“L’ALBERO DEL GIARDINO
AD ORIENTE”

 

PIERO MANCUSO

 

<<Ha più essere di ogni altro essere nel mondo, ma poiché è semplice, e tutte le altre cose semplici sono complesse se paragonate alla sua semplicità, in confronto è chiamato “nulla”>>

David b. Abraham ha Lavan
(Masoreth ha Berit)

 

 

CONSIDERAZIONI INIZIALI

La Qabbalah implica la restaurazione con il mondo del mito e con la dimensione onirica dell’essere. Dimensione onirica perché una delle porte d’accesso, o se si vuole di irruzione della sfera del mito nella nostra esistenza è il sognare o, comunque, stati di coscienza che sono porte che consentono un dialogo con le dimensioni sottili dell’essere. Lo Scholem sulla base del ritrovamento del manoscritto di una sorta di diario mistico di Rabby Mordekay Ashkenazi ( Furth 1701 ) ha potuto dimostrare come il suo libro ’Eshel Avraham è stato redatto sulla base di rivelazioni avute in sogno. Un’altro esempio è MenaCHnem Recanati che essendo di corto intelletto moltiplicava le pratiche ascetiche affinchè il cielo aprisse il suo cuore e la mente, un giorno, in sinanagoga, nemtre pregava si addormentò ed ecco gli apparve un uomo che lo svegliò e gli diede da bere dell’acqua mentre beveva di quell’acqua l’uomo scomparve. MenaCHmen si recò quindi a studiare e scoprì che si era trasformato in un’altro uomo e che il suo intelletto era chiaro e terso. La Qabbalah tende a rettificare la tranquillizzante spiegazione della realtà partorita, in occidente, da una mente razionale-empirica che in sè stessa trova la sua misura. Restaura (Tikkun) una continuità fra gli stati di esistenza iperfisici, relegati dalla visione scientista della vita alle terre del mito, al sogno, in ultima analisi alla sfera del fantasticare, e la sfera della coscienza di veglia. In tal modo schiude l’occhio della intuizione spirituale a una visione a cui si ha accesso a contatti con gli abitanti e le regioni delle terre del mito, una visione però che può essere terrifica e inquietante in quanto distruttiva del paradigma interpretativo del reale attualmente dominante. La dimensione adamitica, precaduta, secondo alcuni, consiste proprio nella custodia da parte di Adam dell’unità del mondo delle sephiroth ovvero dell’unità delle sfere del reale. Adamo invece di custodire l’unitarietà del reale espressa dalla radice in comune dell’albero della vita e della conoscenza operò una scissura onorando esclusivamente la Shekinà, ovvero la periferia del cosmo vita. Questa scissura fra la Shekinà e il resto dell’albero della vita vien detta esilio della Shekinah. Suturare, però, la sfera della coscienza di veglia con la sfera dei mondi sottili o iperfisici non è l’unico scopo della Qabbalah. Se la coscienza di veglia e l’analisi di essa, ad opera della mente empirica, porta a una indefinita espansione dello scibile che si esprime in paradigmi che vengono, man mano che questa indefinita crescita si attualizza, sostituiti da altri reputati più prossimi a una realtà che, per sua natura, non può essere cristallizzata perché in perenne divenire, la conoscenza della sfera sottile dell’esistenza è ancor più sfuggente e indefinita di quella di veglia. La Qabbalah non è solamente un sentiero, un paradigma conoscitivo, che ci concede di approcciarci alla conoscenza del divenire nella sua totalità di stati grossolani e sottili dell’esistenza. La Qabbalah è <<cognitio Dei experimentalis>> e oltre a ricercare il Dio celato nella manifestazione, nella creazione, postula un Deus absconditus, un Ente che è totalmente altrove e altro, insomma la Qabbalah conosce l’Infinito per eccellenza, l’Assoluto metafisico, l’Ain Soph Aur, Luce senza fine, che, proprio perché pertinente alla metafisica, cioè a ciò che trascende la materia, in qualsiasi forma essa possa sussistere, trascende l’intero cosmo ed è il Mistero dei misteri.

La conoscenza del mondo empirico e di quello sottile non ci può dare vera pace e compiutezza. Se la conoscenza fosse solo qualcosa che noi possiamo acquisire apprendendo saremmo condannati a ricercare qualcosa che il mondo nella sua interezza non potrebbe mai darci, saremmo condannati ad approssimarci perennemente al vero. La Qabbalah, come la Gnosi, come lo Yoga svela un sentiero che porta alla sperimentazione di uno stato in cui conoscenza e coscienza coincidono e quindi uno stato in cui essere e per ciò stesso conoscere, uno stato in cui la conoscenza non è conoscenza di un dato evanescente, sempre mutevole, ma è conoscenza di sé stesso, conoscenza della propria perenne natura essenziale. Solo questa conoscenza di sé, che diviene conoscenza di Dio, può dare vera pace e compiutezza. << … la conoscenza del proprio io>>, scrive lo Scholem <<… viene indicata senz’altro come una delle vie più sicure verso Dio, che appunto si manifesta nel profondo dell’io, per usare proprio una locuzione preferita specialmente dai neoplatonici (Gershom Scholem Le grandi correnti della mistica ebraica, il Saggiatore, pag 36)>>.


IL MONDO DELLE SEPHIROTH

<<Io sono colui che ha piantato questo albero, affinchè tutto il mondo ne tragga diletto; ho fissato tutto in esso, e l’ho chiamato tutto, giacchè da esso tutto dipende e da esso tutto deriva (Sepher Bahir)>>.

Che cosa è un piano esistenziale? E’ semplicemente un piano della manifestazione che sotto un certo punto di vista ci pare omogeneo, possiamo dire un regno della natura, natura non intesa semplicemente come sfera della materia sensibilmente percettibile.

La prima divisione nella sinergia della manifestazione è quella che rigurarda il sensibilmente percettibile rispetto alla nostra interiorità. I nostri cinque sensi offrono tale divisione naturalmente. Ciò che è sensibilmente percettibile, cioè ciò che è visto, udito, sentito, toccato, annusato e assaggiato la sinergia di queste sensazioni è il mondo, o sfera grossolana, secondo il linguaggio della Qabbalah Malkuth. Nella sfera del sensibilmente percettibile possiamo fare delle ulteriori classificazioni ... possiamo procedere a delle distinzioni basate su particolari punti di vista. Possiamo distinguere il regno animale, il vegetale e quello degli elementi ... poi a qualcuno magari viene in mente che è bene distinguere anche il regno umano.

Immediatamente contrapposto al regno del sensibilmente percettibile c’è la nostra spazialità psichica ... la sfera della materia sottile, sottile perchè non è percepibile con i sensi grossolani quelli cioè con cui percepiamo la sfera di veglia. Un pensiero, un sogno non sono percettibili con gli organi di senso ma non sono un inesistente, come le corna della lepre o il figlio di una donna sterile. La dimensione sottile dell’esistenza non è omogenea ... Prendiamo i pensieri .. i pensieri sono fatti di parole ma anche da immagini e poi c’è la gamma delle sensazioni ... il pensiero può essere di natura razionale o intuitiva, anche le immagini possono sorgere come una costruzione di tipo razionale o essere di tipo intuitivo. Notiamo che il pensiero razionale può essere influenzato dalla sfera delle emozioni. Anche il pensiero di tipo intuitivo può essere un eco di una sensibilità olistica o invece obbedire a istanze che risiedono nella sfera delle emozioni. Se ci piace crederci delle persone etiche diciamo che il pensiero di tipo intuitivo è a un livello esistenziale più alto del pensiero analitico e quest’ultimo a un livello più alto della sfera delle emozioni. La sfera grossolana poi è proprio ... l’estrema periferia del cosmo vita.

Ma questo è solo un possibile punto di vista ...

Qualcuno può obiettare che in realtà è la sfera grossolana la sfera più alta in quanto il pensiero intuitivo quello analitico e la sfera della emotività sono semplici epifenomeni della sfera di veglia o grossolana e sussistono fino a quando essa sussiste.

E’ scritto nel Sepher Yetzirah:

<<La loro misura è dieci ma sono infinite, la loro fine è fissata nel loro inizio e il loro inizio nella loro fine, come la fiamma è unita al tizzone. Devi sapere, calcolare, immaginare :il Signore è unico e Colui che forma è uno e non ha secondo. E prima dell’uno, cosa conti>>?

<<Dieci sefiroth senza determinazione: frena il tuo cuore si che non pensi, la tua bocca si che non parli; e se il tuo cuore corre via, che ritorni là donde era partito>>

<<Tutti i cabbalisti sono concordi nel ritenere la via mistica verso Dio come l’inverso della via per la quale procediamo da Dio. Chi conosce le tappe della via attraverso la quale si é realizzata la creazione, conosce per ciò stesso anche le tappe del suo ritorno alle radici di tutto l’essere. In tal senso il Ma’ase Bereshith (opera della creazione) - la dottrina esoterica della creazione - costituiva da tempo immemorabiile un capitolo fondamentale nelle concenzioni dei mistici ebrei. A questo riguardo la Qabbalah si avvicina moltissimo al pensiero neoplatonico, del quale giustamente é stato detto che in esso progresso e ritorno insieme significano un unico movimento, la Diastolé-Sistolé, che compone la vita dell’universo. È parimenti questo l’intendimento dei Qabbalisti (Scholem op. cit. pag 38)>>.

Ecco dunque che il simbolo principale della Qabbalah l’Etz CHayyim, l’Albero della vita, non esprime altro che il micro-macrocosmo e per ciò stesso il sentiero che dal punto principiale, noumenico conduce all’estrema periferia del cosmo vita e dall’estrema periferia del cosmo vita riconduce alla sua sorgente.
<<L’Albero sephirotico rappresenta un mandala, un simbolo in cui sono compendiate le indefinire possibilità espressive del micromacrocosmo. L’esatta sua lettura svela, quindi il significato del mondo dei nomi e delle forme, la comprensione delle energie grossolane e sottili, e la possibilità di captarle. Può essere meditato a livello metafisico, ontologico, teurgico e psicologico. Essendo un mandala completo contiene la Realtà noumenica ( Raphael La Via del Fuoco secondo la Qabbalah, Vidya, pag 9)>> .

Già da queste prime battute si potrebbe intuire quel che il glifo simboleggia l’uomo, innanzi tutto, e la conoscenza mistica del cosmo. Ma il Glifo non è che una realtà di tipo transeunte, un uomo, una stella, un universo hanno un principio, una durata e una fine, sono sempre dati relativi. L’Etz CHayyim è una realtà peritura, ciò che è immutabile, eterno, senza fine, Ain Soph, è oltre l’albero della vita, anche se, paradosso, l’albero della vita è pervaso ed è immerso nella Luce senza fine di Dio.

Le volgarizzazioni, meglio i fraintendimenti, di essa ad opera di un certo occultismo fanno sembrare che la Qabbalah sia una sorta di insieme di corrispondenze armoniche, sistematizzate intorno al glifo dell’albero della vita, che diverrebbe in tal modo una sorta di artificio mnemotecnico per classificare le relazioni analogiche fra le cose.

Una tradizione dice che nel TANAK (sigla mnemonica di Torah, Legge, Nabim, Profeti, ve, e, Ketubim, agiografi) non si fa menzione dell’ Ain Soph Aur ovvero nel canone biblico si parla solo del manifesto, del cosmo, mentre per la visione metafisica occorre far capo alla Qabbalah. Questo troverebbe riscontro in una lettura Qabbalistica di Genesi

 

1.1. <<be reshit barah Elohim et ha shamaim ve et ha arets>>.

La lettura tradizionale da alla particella <<be>> un valore temporale e quindi si ha la lettura <al principio>>, in quanto reshit, che appartiene alla radice r’sh -testa, principio, inizio, primo, ha un senso di inizio, di principio delle cose ... Secondo una lettura ... più riservata, a be vien dato il valore strumentale e quindi la lettura diventa: Con reshit creò Elohim il cielo e la terra ... Reshit quindi è, secondo questa lettura, Kether ... la prima sephira ... appunto il principio e la fine di ogni cosa. Reshit in quanto suono o numero fondamentale, alcuni parlano di Uno che contiene in sé i molti, è l’Uovo cosmico con cui sia il cielo, stati essenziali, noumenici dell’essere, sia la terra, sfera grossolana “son stati fatti”. Esiste una immagine mitologica che vede l’uovo cosmico all’atto dello spezzarsi dar luogo, la parte “superiore” ai cieli, e la parte “inferiore” alla terra. Comunque sia ... il TANAK parla appunto del cielo, della terra e di quel che si situa fra essi l’aria ovvero i mondi sottili, cioè parla del manifesto, del dispiegamento polare di Reshit, ovvero Kether ... ma non dell’Aformale, dell’Ain Soph Aur (cfr. cfr pag 29 Scholem Le grandi correnti della mistica ebraica).

<<Devi sapere … che vi è una luce superna, in alto, oltre ogni limite, detta En Soph; il nome dimostra che non può essere compresa, con la mente, né, affatto con la riflessione. E’ indefinita e distante da qualsiasi pensiero, e precede tutte le emanazioni, le creature, le formazioni e le realizzazioni: non vi è in essa tempo d’inizio né principio, giacchè è sempre esistita e sarà in eterno; non ha né capo né fine. Dall’En Soph derivò poi l’essenza del grande lume, detto l’uomo primordiale, più antico di ogni altro … In verità in tale emanazione dell’Uomo primordiale, e negli altri mondi posti sotto di lui, vi è un capo e una fine; la loro esistenza e la loro emanazione hanno un inizio nel tempo, a differenza di quanto avviene per l’En soph, come si è già spiegato(‘Etz CHayyim di Chayyim Vital, pag. 564 di Mistica Ebraica a cura di Giulio Busi ed Elena Loewenthal Enaudi 1955)>>.

Nella tradizione Qabbalista si dice che nel seno dell’Ain soph Aur emerse Kether. In termini mumerici potremmo dire che dallo Zero metafisico emerge l’uno che contiene in sé i molti. Kether è lo stato di coscienza indifferenziata in cui il soggetto e l’oggetto di conoscenza giacciono in potenza ma non ancora separati. Secondo questa lettura il soggetto della frase quindi non sarebbe Elohim ma il Mistico Nulla, l’Ain Soph che essendo il più sottile del sottile vien detto Nulla o Non essere.

<<Ha più essere di ogni altro essere nel mondo, ma poiché è semplice, e tutte le altre cose semplici sono complesse se paragonate alla sua semplicità, in confronto è chiamato “nulla” (David b. Abraham ha Lavan, Masoreth ha Berit)>>.

Elohim quindi diventa dal soggetto della frase, secondo la lettura tradizionale, l’oggetto. Elohim vien quindi visto come un nome di Dio composto dalle due parole ebraiche Eleh ed Mi. La struttura consonantica delle due parole essendo la stessa. Per noi che siamo abituati a una parola cristallizata nella forma scritta e alla sua univoca resa la polisemia che una lingua a struttura struttura consonantica rende possibile è difficilmente comprensibile. Non è possibile qui scendere nei particolari, ma, l’ebraico recepisce nella scrittura solo le consonanti quindi il testo ebraico può essere letto diversamente a seconda del flusso vocalico che si sovrappone alla struttura consonantica. Eleh è un pronome dinostrativo che significa <<questi, quelle>>, Mi è un pronome interrogativo che significa <<chi?>>. Ecco come questo <<processo>> che dall’aformale e immanifesto Ain Soph, dall’Uno senza secondo conduce alla sfera principiale dell’Uno con secondo trovi il suo riferimento nella sacra scrittura, mediante una interpretazione resa possibile anche dalla particolare struttura della lingua ebraica.

Keter che contiene in sé, in potenza, come il seme contiene in potenza l’albero, l’edificio micro-macrocosmico, si polarizza nella diade Binah-CHokmah. Binah, la madre cosmica, è la Materia Primordiale, possiamo chiamarla Prima Materia, che vien pervasa da CHokmah o la Luce di Dio, la Sapienza che era accanto a Dio, fin dal principio, quando Egli portò a campimento il mondo, la Sapienza è la Luce che illumina il cammino. L’Acqua tenebrosa su cui Ruach Elohim, il respiro di Dio, aleggiava. Binah, le acque immote e tenebrose, vengono impulsate al movimento da Chokmah. In altri termini si potrebbe dire che Binah riceve “l’informazione” viene ordinata, strutturata da CHokmah. Da questa “inseminazione” di Binah da parte di CHokmah, mediante il suo seme luminoso, si spiega l’edificio del Cosmo. La sostanza o Prima Materia quindi si inspessisce, dalla sua purezza e sottigliezza primordiale in una serie di armoniche, di frequenze, vieppiù grossolane, fino all’estrema periferia del Cosmo-Vita Malkuth, il mondo grossolano, della coscienza di veglia.

Reshith, il punto primordiale, a volte vien detto Sorgente. L’eterno quando volle piantare il suo albero per prima cosa si preoccupò di trovare una sorgente che lo adacquasse. Nel seno dell’Ain Soph emerse quindi Reshit (Kether) che è il tizzone da cui scaturisce la fiamma delle dieci sephiroth, che poi non sono affatto dieci ma in numero indefinito. Lo Scholem cita Shelley per esprimere il rapporto fra l’Ain Soph e le sephiroth:

<<La vita, come una cupola di vetro multicolore, tinge il candido splendore dell’Eternità>>.

Kether è la manifestazione nel suo complesso. La manifestazione è il trillio delle note che il Divino musico suona sulla tastiera del tempo. Ma lo scorrere della musica implica l’esistenza del tempo e dello spazio. In Kether il tempo e lo spazio non è ancora dispiegato quindi la manifestazione è potenzialmente presente gelata nell’immobilità dell’onnisciente occhio divino. E’ il piano causale, Briah. Se ogni cosa è una cobinazione di lettere dell’alfabeto ... obbero un suono che nel tempo spazio ha un inizio, una durata e una vita e il susseguirsi dei suoni costituisce la sinfonia della vita universa, Kether ascolta la sinfonia nel suo complesso in un eterno essere presente a sé stesso.

L’Etz CHayyym non è altro quindi che l’uomo visto nel suo complesso spirituale-psichico-materiale e il riflesso del cosmo che egli esperisce mediante i vari veicoli espressivi. Siamo noi l’Etz CHayyim, questa realtà complessa poi ha trovato espressione in un glifo, in un simbolo, che secondo il linguaggio orientale, abbiam già detto, vien detto mandala. Sembra quasi, ascoltando qualcuno, che l’Etz CHayyim sia solo il disegnino di quei dieci cerchietti collegati tra loro. Si dimentica che il cerchietto non è altro che un nostro aspetto e che i dieci cerchietti siamo <<noi>> visti sotto l’aspetto manifesto. Occorre adesso esaminare in sintesi il simbolo dell’albero della vita, dell’Etz CHayyim. Ciò che rappresenta lo abbiamo già detto. Indica il manifesto, ovvero il mondo della sostanza, della materia. Topograficamente possiamo distinguere la triade suprema, Kether, Chokmah, Binah di cui si è già detto, una triade mediana Chesed, Geburah, Tiphereth e una triade inferiore NezaCH, Hod, Yesod, oltre a una decima sephirah, Malkuth, si possono distinguere un pilastro centrale detto della Freccia o Via del Fuoco e due laterali. Balza immediatamente all’occhio che la sephira Tiphereth è il cuore dell’albero sephirotico. Da un altro punto di vista possiamo considerare Tiphereth il governatore del quaternario inferiore NezaCH, Hod, Yesod, Malkuth. Tiphereth , occorre dirlo fin da adesso, Thipereth è la sfera del Sé, della coscienza-conoscenza. <<... meta immediata dell’iniziando qabbalistico è l’evocazione della sephirah Tiphereth e dell’intelligenza Raphael che presiede a tale sephirah. ( Raphael Triplice Via del fuoco, Vidya, pag 58)>>. Da un certo punto di vista, il quaternario inferiore, malkuth, yesod, nezach e hod sono, a livello microcosmico, la compagine del corpo umano sia sotto l’aspetto grossolano (malkuth) che quello pranico-energetico (yesod), che quello mentale-psichico (hod-nezach). Generalmente quello che si spaccia per Qabbalah si limita a delle ritualità che si fermano a livello di yesod ( magia sessuale) e tuttal più al livello di hod ( magia manasica) ma che in ogni caso sono sempre a livello dell’io o al livello del prepersonale. La Qabbalah non è questo ... ma un sentiero che porta a una rottura del livello dell’io empirico localizzato nel quaternario inferiore per risvegliarci alla consapevolezza di Tiphereth, il Testimone, che è un, diciamo, riflesso di luce-sonora di Kether ... nella Qabbalah cristiana si direbbe che Tiphereth è la cd. Coscieza Cristica, quella presa di consapevolezza della propria reale natura che fa dire a Paolo: <<non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me>>.

Occorre avere sempre presente leggendo l’albero che le sephiroth sono come un sistema di contrappesi è che si può avere un << effetto>> su una sfera agendo su un’altra. Occorre cioè sempre avere presente il principio della bilancia.

Malkuth è la sfera di veglia, l’estrema periferia del cosmo vita, il luogo dei precipitati ... non solo ... la Vita dell’Albero scorre da Kether che l’attinge dall’Ain Soph, per così dire, fino a Malkuth e poi però questa Vita ritona a Kether nel flusso e riflusso dell’Amore cosmico. Malkuth o la sfera di veglia ha un aspetto microcosmico, il nostro corpo fisico, e un aspetto macrocosmico il mondo in cui il corpo è immerso e agisce. Quindi il corpo è non solo una parte di Malkuth ma anche un <<mezzo>> di contatto, una finestra tramite cui, il principio di <<coscienza>> Tiphereth <<conosce>> Malkuth. Così è per le altre sephiroth, (numerazioni, sfere del reale, principi). La sefhira Hod non solo, in noi, si esprime come la mente empirica razionale, il mondo delle forme pensiero, ma è nel contempo una <<finestra>> mediante cui siamo permeabili all’astrale inferiore, il suo aspetto macrocosmico. Purificare quindi la sephira Hod mediante un retto pensare ci <<sintonizza>> con aspetti del basso astrale vicini alle sfere paradisiache invece che alle sfere infere. L’Albero, che è solo uno dei modi con cui è possibile descrivere il micro-macrocosmo è quindi una realtà dinamica e, secondo alcuni, ha anche un riflesso nei centri sottili. Ragion per cui oltre a un aspetto di <<intervento>> diretto su una sephirah, il retto pensiero può essere un <<metodo>> espressione di un sentiero etico tipo karma-yoga, può esserci un aspetto effetto di una opportuna <<stimolazione>> del centro sottile corrispondente alla sephirah nezaCH ... che è in diretta relazione con la sephirah hod, secondo alcuni nezah corrisponde al manipur cacra. Chiaramente una rettificazione della diade Hod NezaCH ha un riflesso sulla sephirah Yesod e un precipitato su Malkuth. La triade suprema è il piano di Briah. Reshit ha diversi aspetti, diverse sephiroth. Non c’è differenza fra Reshith, Chokmah e Binah, come non c’è differenza fra ChoCHmah-Binah e Daath. Dal punto di vista di Briah tutto resta involuto non dispiegato. nel momento in cui si oggettivizza la separazione fra l’Uno e i molti e sorge quindi l’io, il tu e l’egli, cioè sussiste la distinzione fra il soggetto e l’oggetto e rivolgiamo la nostra intuizione intelleggibile alla sfera causale essa appare come il cielo puro della mente cosmica punteggiata dagli archetipi celesti delle cose ... Daath, ma siamo già sul piano non solo del manifesto, anche Briah per quanto involuto, germinale, è manifesto, ma su quello formativo, Yetzirah, che è il livello esistenziale corrispondente alla triade mediana. La triade inferiore viene considerata come il mondo degli effetti Assiah. La Qabbalah occorre infine dire, almeno nella versione propugnata da Avraham Abufalia assomiglia molto allo yoga. Scholem lo dice chiaro e tondo:<< Ma ciò non deve trarci in inganno sulla natura del suo insegnamento, che in ultima analisi non è altro che una rielaborazione, con concetti e metodi ebraici, di quell’antica tecnica spirituale, la cui espressione classica è la disciplina yoga ... Egli prescrive>>, sta parlando di Abufalia, << esattamente determinate posizioni del corpo, combinazioni di consonanti e vocali da pronunciare in una sola emissione di voce, e determinate forme di recitazione, sicchè talune parti del suo libro la Luce dell’intelletto danno realmente l’impressione di un trattato yoga ebraico (pag 195 Le grandi correnti della mistica ebraica)>>. Addirittura arriva a postulare che Abufalia conobbe lo Yoga mediante contatti con i Sufi. E come lo yoga il Fine della Qabbalah è percorrere la via della reintegrazione nella sorgente dell’Essere.


AIN SOPH

In alcune pagine delle <<Grandi Correnti della Mistica ebraica>> si narra di come un seguace di Boehme, un certo Oetinger chiede al qabbalista, nel 1700, Koppel Hecht di Francoforte sul meno come poteva fare per comprendere la Qabbalah e lui di rimando dice che i cristiani avevano un libro che parlava di Qabbalah ancor più chiaramente dello Zohar e, alle ulteriori domande, questo qabbalista fece il nome di Jacob Boehme. Lo Sholem (pag 319) dice << ... fra tutti i mistici cristiani Jakob Boehme è quello il cui pensiero, nei suoi motivi più originali rivela la più stretta affinità con la Qabbalah ... Egli scoprì da sé - se così si può dire - ancora una volta il mondo delle Sefiroth; e certamente si può ritenere che in seguito, dopo la sua illuminazione, quando da amici dotti apprese qualcosa sulla Qabbalah, deliberatamente assimilasse elementi del pensiero qabbalistico ... >. Ho citato questo luogo di quella che è un’opera ormai diventata un classico del nisticismo ebraico, perchè è giunto il tempo di fare una considerazione ... è legittimo parlare di Qabbalah e poi nel proseguio dire, come farò, che l’Ain Soph è indentico al Saccidananda del Vedanta Advaita o che Kether-Tiphereth, sono l’equivalente del Cristo e parlare di una tecnica ascetica come la preghiera del cuore della tradizione esicasta? La risposta che io dò è semplice. Siamo abitanti dell’Etz Chayyim e ognuno di noi lo descrive secondo il proprio angolo visuale, secondo il proprio linguaggio. Occorre dire che la Qabbalah non è un alcunchè di unitario, esistono diverse scuole qabbalistiche, scuole che danno risposte diverse, a volte anche in constrasto fra di loro. Benchè quindi esiste un patrimonio di valenze simboliche e dottrinali in comune ogni corrente qabbalistica dà la sua propria colorazione alla luce incolore dell’Ain Soph. Non posso quindi che nell’accingermi a parlare dell’Ain Soph essere consapevole che quello che vado a dire non è che il proiettare il velo colorato dei miei pensieri sull’Ineffabile, Inafferabbile, Mistero dei Misteri.

<<Sappi che prima del prodursi delle emanazioni e prima che le creature fossero create, la luce pura dell’Altissimo riempiva tutta la realtà , né vi era alcun luogo libero, vuoto, vacuo e cavo; tutto era infatti pieno di tale luce pura, ovunque eguale chiamata appunto luce dell’En Soph. Quando la sua pura volontà concepì di creare i mondi e produrre le emenazioni, per fare uscire alla luce la perfezione delle sue azioni, dei suoi nomi e dei suoi titoli ... all’ora l’En Sof si concentro nel punto di mezzo, posto al centro esatto della sua luce. La luce si concentrò e si ritrasse tutt’attorno a quel punto centrale: proprio dal punto di mezzo rimase allora uno spazio libero, vuoto, vacuo e cavo (CHayyim Vital Etz Chayyim) >>. In qualsiasi modo lo si chiami, per comodità dialogica, possiamo dire che <<esiste> la sfera propria dell’Assoluto, Misterium Magnum, di cui non è lecito parlare o tentare con la mente di afferrarlo. Quando parliamo di Lui e già usare il Lui è una concessione al linguaggio è sempre meglio dire ciò che non è ... perchè dire ciò che è non è, diciamo, lecito ... dire ciò che è significa dire stupidaggini, oppure tradirlo sicuramente possiamo dire che il mondo delle sephiroth non è l’assoluto e su questo non c’è possibilità di errore, i Qabbalisti dicono Dio è tutto in tutti ma il tutto non è Dio.

Dire qualcosa di Dio o, se vogliamo usare un termine asettico e filosofico. dell’Assoluto è sempre dire il falso. L’assoluto è così ... assoluto che con il nostro linguaggio non può che esprimere un eco sbiadito di Lui ... alcuni preferiscono parlare addirittura di Esso e si lamentano che i nostri moderni linguaggi, semplificandosi e specializzandosi dalla loro comune origine indoeuropea, abbiano perso la qualificazione neutra delle cose. In sanscrito, il linguaggio delle città celesti degli dei, per indicare l’assoluto si usa il pronome dimostrativo neutro di 3° persona singolare <<TAT>>, <<Quello>>, e a molti parlare di Lui come <<Quello>> sembra possa bastare ed essere adeguato.

Nella Qabbalah si dice che l’Ain Soph ‘Or, << Luce senza fine>>, riempiva di sé, sé stesso sicchè non vi era nulla che non fosse egli stesso. La sua traboccante energia volle esprimere la creazione e per farlo fece spazio in sé stesso, per così dire, “avvenne” lo tzimtzum una contrazione della Luce, che pur restando identica a sé stessa e Infinita creò lo spazio come luogo geometrico in cui Egli, per puro atto di traboccante Amore creativo, esprime e sostiene la manifestazione.

Eppure, si affrettano a dire i qabbalisti, la contrazione della Luce Infinita, che si ritrasse per permettere al manifesto di avere un luogo dove attuarsi, non rese orba la manifestazione dell’Amore di Dio, della sua santa e luminosa presenza ... Così, come quando vuotiamo una fiala di profumo e in essa resta un’aroma dell’essenza, la manifestazione è pervasa dall’aroma del Santo. Da un certo punto di vista possiamo dire che Dio, l’Assoluto, è lo schermo, il luogo, in cui il film degli eventi si staglia ... è il sostrato di tutto ciò che è. Un esempio di scuola vedantica dice che l’uomo è una brocca immersa nell’Etere o Akasha, lo spazio infinito della divina coscienza. Noi come brocche quindi siamo vuoti, come un’anfora nell’aria o, se vogliamo, pieni come una anfora nell’ oceano.

L’Etere nella brocca può essere oscurato dal ciò con cui riempiamo la brocca ma come puro spazio adimensionale permane identico a sé stesso. Quando la brocca vien meno l’etere nel vaso resta identico a sé stesso. L’etere nel vaso vien detto Atma o Spirito, la Luce e la Vita in noi il nostro sostrato eterno, l’Etere fuori dal vaso vien detto Brahman, Dio, che differenza c’è fra l’etere nel vaso e quello aldifuori del vaso ?
Noi Etere onnipervadente <<crediamo>> di essere la brocca, questo è il senso dell’io e del mio, tutto lo yoga vedanta si basa appunto sulla discriminazione fra la brocca e l’etere (atmavikara o viveka) e la rinuncia alla identificazione con la brocca ( vairagya) ...

Adesso possiamo conprendere, intuitivamente, che quando Cristo dice <<io (Etere nel vaso) sono nel Padre ( Etere fuori nel vaso), Il Padre (Etere fuori del Vaso) è in me ( Etere nel vaso) io ( in quanto Etere nel vaso identico essenzialmente all’Etere fuori del vaso) sono in voi ( Etere nel vaso identico essenzialmente all’Etere fuori del vaso) e voi (Etere nel vaso identico essenzialmente all’Etere fuori del vaso) siete in me ( Etere nel vaso identico essenzialmente all’Etere fuori del vaso)>> non fa che esprimere l’identità suprema ovvero la meta dello yoga vedanta cristo aveva quindi realizzato il << Tat Tvam Asi>>, << Tu sei Quello>>, almeno così abbiamo compreso.

Il Cristo-Tiphereth è sempre presente nel cuore di ogni essere senziente come Etere, identico al Padre, e Maestro interiore ... In fondo San Paolo cosa dice? << non sono più io che vivo ma Cristo in me vive>>.

Questa nostra identità segreta e Suprema di essere cioè figli della stessa natura essenziale del Padre celeste è la Perla che abbiamo nella nostra mano, nel nostro cuore, che continuamente cerchiamo aldifuori di noi.

Giovanni 1:1 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 1:2 Egli era in principio presso Dio: 1:3 tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. Giovanni 1:4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 1:5 la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.

Lasciando da parte tutte le questioni riguardandi la cosmologia Giovannea qui basti dire che Giovanni indica con chiarezza chi è Cristo, secondo l’aspetto che predilige ... ovviamente. Nella Qabbalah si parla dell’Ain Soph Aur, o Zero Metafisico, l’Infinito, l’incommensurabile. Dal senso dell’Infinito Emerge un Suono, un Numero, il seme causale della manifestazione polare. Il Seme per quanto sia una unità indifferenziata già ha in se potenzialmente i molti e perciò la prima Sephira, Kether, è l’Uno che contiene in sè i molti. L’Ain Soph, il Santo, contiene in sé indefiniti numeri, indefinite modalità esistenziali. Questo mondo qua è un aspetto sonoro di Kether.

Cristo secondo Giovanni è Kether che sintetizza in sé tutte le indefinite sephiroth o aspetti polari dell’Uno-molti. L’unico suono manifesto si polarizza in CHokmah, lo Spirito e Binah la materia primordiale e cosmogonica. Hokmah è il suono luminoso che feconda e stimola Binah la sostanza ad oggettivizzare il mondo dei nomi e delle forme.

Quindi noi come enti abbiamo due aspetti polari che sono un riflesso della polarizzazione della Triade suprema della Santa Qabbalah. Tutto ciò che è sostanza, il corpo grossolano, il corpo sottile ci viene da Binah, il Suono Luminoso ci viene da CHokmah. La Luce in noi quindi è una armonica di CHoCHmah della coscienza che pervade la manifestazione.

Questa Luce, quindi, che illumina il paesaggio quale aspetto polare di Kether è la scala, il filo d’arianna da seguire per giungere alla sorgente del nostro essere.

Scholem ( pag 357 delle grandi correnti della mistica ebraica) riporta che dei Qabbalisti hanno portato la dottrina dello TzimTzum di Lurià fino a far dello TzimTzum qualcosa di assai simile alla dottrina dei mayavadin, << se lo tzimtzum è solo una specie di velo di maja - come alcuni cabbalisti posteriori cercarono di provare- che nasconde l’essenza divina nella coscienza delle creature, e dà ad esse l’illusione di un’autocoscienza, con la quale possono riconoscersi distinte da Dio, allora è necessario solo un piccolo mutamento perchè il cuore avverta l’unità della sostanza divina in tute le cose. Tale mutamento libererebbe dall’illusione della realtà dello tzimtsum, che potrebbe suscitare la convinzione che possa esistere qualcosa di diverso da Dio>>.

Esiste quindi un sentiero nella Qabbalah adatto agli amanti della non-dualità ed è detto la via della freccia, il sentiero che da Malkuth porta a yesod, poi a Tiphereth a Kether e infine all’estinzione del Tizzone Ardente nelle gelide acque del Ain Soph .