Il Riparatore

Nicolaus

www.martinismo.it

 

 

Il Riparatore implica il concetto di errore da riparare, e così è.

L’errore è stato compiuto quando l’umanità, ADAMO KADMON, era seconda solo a Dio, provocando la creazione di questo nostro Universo molteplice nel quale è dovuta discendere, colpevole partecipe della vita che evolvendosi in tempi eterni si è infine proiettata nell’uomo attuale, la più elevata manifestazione della materia creata ed al tempo stesso la più bassa entità in cui sia la presenza consapevole di Dio.

E le molteplici creature umane che ne sono derivate, pur se identiche tra loro come natura, sono tutte diverse come qualità e capacità di riscoperta della propria origine.

Solo lo scorrere sempre eterno del tempo ed il ripetersi delle nascite potrà riunificare le qualità ed il genere umano secondo la legge del Karma.

Ma solo un grande eterno sacrificio commisurabile all’errore compiuto potrà mai consentire la reintegrazione del culmine della evoluzione della vita nella sua dignità iniziale di ADAMO KADMON.

Errore compiuto quando l’umanità era Dio, solo da un Dio può essere riparato.

Ma la Reintegrazione dell’uomo, la riparazione dell’errore, solo dall’uomo può essere chiesta, né prima dell’uomo perché non vi è consapevolezza di Dio, né dopo l’Uomo perché non esiste un dopo senza Dio.

Ecco quindi la duplice condizione della riparazione: essere eseguita con il sacrificio perenne di un uomo che al contempo sia anche Dio.

Così è tracciata la figura del Cristo e della Eucaristia, del sacrificio perenne di un uomo-Dio che, acquisita la consapevolezza di figlio di Dio, e quindi Dio egli stesso, accettò di morire come uomo con le peggiori sofferenze possibili onde riscattare, sempre da uomo, l’errore compiuto quando anche egli con tutti noi esseri umani passati presenti e futuri eravamo Dio nella unicità dell’Adamo Kadmon.

Il suo essere Dio in una umanità di entità separate di cui anche Egli è parte, ha reso assoluto il valore del sacrificio che solo così poteva essere ricevuto dal Dio Padre.

Solo ora, finalmente, l’uomo è legittimato a riscattare se stesso, dopo che Cristo ha segnato la via indicandone il percorso con il suo sacrificio.

Ma il riscatto compiuto dal Cristo vale solo come acquisizione del diritto dell’uomo ad avviarsi su questo lungo precorso da compiere, nel ripetersi delle nascite per purificare progressivamente se stesso onde giungere all’ Indiamento di tutte le personalità che avrà fino ad allora vissuto e che si troveranno riunite nell’Uomo Nuovo che, dopo l’ultima rinascita, con l’ultimo sacrificio, potrà essere reintegrato nelle sue primarie virtù e potenze spirituali e divine.

Se la riparazione del Cristo avesse avuto valore assoluto per tutte le manifestazioni umane, allora tutti gli umani sarebbero già reintegrati, e questo non è.
Se la riparazione del Cristo avesse valore solo per tutti coloro che, credendo in Lui, avessero seguito tutti i suoi insegnamenti, costoro non avrebbero più avuto bisogno di rinascere, ma questo, che costituisce la fede dei suoi seguaci, non ci è dato sapere.

A tutti gli uomini è offerta la possibilità di reintegrarsi, a questo è servito il sacrificio Cristico.

Ma senza la specifica volontà del singolo questo sacrificio diventa inutile. Ogni singola parte di noi deve anelare il ritorno alla casa del padre, oltre ogni valore umano, e quindi deve prima di ogni altra cosa provvedere alla propria spiritualizzazione, alla spiritualizzazione della sua materia, meglio raggiungibile tramite la Iniziazione.

Solo quando l’uomo avrà sacrificato tutta la sua materialità sull’altare di Abramo, pronto ad immolare il sangue del proprio sangue, se stesso, le proprie viscere, solo allora si potrà considerare superata la animalità della nostra manifestazione e solo allora il nostro sacrificio sarà gradito al Signore.

Noi abbiamo la possibilità di usufruire della nostra Iniziazione, di seguire i rituali che i nostri maestri passati hanno sperimentato e sviluppato per noi, e soprattutto abbiamo la possibilità di divenire consapevoli dell’esempio di Cristo, nostro Fratello Maggiore già Reintegrato che si è posto a noi come La Via, La Verità e La Vita.

A ciascuno la possibilità di seguire o meno questi insegnamenti consapevoli della libertà che ci viene concessa, ma anche della grande responsabilità che deriva da tale scelta.

Al nostro livello non può esservi dubbio che la scelta sia stata fatta, con tutte le deviazioni e gli ostacoli che la nostra natura umana fallibile ci pone innanzi.

Abbiamo solo bisogno che ogni tanto qualcuno ci ricordi la valenza di questa scelta, la responsabilità che questa implica e ci confermi l’assoluta efficacia di questo percorso.

Io, Nicolaus, e tanti di noi siamo costanti testimoni di ciò.

La Carboneria e il Tempio Interiore

Di Sergio Ghivarello e Fulvio Mocco

Strutturato come la Massoneria, sui tre gradi d’accesso la Tempio Celeste, apprendista, compagno, maestro, il Grande Firmamento della Carboneria, era una delle più misteriose ed incomprese società segrete. Essa riceveva i neofiti tramite un "Maestro Terribile" o una Maestra – l’ordine era androgino – che, selezionandoli con una serie sempre più difficile di prove, li introduceva attraverso altri quattro gradini al Tempio Interiore.

Penetrava in quest’ultimo solo chi riusciva simbolicamente a "passare" in mezzo alle due colonne del Sole e della Luna, inneggianti ad Uzza, il volto creativo della Triplice Grande Madre solare della leggendaria Arabia Felice, il cui santuario, nella valle di Nakhla, era costituito da tre alberi d’acacia, in uno dei quali, secondo la leggenda, si sarebbe manifestata la dea.

L’adepto entrava così in una "via" illuminata dagli stadi progressivi di una conoscenza trasmessa attraverso una serie di "quadri iniziatici", illustrati da leggende allegoriche. Echi di questa "via carbonara" si rintracciano ancora oggi nelle allegorie rituali del IX, XV, XVIII, XXVI, XXXII grado scozzese, nonché nelle leggende massoniche di Phaleg, architetto della Torre di Babele, nel passaggio del fiume Nabuzanai, ed in quella dei "cinque colpi di cannone".

Nei gradi superiori e direttivi l’iniziato diventava una delle "Luci" del grande firmamento della Carboneria, luci che ruotavano attorno ad un "Polo", accompagnando il cammino della "Regina". Compito di quest’ultima era "illuminare" l’oscurità, riflettendo la luce del suo "Re", in attesa del suo risorgere. La Carboneria, a differenza della Massoneria, nacque infatti come ordine androgino, ed il suo motto fu scritto con le iniziali della frase "A Gloria della Grande Madre Universale", disposte nel modo seguente: A…G…D…G…M…U…

La U finale ricalca anche il nome Uzza, sotto cui era nota la grande dea autoctona a Carbonari e Massoni del Tempio Interiore.

I simboli della Carboneria, che illustravano anche il suo programma, erano: il gallo sull’omphalos, la croce drappeggiata con lancia ed asta porta-spugna, il fascio e la scure, spesso bipenne, Marte e Pallade Frigia, la "giardiniera" che porge la sua "rosa" alla rinata Fenice, la corona di spine, la spada ed il flagello, l’albero, l’acqua, il sole e la terra, la bilancia, e così via. Tutti collocati intorno ai vertici – od all’interno – di due triangoli equilateri intrecciati in posizioni invertite e formati dagli anelli di una pesante "catena", col vertice superiore sormontato da una corona di mirto.

I carbonari, richiamandosi al significato occulto di una dualità sinergica, racchiusa nel mito dei figli di leggendarie proto-coppie di fratelli e sorelle - tipicamente quelli di Iside-Osiride e Nefti-Set - si definirono "buoni cugini"; le sezioni dell’ordine furono chiamate "vendite", per ricordare ciò che i carbonari erano tenuti a dare in cambio della "luce" ricevuta, luce che avrebbe continuato a brillare, illuminando perpetuamente il loro essere collettivo.

Il sodalizio riallacciava le sue origini alla leggendaria Confraternita fondata da Teobaldo di Champagne che, di ritorno dalla IV Crociata, si ritirò nella sua regione dedicandosi all'umile, nero lavoro del carbonaro. E' necessaria una lettura in chiave mitica ed allegorica per comprendere il significato di questo "umile lavoro" che rappresenta senza dubbio una metafora. Il carbonaro, infatti, porta alla luce una "pietra", nera e sotterranea, che può liberare, attraverso una trasformazione "ignea", un'immensa energia. Anche le Vergini nere delle cattedrali cattoliche esprimono un'energia tellurica e celeste allo stesso tempo, e la pietra nera o meteorica, diviene il simbolo stesso della tellurica Gran Madre solare d'origine celeste, in quanto -come il carbone- contiene il sole nel suo grembo. Il nero e la pietra simboleggiano pertanto sempre trasformazione e rigenerazione.

Quanto all'oggetto prezioso portato alla luce dal carbonaro, nel nostro caso specifico, sappiamo soltanto che Teobaldo di Champagne partecipò alla IV Crociata, quella che si concluse con il saccheggio di Costantinopoli il 12 aprile del 1204  e la creazione dell'Impero Latino d'Oriente, ma Goffredo di Villehardouin, maresciallo di Champagne, racconta di avere partecipato a tutte le battaglie ed elenca parte del prezioso bottino dei Crociati; mentre il Cavaliere Robert di Clary, anch'egli partecipe al sacco di Costantinopoli, lascia scritto che: "... Nel monastero di Santa Maria di Blacherne si conservava la Sindone nella quale fu avvolto Nostro Signore; ogni venerdì veniva esposta verticalmente, sicché si poteva vedere la figura in piedi...".

A Costantinopoli si affermava che la Sindone era stata "ritrovata" da Pulcheria Augusta, Imperatrice d'Oriente, figlia di Arcadio e sorella di Teodosio il Grande; la stessa Pulcheria che per le sue battaglie contro gli Unni e contro tutte le eresie fu chiamata Custode della Fede. Sembra che da allora la Sindone sia stata custodita durante sette secoli, prima ad Edessa e poi a Costantinopoli, sempre dalla stessa antica Confraternita di Guardiani del Santo Sepolcro del Re del Mondo, istituita dall'imperatrice. I crociati di Teobaldo di Champagne l'ebbero in consegna pacificamente, quando Costantinopoli fu espugnata, ereditando insieme al Lenzuolo le sue conoscenze esoteriche occulte, di cui lo stesso era simbolo e sintesi nello stesso tempo.

Qualche anno dopo, nel 1208, si comincia a parlare di Sindoni in Francia, ed effettivamente si possono seguire le tracce di un lenzuolo con l'impronta del crocefisso dal 1208 fino al 1794, quando durante la rivoluzione lo stesso fu portato a Parigi e distrutto dai rivoluzionari. Tuttavia non è questa la Sindone descritta dal cavaliere di Clary; la sua descrizione corrisponde invece alla Sindone di Torino. Il fatto che delle due esistenti in Francia sia stata la falsa Sindone ad essere distrutta dai rivoluzionari, giustifica l'ipotesi che l'attività segreta dei "Guardiani" di Teobaldo di Champagne - molto probabilmente associati al circolo più interno dell' Ordine del Tempio - sia stata abilmente diretta ad attribuire una grande notorietà ed una falsa autenticità al primo lenzuolo per circa un secolo e mezzo, tenendo accuratamente nascosta in Champagne la Sindone autentica. Non è certamente una coincidenza che la leggenda di Parsifal e della Coppa del Graal sia stata scritta quasi allo stesso tempo da un altro cavaliere di Champagne, precisamente Cristiano da Troia (Troyes), la stessa città in cui venne poi alla luce la Sindone. 

Di quest'ultima non si ebbero notizie attendibili prima del 1353, anno in cui l'autentica Sindone viene alla luce a Lirey, presso Troia di Champagne, come proprietà di famiglia del signore del luogo, Goffredo di Charney, quasi certamente uno dei "Guardiani templari" eredi di Teobaldo. Questa data segue di qualche anno la perdita della reggenza al trono di Bisanzio di Anna di Savoia (1347), madre dell'imperatore d'Oriente Giovanni V Paleologo, e l'inizio delle invasioni turche; evidentemente i tempi erano maturi per lo spostamento dell' "omphalos" esoterico del mondo, dagli imperatori di Bisanzio ai Savoia.

L' ultima erede dei De Charney, infatti, Margherita, ex moglie di un vassallo dei Savoia, donò la Sindone, con regolare atto notarile del 22-07-1452, al duca Ludovico di Savoia e a sua moglie, Carlotta di Lusignano, figlia del Re di Cipro e Gerusalemme Giovanni II, che trasmise il diritto di successione al trono di Gerusalemme alla Casa Savoia. Dunque, i diritti dei Savoia al trono crociato ed i loro meriti "cavallereschi" e "templari" dovevano essere allora regolari e sicuri, se tutti questi "retaggi" furono affidati a loro, o, se preferiamo dir così, "confluirono" nella loro Casata. In effetti, gli stemmi ed i simboli di Casa Savoia rappresentano tutti un più o meno diretto richiamo a questo retaggio storico ed esoterico al contempo. 

Quello universalmente noto è lo "scudo crociato", croce rossa in campo bianco, tipici colori simbolici dei Templari. Anche le iniziali della sigla di Casa Savoia, FERT, furono sempre associate ad un retaggio esoterico o templare, malgrado non se ne conosca il preciso significato originario. Si ipotizzò che fossero le lettere iniziali della frase Fratres Ex Regula Templi, od altra con significato analogo. Noi siamo più propensi a credere che si riferisca ad un antichissimo nome, quello della mitica "terra astrale" che nell’impero di Atlantide fu la patria degli "uomini rossi" di FERT, figli di Venere, di Sirio e delle Pleiadi. Forse essa ne riassume i due significati, perché rosso e bianco furono anche i colori simbolici delle "due terre" dell’antico Egitto, del cobra e dell’avvoltoio, mentre nelle pitture si raffigurava con il rosso ciò che apparteneva al mondo manasico o sottile. Quanto alle Pleiadi, sappiamo che anche nell’antica mitologia Indù rappresentavano la settuplice Shakti, madre di Skanda- Kumara, personificazione del "rosso" Marte, il sole del mondo sottile, in cui Venere ha il ruolo di luna, e Sirio quello di sole centrale.

La sigla FERT compare in effetti su tombe antecedenti lo scioglimento e la distruzione fisica dell’Ordine del Tempio; la troviamo nella tomba di Tommaso III, morto ad Aosta il 7 febbraio 1259 e sepolto nel duomo della città. Inoltre, i Templari non furono perseguiti, dopo la scomunica, in nessuna delle terre dei Savoia. Esiste in più la testimonianza dell’insegna del Toson d’Oro, connessa al simbolo della Sindone ed ai Savoia, proprio in rapporto a questa missione templare e carbonara. Detta insegna fu associata in seguito ad una delle decorazioni simboliche del rito massonico di Memphis che nel secolo XIX operò in stretta collaborazione con la Carboneria; questo rito fu infatti riunito con quello di Misraim ad opera del suo Gran Gerofante, il carbonaro Giuseppe Garibaldi, dando origine all’Antico Primitivo Rito Orientale di Memphis-Misraim.

L’insegna fu istituita da duca di Borgogna Filippo il Buono nel XV secolo in onore della Madonna e di S. Andrea. Ricordiamo la connessione di questo santo, la cui festa ricorre il 30 novembre, con l’esoterismo: fu il primo a seguire Gesù, ed a condurre a lui il fratello Pietro. Incidentalmente, Filippo il Buono fece arrestare a Compiègne Giovanna d’Arco, accusata di stregoneria ed eresia, ed abbandonata a se stessa dal Re di Francia.

Bisogna poi considerare la parte avuta nel cosiddetto Risorgimento dalla Muratoria, dalla Carboneria, da Napoleone III, e da Vittorio Emanuele II; tutto ciò in relazione alla segreta missione della Contessa di Castiglione nel perseguimento di obbiettivi paralleli; cosa che allo stesso tempo lascia intuire che accanto agli scopi dichiarati o palesi dovevano esistere motivazioni occulte di ben altra natura, portata e finalità. Queste motivazioni non ebbero sbocco né vennero alla luce, perché con ogni probabilità un insormontabile ostacolo impedì la materializzazione di un sogno forse piuttosto diverso da quello di Cavour, e che verosimilmente avrebbe potuto realizzare l’ideale più segreto di carbonari e templari.

Ricordiamo la paura e quasi l’invincibile repulsione di Nicchia per Cavour, il tormentoso rammarico di Garibaldi per un suo involontario ma fatale abbandono degli ideali carbonari, il triste distacco dalla politica e la mesta fine di Vittorio Emanuele II; la tragedia finale di Napoleone III, costretto a dichiarare guerra alla Prussia, sconfitto, prigioniero, esule e morente dopo l’insurrezione di Parigi e la proclamazione di quella III Repubblica che avrebbe aperto le porte alla definitiva affermazione della democrazia borghese. La Massoneria era ormai divenuta inconsapevole strumento del nuovo potere economico e la Carboneria era stata costretta a ritirarsi nel Santuario Interiore, in attesa della resurrezione del suo Re e del "quinto colpo di cannone", mentre la maggior parte dei Cavalieri del Tempio erano ormai divisi in correnti divenute strumento occulto di un oscuro potere finanziario. Mentre dunque la Carboneria, sconfitta e paralizzata sul piano operativo, si ritirava integralmente nell’ombra, il Gran Priorato per la Provincia Italiana dell’Ordine del Tempio, staccatosi da Parigi dopo le scissioni seguite alla morte del Gran Protettore, Napoleone I, con il proclama del 1815 sotto il Titolo di Ordine Sovrano dei Cavalieri del Tempio, confermava, con il proclama delle Idi di marzo del 1867 (Pasqua), la decisione presa, stabilendo tuttavia che la reggenza dovesse continuare. L’ultimo Reggente di cui si abbiano notizie ufficiali, tuttavia, fu trucidato nel 1945 a Bologna, ed il segreto più impenetrabile preclude da allora l’accesso ad ulteriori notizie.

Così, il passato sembra dipinto con colori irreale e fantastici, ci riferiamo ovviamente al quadro puramente storico in cui fu collocata la "mitica" vicenda della Contessa di Castiglione. Tali colori non avrebbero tutto il loro contrasto se non completassimo i lineamenti esoterici del Tempio Interiore della Carboneria – del cui Grande Firmamento Nicchia fu "Rosa Bianca" e Regina, e di cui Napoleone III fu "Polo" – cercando di definirne anche la figura del suo "Re". Questo tempio Interiore Androgino, le cui due colonne "sostengono" e reggono il Grande Firmamento, che rappresenta l’aspetto visibile della Gran Madre del "dio occulto", fu sostanzialmente comune ai vertici di Templari, Illuminati e Carbonari. Il loro scopo ultimo era l’instaurazione del regno del Grande Architetto e Re dell’Universo, consentendo l’introduzione e la manifestazione nel mondo della materia della sua presenza visibile, fondendo insieme, tramite una sulfurea sintesi alchemica, i due volti di vittima e giustiziere, Cristo e Lucifero.

I simboli esteriori del sodalizio parlano di sofferenza e persecuzione, ma anche di vendetta e riscatto, e si riferiscono, direttamente od indirettamente, al duplice mito di Gesù, al contempo vittima e Re del Mondo, collocato su uno sfondo tipicamente esoterico. A questo proposito, i simboli citati, il gallo sull’omphalos, la Fenice, i due triangoli contrapposti, il fascio e la scure, Marte e Pallade, si riallacciano ai miti della Grande Madre, alla quale si richiama il motto del sodalizio stesso. Anche il fatto che il predecessore di Napoleone III alla direzione del Grande Firmamento, il Marchese La Fayette, fosse uno tra i primi ad aderire con entusiasmo al primitivo Rito Egiziano Androgino di Cagliostro e Serafina, ci sembra altrettanto significativo.

La figura mitica che emerge da questo contesto simbolico è di un Gesù come Padre degli Illuminati che caratterizzò i vertici dell’Ordine Bavarese di Weishaupt, o piuttosto come il "nascosto" Re dei templari, piuttosto che aderente all’iconografia religiosa exoterica. Egli appare, infatti, come l’uomo in cui le profonde, subconscie aspirazioni collettive dei popoli si proiettano e convergono assumendo una forma individuale che sintetizza in un essere singolo la coscienza delle genti stesse; perciò le sue sofferenze sono veramente quelle dei popoli oppressi da ogni forma di tirannia; il suo riscatto è il loro riscatto, la sua consapevolezza è quella delle nazioni stesse. Raggiungere la comunione di coscienze che "proietta" nella storia questo autentico Re del Mondo diventa così lo scopo personale del carbonaro, mentre il riscatto dei popoli ed il risveglio delle coscienze nazionali, costituisce la missione preparatoria dell’Ordine.

Mito e storia si fondono, così, in una visione metastorica del mondo. Non toccheremo oltre la figura della Grande Madre, in quanto, trattandosi anche in questo caso di un personaggio al contempo mitico e reale, individuale e collettivo, il suo ruolo costituisce uno dei più profondi misteri dell’Ordine.

La Sindone, indissolubilmente connessa al mistero simbolico racchiuso nell’insegna del Toson d’Oro, diventa così la sconcertante testimonianza di questa – razionalmente inaccettabile – proiezione del collettivo nell’individuale, nonché dell’irruzione del mito nella storia; mentre a sua volta la coppa del Graal diverrà il misterioso simbolo del veicolo stesso di tale "impossibile" proiezione. Il Trono del Giudice Supremo sorgerà proprio dalla Coppa di Smeraldo, e la fine ed il principio del mondo saranno in Lui una cosa unica.

   

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