ESICASMO

D'Alonzo Antonio

Durante il 300, nell'impero bizantino scoppiò una guerra civile sulla questione dell'esicasmo. Barlaam, il principale oppositore, affermava che gli esicasti erano dei pericolosi messaliani, che pretendevano di percepire Dio con i sensi spirituali. Il capofila degli esicasti era invece Gregorio Palamas (1296-1359), che sosteneva la possibilità di percepire le energie divine, ossia le azioni di grazia, che Dio rivolge agli uomini. Più in generale, l'esicasmo (esychìa = quiete) affermava la possibilità di percepire la stessa luce divina emanata da Gesù durante il mistero della trasfigurazione sul monte Tabor. La tradizione prepalamita comprende altri esponenti di spicco come Simeone di Mesopotamia (capo dei messaliani), Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Sinaita e Niceforo Atonita. Tra i postpalamiti, deve essere ricordato soprattutto Nicola Cabasilas. La confutazione principale di Barlaam verteva sull'impossibilità di percepire Dio con i sensi spirituali: platonicamente, il Trascendente- il Bene- era sempre e comunque al di sopra dell'essere. Palamas rovesciò il concetto, affermando che lo Spirito Santo procede da solo Padre e non anche dal Figlio (Filioque), creando una serie di distinzioni tra l'essenza divina inconoscibile e le energie divine contemplabili con i metodi esicasti (che comprendevano tecniche di respirazione ritmica, preghiere interrotte e posture particolari). Nel 1351, un Concilio ortodosso proclamò la vittoria dell'esicasmo. Da quel momento, la chiesa ortodossa fa derivare lo Spirito Santo dal solo Padre e non anche dal Figlio, come pensano i latini ("Credo nello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio"). Il momento del Figlio significa la possibilità dell'unione dell'umano nel divino, dell'attraversamento del divino all'interno dell'umano. In altre parole, il Logos generato nell'umano, la spiritualità dialettizzata nelle tre Persone. Nella chiesa ortodossa, con l'apoteosi del Padre, Dio resta il Totalmente Altro, afferente in qualcosa di determinato come le icone sacre, ma completamente separato dalle creature.

la ortoprassi esicastica consisteva essenzialmente nella ripetizione ritmica della "Preghiera di Gesù" (un breve mantra, del tipo "Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me"), unita al controllo del respiro ed alla concentrazione dello sguardo sul cuore, ma più verosimilmente sull'ombellico. Questa dottrina, comune ai monaci del monte Athos e del Sinai, è stata codificata compiutamente da Niceforo Atonita, ma affonda le sue radici nelle teorie messaliane, di cui Simeone di Mesopotamia è stato figura di spicco. Sostanzialmente si trattava della possibilità di percepire Dio con i sensi spirituali, credenza, peraltro,  condivisa anche da altre eminenti personalità della mistica cristiana. E' evidente che la percezione- seppure spirituale- oggettivando e riducendo il trascendente ad essente, rimanda inesorabilmente ad un dominio utilitaristico, più che spirituale. L'ipostasi dello Spirito nell'ente (ancorché Supremo) è tipica delle teologie del Totalmente Altro, dell'assoluta Alterità di Dio; in tal senso, rientra anche la disputa bizantina sulla processione dello Spirito Santo:  dal solo Padre, anziché ex Patre Filioque come per la Chiesa romana. Se lo Spirito divino emana dal solo Padre, allora Dio resta un ente completamente trascendente; in realtà, un Dio- in quest'ottica pre-baarthiana e pre-heideggeriana- assai poco trascendente, ma, al contrario,  oggettivabile nelle icone sacre. Dio è così ridotto a feticcio o a Totem. Mentre il momento del Figlio significa l'umanizzazione del divino,  la riduzione del Padre alla dimensione antropologica: in altri termini, la possibilità dell'unione dell'umano nel divino, la generazione del Logos nell'anima di ogni uomo. 

 

La tradizione esicasta,  con la sua negazione del Filioque,  rovescia e nega proprio la divinizzazione dell'umano. Dio resta sconosciuto e al santo rimane soltanto la possibilità, tramite le tecniche ascetiche, di ricevere le energie divine,  le azioni di grazia che Dio indirizza agli uomini. E' evidente che una volta accettato questo, la grazia inabita dentro l'uomo, come un segreto arcano; ed ecco l'importanza delle tecniche ascetiche (controllo respirazione, fissità dello sguardo, ecc.) per vedere, osservare, la Luce soprannaturale,  taboritica. 

Non si sfugge al radicale dualismo del santo-che-osserva-la-Luce, alla drastica dicotomia dell'osservatore e dell'oggetto osservato, del soggetto e dell'oggetto. Ma dove lo spirito rimane Altro,  ineffabilmente e perentoriamente separato dal contemplante, non c'è identità,  non c' è spirito.

Ecco perché Barlaam e gli altri avversari dell'esicasmo erano, in fondo, dei portatori di una spiritualità superiore rispetto ai seguaci di Palamas. Negare la determinatezza di Dio, pensarlo come Bene trascendente rispetto all'essere, significa rifarsi alla lezione del Simposio platonico, alla scala amoris, che non si accontenta di contemplare il divino, perché anela a trasformarsi in esso, alla fusione identitaria del soggetto egoico con lo Spirito Universale.

E' per questo che Cusano pensò Dio come Non-Altro, trascendente rispetto alle dicotomiche lacerazioni del mondo finito, coincidentia oppositorum, unità fondamentale di conoscente e di conosciuto (nozione introdotta in Occidente, per primo da Eraclito).

 

Concludendo,  possiamo osservare come nelle religioni e nelle filosofie dell'Occidente, vi siano state dall'inizio due grandi correnti. La prima indirizzata al superamento dell'opposizione e dell'alienazione, all'idea che spirito umano e  Spirito divino siano la stessa realtà.  Tradizione che risale alla corrente platonica e alla mistica renano-fiamminga, così come al quietismo. Ma che si estende anche nell'idealismo tedesco e nell'heideggerismo. La seconda fossilizzata sull'irriducibile distanza di una monade iperuranica, che come un deus optiosus si diverte a dannare e a regalare giustificazioni arbitrarie secondo imperscrutabili disegni cosmici. Quest'ultima corrente ha finito- purtroppo - per trionfare, prendendo le forme delle grandi religioni del Libro, almeno nella deriva contemporanea.

 

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