L´ANIMA SECONDO LA QABALAH
DOPO LA MORTE
 

estratto dalla comunicazione fatta alla Società di Psicologica di Monaco, nella seduta del 5 marzo 1887 da C. De Leiningen. Si ringrazia Federico Pignatelli, www.montesion.it

Secondo la Qabalah, la morte dell’uomo non è che il passaggio a una nuova forma di esistenza. Egli è chiamato a ritornare finalmente nel seno di Dio, ma questa riunione non gli è possibile allo stato attuale a causa della materialità del suo corpo. Questo stato, come gli altri che compongono l’essere umano, deve dunque subire una purificazione necessaria per raggiungere quel grado di spiritualità richiesto dalla nuova vita.

La Qabalah distingue due cause che possono portare la morte: la prima consiste nella diminuzione graduale o repentina dell’influenza continuamente esercitata dalla Divinità su Neshamah e su Ruah in modo che Nephesh, diminuendo la forza con la quale vitalizza il corpo grossolano, ne provoca la morte. Nel linguaggio dello Zohar essa potrebbe essere definita la morte dall’alto o dall’interno all’esterno.

Invece, la seconda causa della morte potrebbe essere denominata la morte dal basso, o dall’esterno all’interno. Essa avviene quando il corpo, forma di esistenza inferiore ed esteriore, disorganizzandosi sotto l’influenza di qualche turbamento o qualche lesione, perde la duplice proprietà di ricevere dall’alto e di esercitare l’influenza necessaria per stimolare Nephesh, Ruah e Neshamah a scendere fino a lui.

Poiché ciascuno dei tre gradi di esistenza dell’uomo nel corpo ha la sua sede particolare e la sua sfera d’azione corrispondenti al grado della sua spiritualità, ed essendosi trovati tutti e tre legati a questo corpo in periodi diversi della vita, essi abbandonano il cadavere in momenti differenti e secondo un ordine inverso. Ne deriva che il processo della morte si estende per un periodo di tempo molto più lungo di quanto si pensi comunemente.

Neshamah, che ha la sua sede nel cervello e che, nella sua qualità di principio di vita spirituale superiore si e unito per ultimo al corpo materiale - quest’unione ha inizio all’età della pubertà - è il primo a lasciare il corpo; solitamente ancora prima del momento che noi indichiamo col nome di morte. Esso non lascia nella sua Merkavah che un’illuminazione, poiché l’individualità umana, come si dice nell’Esarah Maimoroth, può sussistere, anche senza presenza effettiva di Neshamah.

Prima del momento che a noi sembra quello della morte, la coscienza sale al grado più elevato di Ruah da dove l’individuo scorge ciò che nella vita era nascosto ai suoi occhi; spesso la sua vista penetra lo spazio e può distinguere gli amici e i parenti defunti. Appena arriva l’istante critico, Ruah si espande in tutte le membra del corpo e prende congedo da loro. Poi tutta l’essenza spirituale dell’uomo si ritira nel cuore e là si mette al riparo dai Masikim [entità subconscie] che si precipitano sul cadavere, come una colomba inseguita si rifugia nel suo nido.

La separazione di Ruah dal corpo è sentita e Ruah o l’anima vivente fluttua, come dice l’Ez-ha-Caiim, tra le alte regioni spirituali, infinite (Neshamah) e quelle inferiori corporali, concrete (Nephesh), piegando ora verso l’una, ora verso l’altra, essa che, in quanto organo della volontà, costituisce l’individualità umana. La sua sede è nel cuore, questo dunque è come la radice della vita, è il Melekh, Re, il punto centrale, la linea che unisce il cervello col fegato, e siccome è in tale organo che l’attività vitale si manifesta all’origine, è anche in questo che finisce. Così al momento della morte Ruah sfugge e, secondo l’insegnamento del Talmud, esce dal cuore, attraverso la bocca, con l’ultimo respiro.

Il Talmud distingue novecento specie di morti diverse. La più dolce è denominata il bacio, la più penosa è quella nella quale il morente prova la sensazione di una spessa corda di capelli strappata dalla gola.

Appena Ruah si è separato, l’uomo sembra morto; tuttavia Nephesh abita ancora in lui. Nephesh è l’anima della vita elementare nell’uomo e ha la sua sede nel fegato. Esso, in quanto potenza spirituale inferiore, possiede molta attrazione per il corpo separandosene per ultimo, come è stato il primo a unirglisi. Tuttavia, dopo la separazione di Ruah, i Masikim prendono possesso del cadavere. Questa invasione, unita alla decomposizione del corpo, obbliga ben presto Nephesh a ritirarsi; tuttavia esso resta ancora a lungo vicino alla sua spoglia per piangerne la perdita. Di solito, soltanto quando sopraggiunge la putrefazione completa egli si eleva al di sopra della sfera terrestre.

La disintegrazione dell’uomo, conseguente alla morte, non è una separazione completa, perché ciò che una volta è stato un solo tutto non può disgiungersi completamente; rimane sempre qualche rapporto tra le parti costitutive, di modo che sussiste un certo legame tra Nephesh e il suo stesso corpo già putrefatto. Dopo che questo recipiente materiale esteriore è scomparso con le sue forze vitali fisiche, resta ancora qualcosa del principio spirituale di Nephesh, qualcosa di imperituro che discende fino nella tomba, nelle ossa, come dice lo Zohar; è ciò che la Qabalah chiama il respiro delle ossa o lo spirito delle ossa. Questo principio, imperituro, del corpo materiale che ne conserva completamente la forma e le pieghe (portamento), forma lo Habal di Garmin, che possiamo tradurre con il corpo della resurrezione (corpo sottile luminoso).

Dopo che le diverse parti costitutive dell’uomo sono state separate dalla morte, ciascuna si reca nella sua sfera attirata dalla propria natura e costituzione; esse sono accompagnate dagli esseri a loro simili che già circondavano il letto di morte. Siccome nell’Universo intero tutto è nel tutto, ciò che nasce, vive e perisce è retto da una sola e identica legge; così il più piccolo elemento è la riproduzione del più grande e gli stessi principi reggono ugualmente tutte le creature, dalla più bassa alla più spirituale, dai poteri più elevati. L’Universo intero, che la Qabalah chiama Aziluth e che comprende tutti i gradì, dalla materia più grossolana fino alla pura spiritualità - l’Uno -, si divide in tre mondi: Assiah, Yetzirah e Briah, corrispondenti alle tre divisioni fondamentali dell’uomo: Nephesh, Ruah e Neshamah.

Assiah è il mondo in cui noi ci muoviamo, tuttavia ciò che di questo mondo percepiamo con i nostri sensi è solo la sfera inferiore, la più materiale, per il fatto che con gli organi sensoriali non percepiamo che i principi inferiori, i più materiali dell’uomo, cioè il suo corpo. Lo schema precedentemente proposto, dunque, è uno schema dell’Universo e anche dell’uomo, perché secondo la Qabalah il Microcosmo è del tutto analogo al Macrocosmo; l’uomo è l’immagine di Dio che si manifesta nell’Universo.

Così, dunque il cerchio a rappresenta il mondo Assiah, e le sfere 1, 2, 3 corrispondono a quelle di Nephesh; b rappresenta il mondo Yetzirah analogo a Ruah, e 4, 5, 6 ne sono i poteri.

Infine il cerchio c raffigura il mondo Briah, le cui sfere 7, 8, 9 raggiungono, come quelle di Neshamah, il più alto potere della vita spirituale.

Il cerchio 10 è l’immagine del Tutto-Aziluth, e rappresenta anche l’insieme della natura umana.

I tre mondi che corrispondono, secondo la loro natura e il grado della loro spiritualità, ai tre principi costitutivi dell’uomo, rappresentano anche i diversi soggiorni di questi principi. Il corpo, guaina più materiale, rimane nella sfera inferiore del mondo Assiah, nella tomba; lo spirito delle ossa resta solo sepolto in esso, formando, come abbiamo detto, lo Habal di Garmin. Nella tomba è in uno stato di oscuro letargo che, per il giusto, è un dolce sonno; molti passi di Daniele e dei Salmi di Isaia vi fanno allusione. Poiché lo Habal di Garmin conserva nella tomba una sensazione oscura, il riposo di coloro che dormono quest’ultimo sonno può essere turbato in tutte le maniere. Ecco perché presso gli Ebrei era vietato sotterrare una accanto all’altra persone che, nella loro vita, erano state nemiche; o collocare un santo vicino a un criminale. Al contrario si aveva cura di seppellire insieme due persone che si erano amate, perché nella morte questo attaccamento potesse continuare ancora.

Il più grande turbamento per coloro che dormono nella tomba è l’evocazione, poiché quando Nephesh lascia la sepoltura, 1o spirito delle ossa resta ancora attaccato al cadavere e può essere evocato; ma questa evocazione raggiunge anche Nephesh Ruah e Neshamah. Senza dubbio sono già in soggiorni distinti ma rimangono anche, sotto certi rapporti, uniti l’uno all’altro, in maniera che uno risente di ciò che provano gli altri. Ecco perché le Sacre Scritture vietavano di evocare i morti.

Poiché i nostri sensi non possono percepire che il cerchio più basso, la sfera inferiore del mondo Assiah, solo il corpo grossolano dell’uomo è visibile agli occhi fisici, corpo che - anche dopo la morte - resta nel dominio della sfera sensibile; le sfere superiori di Assiah non sono più percepibili a noi, e allo stesso modo lo Habal di Garmin sfugge già alla nostra percezione; anche lo Zohar dice: Se ciò fosse permesso ai nostri occhi, potremmo vedere nella notte, quando viene lo Shabath, alla luna nuova o nei giorni di festa, i Diuknim (gli spettri) drizzarsi nelle tombe per lodare e glorificare il Signore.

Le sfere superiori del mondo Assiah servono da soggiorno a Nephesh. Lo Ez-ha-Chaiim dipinge questo soggiorno come il Gan-Eden inferiore, che nel mondo Assiah si estende a sud del paese Santo al di sopra dell’Equatore.

Il secondo principio dell’uomo, Ruah, trova nel mondo Yetzirah un soggiorno appropriato al suo grado di spiritualità. E poiché Ruah, che costituisce l’individualità, è il supporto e la sede della Volontà, è in lui che risiede la forza produttiva e creatrice; così il mondo Yetzirah è, come lo designa il suo nome, il mundus formationis, il mondo della formazione.

Infine, Neshamah risponde al mondo Briah che lo Zohar chiama il mondo del trono divino, e che comprende il più alto grado della spiritualità.

Come Nephesh, Ruah e Neshamah non sono forme completamente distinte di esistenza, ma al contrario procedono l’una dall’altra elevandosi in spiritualità, così le sfere dei vari mondi si incatenano l’una all’altra e si elevano dal cerchio più basso, più materiale, del mondo Assiah, che è percepibile ai nostri sensi, fino ai poteri più elevati, più immateriali del mondo Briah. Da ciò si vede chiaramente che, benché Nephesh, Ruah e Neshamah soggiornino ciascuno nel mondo che loro conviene, essi restano uniti in un tutto unico. Specialmente a causa degli Zelem, questi rapporti intimi tra le parti sono resi possibili.

Con il nome di Zelem la Qabalah intende la figura, l’abito sotto il quale sussistono i diversi principi dell’uomo e attraverso il quale essi operano. Nephesh, Ruah e Neshamah, anche dopo che la morte ha distrutto il loro involucro corporale esteriore, conservano una certa forma che corrisponde alla sembianza dell’uomo originario. Questa forma, per mezzo della quale ogni parte persiste e opera nel suo mondo, è possibile solo grazie allo Zelem; così è detto nel Salmo XXIX,7: Essi sono dunque come nello Zelem (il fantasma).

Secondo Luria, lo Zelem, per analogia con tutta la natura umana, si suddivide in tre parti: una luce interiore spirituale e due Makifim o luci avvolgenti. Ogni Zelem e i suoi Makifim corrispondono, nella loro natura, al carattere o al grado di spiritualità di ognuno dei principi ai quali essi appartengono. É soltanto attraverso il loro Zelem che è possibile a Nephesh, Ruah e Neshamah manifestarsi al di fuori. É su di essi che riposa tutta l’esistenza corporale sulla terra, poiché tutto l’influsso dall’alto sui sentimenti e sui sensi interni dell’uomo avviene per la mediazione di questi Zelem, suscettibili d’altronde di essere affievoliti o rinforzati.

Il processo della morte si produce unicamente nei diversi Zelem, poiché Nephesh, Ruah e Neshamah non sono modificati da essa. Così la Qabalah dice che trenta giorni prima della morte, i Makifim si ritirano dapprima da Neshamah, per poi scomparire, successivamente, da Ruah e da Nephesh, in questo senso c'è da comprendere che essi allora cessano di esercitare la loro forza; tuttavia, nello stesso istante in cui Ruah se ne va, essi si aggrappano, come dice la Mishnath Chasidim, al processo della vita per sentire il gusto della morte. Tuttavia bisogna guardare gli Zelem come esseri puramente magici; ecco perché lo Zelem dello stesso Nephesh non può agire direttamente nel mondo della nostra percezione sensibile esterna.

Ciò che si offre a noi nell’apparizione di persone morte è il loro Habal di Garmin e la sottile materia aerea o eterea del mondo Assiah di cui si riveste lo Zelem di Nephesh per rendersi percettibile ai nostri sensi.

Ciò si applica a qualsiasi specie di apparizione, si tratti di un angelo, di un defunto o di uno spirito inferiore. Allora non è lo Zelem stesso che possiamo vedere e percepire con i nostri occhi, ma solo una sua immagine che, costruita col vapore sottile del mondo esteriore, prende una forma capace di dissolversi immediatamente.

Per quante varietà offra la vita degli uomini sulla terra, altrettanto varia è la loro sorte negli altri mondi; infatti, più infrazioni alla legge divina sono state commesse quaggiù, più bisogna subire purificazione nell’altro mondo.

Lo Zohar dice a questo proposito: La bellezza dello Zelem dell’uomo pietoso dipende dalle buone opere che ha compiuto quaggiù, e più oltre: Il peccato macchia lo Zelem di Nephesh. Luria dice anche: Nell’uomo pio questi Zelem sono puri e chiari, nel peccatore sono torbidi e oscuri». Ecco perché ogni mondo, per ognuno dei principi dell’uomo, ha il suo Gan-Eden (Paradiso), il suo Nahar-Dinur (fiume di fuoco per la purificazione dell’anima) e il suo Gei-Hinam, luogo di tormento; da ciò anche la dottrina cristiana del paradiso, del purgatorio e dell’inferno.

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