che dall’ordine delle cose si può al massimo dedurre l’esistenza di un ordinatore, e quindi di un demiurgo più che di un creatore. Come dire, in versione più moderna, che esiste un programmatore più che di un costruttore di computer.

Avviandomi verso l’epilogo dell’articolo, ed avendo appena richiamato all’attenzione il concetto esemplare di Thelema, ovvero che “Non c’è Dio al di fuori dell’uomo”, ritengo interessante citare un passaggio estrapolato dal Liber DCCCLX, Giovanni San Giovanni,[4] a mio avviso indubbiamente illuminante, in cui Crowley chiarifica in modo estremamente scrupoloso e franco la sua posizione in relazione ai temi di Dio, della Magia e dell’atteggiamento di quanti si incamminano seriamente verso i più alti Conseguimenti dell’Iniziazione in Thelema:

. . . Colgo ulteriormente l’occasione per asserire il mio Ateismo. Credo che tutti questi fenomeni siano tanto spiegabili quanto la formazione della brina o dei tavolati di ghiaccio. Penso che il “Conseguimento” sia un semplice supremo e sano stato del cervello umano. Non credo nei miracoli; non credo che Dio possa far si che una scimmia, un ecclesiastico, o un razionalista possano giungere al conseguimento.

Mi sto accollando tutte queste pene del Diario principalmente nella speranza che esso riesca a mostrare con esattezza quali condizioni mentali e fisiche precedono, accompagnano e seguono il “conseguimento”, così che altri possano riprodurre, attraverso queste condizioni, quel Risultato.

Credo nella Legge di Causa ed Effetto — e detesto i luoghi comuni sia del Superstizioso che del Razionalista”.

 

In conclusione, consapevole della delicatezza e della complessità del tema affrontato, mi auguro di aver offerto al lettore una più nitida e lucida visione del sistema psico-spirituale e magico di Thelema, così come insegnato da Aleister Crowley, e di essere stato, quindi, sufficientemente capace a dirimere eventuali fraintendimenti concettuali e metodologici relativi al soggetto. Confido, quanto meno, nell’esito positivo della mia volontà di far emergere il pregio del rivoluzionario insegnamento di Crowley.

Di fatto, la finalità di questo mio articolo era sostanzialmente tesa ad evidenziare quale enorme distanza esista fra Thelema e tutto quell’eterogeneo mondo esoterico-religioso che riposa ancora su concetti interpretativi della Magia e del Trascendente caratterizzati da chiavi di lettura quanto meno “medioevali” e romantiche e che, dogmatizzandone le nozioni, rimane invischiato in esse per timore di profanare, nel migliore dei casi, la “tradizione”.

Naturalmente, non avendo in tasca la chiave della “verità” e cosciente della natura relativa e contraddittoria sia delle idee che del linguaggio, mi renderò sempre disponibile ad una eventuale rilettura delle mie convinzioni, benché, almeno per chiarezza nei riguardi di chi mi legge, devo dire che esse non sono maturate solo e unicamente in virtù dei miei studi, quindi di elaborazioni intellettuali, di ipotesi e “teorie” ma, soprattutto, delle mie esperienze più dirette lungo quell’infinito percorso di Ricerca della Conoscenza che teoricamente e tecnicamente dovrebbe condurre alla realizzazione de “La Grande Opera”.

Ma il Dubbio, sul quale ci siamo abbondantemente soffermati, continua ancor oggi a rivelarsi il motore del mio entusiasmo più vero e sincero in questo viaggio infinito verso la “Verità” . . . se mai essa esista davvero!

 

Perciò, reputo necessario terminare con la citazione di questi significativi ed emblematici versi estrapolati da “Lo Scarabeo Alato” e dal “Libro delle Menzogne” (naturalmente di Aleister Crowley) che mi paiono un utile contributo al senso dell’articolo:

“Sul sipario dellʼAnima

È scritta questʼunica certezza, che nulla è certo.[5]

 

“Dubita.

Dubita di Te stesso

Dubita persino se dubiti di te stesso.

Dubita di tutto

Dubita persino se dubiti di tutto”.[6]

Amore è la legge, amore sotto il dominio della volontà.



[1]. Cap. 67, pag. 400. Edizione italiana a cura del S.O.T.V.L., Marzo 2012 e.v.

[2]. Edizione italiana a cura del S.O.T.V.L.. Febbraio 1995 e.v.

 

[3]. Edizione italiana a cura del S.O.T.V.L., Agosto 1997 e.v.

 

[4].  Pubblicato in italiano sulla rivista LAShTAL Anno XX n°1 e n°2, ed. S.O.T.V.L.

 

[5].The Winged Beettle (Lo Scarabeo Alato), Aleister Crowley (1910 e.v.)

 

[6]. The Book of Lies (Il Libro delle Menzogne), Aleister Crowley (1913 e.v.). Di prossima pubblicazione in italiano nelle edizioni del S.O.T.V.L.

  

 
   
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