IL LAVORO MASSONICO E LA PERFEZIONE

a cura di Fratello BJ


 

La Massoneria fonda la sua esistenza sulla convinzione che la Verità non è una proprietà di istituzioni o persone, ma debba rappresentare un fine cui ogni singolo fratello sia tenuto a tendere, condividendo le diversità di fratelli che mai avrebbe potuto incontrare altrimenti, perché differenti per razza religione o cultura, attraverso la sua ritualità che tutti unisce.

Per questo motivo sin dal Settecento si è dovuta scontrare con tutte le forme di totalitarismo e d’intolleranza politica degli stati non democratici, che subito temettero la pericolosa libertà che essa permetteva, e vale a dire di parlare tra squadra e compasso senza ferire i fratelli, per lavorare per il progresso dell’umanità, sia attraverso un lavoro interiore di costruzione del Tempio individuale, ma anche attraverso un lavoro collettivo che orienti la società verso il Bene di tutti.

Nella storia per trovare la prima società animata dagli stessi ideali democratici che hanno costituito l’esempio cui ancora oggi fanno riferimento gli ideali di libertà individuale della Massoneria e di tutto l’Occidente, a tal punto da definirlo e distinguerlo a livello non solo filosofico ma anche etico, bisogna guardare alla Grecia del V secolo a.C. , la Grecia di Pericle.

E se ciò che è stato scritto ad esempio da Plutarco o Erodoto potrebbe non raccontarci fedelmente la storia, la critica sulle opere d’arte concepite in quel periodo non può mentire sugli ideali che animavano la società, pensate all’Egitto e alle piramidi.

Permettetemi prima un po’ di storia, serve a farvi vedere il parallelismo con la parte di società medievale che ha creato le prime logge di liberimuratori e con la società liberale del Settecento.

Nel 478 a.C., alla fine delle guerre persiane, Atene stringeva un patto di alleanza con le città ioniche delle isole dell'Egeo e della costa dell’Asia Minore, per difesa contro eventuali assalti dei barbari. Sede della confederazione e del fondo monetario a tale scopo costituito era il santuario di Apollo a Delo, ma le 454, quando la posizione di forza di Atene sulle città greche si era consolidata, il tesoro fu trasferito sull’Acropoli della città . Un breve indebolimento della confederazione in una battaglia navale in Egitto doveva giustificare lo spostamento ma in realtà con la pace trentennale firmata con Sparta e la vittoria a Salamina contro i Persiani la Grecia non correva più pericoli di essere interessata da guerre e il pagamento della tassa diveniva un tributo offerto ad Atene in nome di pericoli inesistenti. Già la guerra, depauperando le campagne e spingendo la gente a rifugiarsi in città aveva creato una nuova struttura economica e ideologica che abbandonava il sistema autartico finora in auge per lasciare posto a sistemi economici e sociali più articolati tra i quali emergevano il libero scambio e la specializzazione artigianale.

Questa ristrutturazione della polis ebbe come conseguenza un forte compattamento della compagine cittadina desiderosa di conservare le proprie prerogative di ricevere cioè una paga statale che diventava anche un corrispettivo dell’importanza della posizione politica assunta. Ogni anno infatti 6’000 dei 40'000 cittadini ricevevano a rotazione la carica di giurati e ottenevano una paga statale, gli altri in maggioranza erano coinvolti nel servizio militare ed ecco che in un regime democratico, di uguali, come quello ateniese della seconda metà del V secolo, l’ autorappresentazione aristocratica, individualistica e ostentante ricchezza, lasciava il posto a una autorappresentazione collettiva del popolo consapevole del proprio potere politico, cioè il monumento pubblico diventava la massima espressione figurativa della compagine sociale.

E a risultare trasformato risulta essere anche il rapporto col divino: sul fregio del Partenone i mortali assurgono a dignità pari a quella degli dei e tutti i combattenti sono eroi e nessuno sovrasta gli altri. Gli eroi prediletti sono gli eroi che vegliano dall’Agorà sulla polis e sulle leggi che essa emana e che, simbolo dell’intera comunità nel suo assetto democratico, sono rivestiti di un’autorità etica che trascende quasi l’eventuale finalità religiosa della dedica .

Tutti gli artigiani di Atene, una classe in certo modo protetta dalla polis, ne uscivano equiparati al dio. E la bellezza imperante allora è sintomo delle qualità morali dei cittadini ateniesi; il loro mondo figurativo pare popolato solo di eroi e di dei: è un tentativo di esprimere la perfezione e cioè che nella polis il grado di livellamento è totale, che la dignità di un ritratto non supera il limite che la società si è posta. Pericle stesso è degno di un ritratto per le sue benemerenze, ma egli è in particolar modo espressione di tutta la città, quasi un’emanazione di virtù che hanno reso grande Atene e per questo motivo la sua immagine non potrà differenziarsi da quella dell’oscuro eroe caduto in guerra perché con esso divide le stesse qualità morali pubbliche e private.

Pericle ha voluto creare una città di dei, nella quale i monumenti stessi fossero specchio della grandezza dei valori civili e religiosi, tanto che i politici furono raffigurati esclusivamente come atleti; mancava qualunque specificazione iconografica che trasmettesse l’immagine di una statista.

Non per caso e, fortunatamente per loro, i grandi atleti erano anche uomini politici.

Il ritratto come insegnamento etico dunque sino ad arrivare devolvere dediche private solo a uomini politici già morti, dai quali non ci si doveva attendere pericoli di aspirazione alla tirannide; nell’Atene di Pericle il committente è la città stessa, e il numero delle commissioni è così ampio da lasciare poco spazio per attività extra, i monumenti pubblici furono eseguiti in un tempo record e si dovettero adoperare tutti gli artisti a disposizione, le cui differenze di scuola nel tempo si attutirono, artisti e artigiani si influenzarono a vicenda e tutti insieme procedettero alla formazione di un nuovo linguaggio formale, segnato dall’impronta del supervisore assoluto Fidia.

Fermo restando che gli artisti dell’ età classica tentarono un supremo equilibrio tra ordine e composizione ( la complessità dell’immagine visibile in natura quasi mai risponde ad un senso di equilibrio tra i suoi componenti), è per noi interessante spiegare perché quel magico momento di equilibrio abbia fatto testo per millenni permeando di sé le pur straordinarie conquiste di età romana .

Evidentemente per un brevissimo e straordinario periodo c’è stata una totale identificazione tra artisti e committenti, che non sono più un numero ristretto di aristocratici in cerca di prestigio, ma il demos al competo, una sorta di equilibrio sociale che avrebbe avuto in seguito scarsi confronti (Che la bellezza lo irradi e lo compia), conquiste tecniche al loro massimo, infatti l’imitazione della natura passava per le maglie di una conoscenza matematica perfettamente acquisita, per la percezione del visibile come ordine armonico basato sui numeri (che la forza lo renda saldo) si assommano ai contemporanei raggiungimenti politici, filosofici e sociali ( che la sapienza lo illumini) , contribuendo a formare, come avverrà nella Firenze del Rinascimento, un complesso indistinguibile nei suoi elementi. L’artista attivo era cosciente della sua capacità di poter influire sullo spettatore in virtù della sua abilità tecnica nell’esprimere figurativamente le emozioni, e non solo il pathos e le sofferenze, ma anche il supremo equilibrio dell’animo (ethos) che poteva essere reso col supporto della symmetria. Il suo potere era simile a quello di un buon sofista capace di indirizzare verso la virtù i suoi uditori.

L’ammirazione per opere che immortalavano il prestigio universale di Atene, l’orgoglio per le magnifiche conquiste formali, la totale aderenza tra immagine figurata e concetto pubblico del divino , in una città dove gli dei vivevano tra gli uomini e li beneficiavano, dove la genealogia mitica, non più vanto di pochi aristocratici che si reputavano discendenti di Eracle o di Teseo, era allargata a tutti i cittadini, da tutto questo nasce il concetto di classico come perfezione.

In seguito, durante la guerra nel Peloponneso, appena dopo la morte di Pericle, l’impalcatura ideologica del regime democratico comincia a scricchiolare, nell’ambiente aristocratico il valore etico e formativo dell’arte comincia a venire meno, mentre le ricerche tecniche si sviluppano verso risultati ancor più complessi, ma talora privi del necessario supporto ideologico che aveva improntato l’arte nell’età precedente, e allora la forma tende a prevalere sul contenuto. E anche dove il messaggio pericleo resiste, nell’artigianato soprattutto, dove rimane un certo rigore etico, si tratta di una cosciente imitazione, il tentativo cioè di recuperare, nel momento della catastrofe, le immagini della passata grandezza, e dal classico si passa al classicismo.

E già il ritratto di Alcibiade, successore di Pericle, è il sintomo della rottura del rigore etico, e vuol anche significare la rottura dell’equilibrio classico, ma non delle qualità formali della cultura artistica classica. Infatti Alcibiade, incapace di resistere alle passioni, eppure attratto dalle dottrine morali di Socrate era inevitabilmente destinato a subire tutte le conseguenze della frattura, avvenuta nella società a seguito di guerre e carestie ed epidemie, tra ragione e passione, tra l’illuminismo sofisticato e le nuove tendenze misticheggianti e superstiziose, mostrandosi alle generazioni future come simbolo di una nuova mentalità.

Con l’immagine figurata di Alcibiade prosegue sì il processo analogico di confronto tra le virtù umane e quelle divine, ma lo spirito è ormai differente: alle dediche più personali, cioè meno legate alla struttura sociale e politica della città, si connette uno specifico tentativo di individualizzare le caratteristiche fisionomiche, anche se in chiave eroica. L’autorappresentazione ha preso il sopravvento su un discorso etico sociale più specificamente universale.

Dopo Acibiade la strada è aperta per il culto della personalità.

La Massoneria riconosce la Perfezione nella sola figura del G.A.D.U., al quale proprio per tale ragione dedica i suoi Lavori. Il Massone non aspira alla Perfezione, sapendola irraggiungibile per l'essere umano, anche se Iniziato. Tende però a migliorare la propria condizione, le conoscenze e l'etica comportamentale, considerandosi quindi perfezionabile. Sa però che alla cima non potrà mai arrivare: il microcosmo è d’identica natura al macrocosmo, ma restano due identità di ben diversa rilevanza nel quadro universale e nel Tempio una parte del muro rimane incompiuta per ricordarcelo. All'Uomo compete comunque il dovere d'operare caparbiamente su se stesso, per avvicinarsi il più possibile alla Perfezione divina, per quindi esserne miglior rappresentante nel complesso mondo del Creato che è chiamato a gestire. La parola perduta cui tendere, grado supremo di perfezione, non si acquista col denaro ma si può cercare con l’esercizio interiore, con la conoscenza di sé, che è il primo Dovere Massonico, poi con il secondo che è il Dovere verso gli altri, vale a dire la famiglia e lo Stato e infine col Dovere verso la Divinità col trionfo della pace e della concordia.

E’ il rituale dell’Apprendista a spronarci in questa direzione: quando il M:.V:. all’inizio chiede:

“ Fr. I° Sorvegliante a quale scopo ci riuniamo?” , il I° Sorvegliante risponde “ Per edificare templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio e lavorare al bene e al progresso dell’Umanità”, e il M:.V:. poco dopo sigilla il tutto con l’affermazione che “ tutto, in questo Tempio deve essere serietà, senno, benefizio e giubilo”.

L’unico momento di perfezione terrena il Rituale ce lo concede al termine dei lavori quando il II° Sorvegliante conferma di occupare il suo posto in Loggia per rimandare gli Operai, al momento opportuno che è il tramonto, “dal lavoro alla ricreazione, per il bene dell’Ordine e dell’Umanità”, e il I° Sorvegliante motiva il suo posto in Loggia “ per chiudere la Loggia, pagare gli Operai e mandarli via soddisfatti a gloria e onore dell’Ordine” e a quel punto, verificate le condizioni, aggiunge: “M:.V:., tutto è giusto e perfetto” e il M:.V:. ratifica col colpo del suo Maglietto.

E a questo punto viene naturale notare le analogie tra le condizioni appena ricordate che rendono “tutto giusto e perfetto” nei Lavori Massonici e la perfezione etica della società greca del V secolo vista poco fa : in entrambi i casi ci sono degli ideali, che in Massoneria sono impersonificati dalla Sapienza Iniziatica del M:.V:., i quali operano sulla società, si preoccupano della correttezza Iniziatica / etica dei lavori ma anche del fatto che i Lavori e i monumenti siano la massima espressione figurativa degli Operai e degli Artigiani, cioè della compagine sociale al completo, che per questo riceve il giusto salario, nel rispetto delle competenze e dei ruoli. Così la Parola sacra non può che passare dal M:.V:. al II° Sorvegliante, che ha vigilato i Lavori degli Apprendisti , per poi passare al I° che ha vigilato sui Compagni, che così correttamente istruito dalle Luci che lo precedono e seguono gerarchicamente , paga gli Operai.

E’ sempre dal rituale di Apprendista che riceviamo le indicazioni per esercitare il nostro lavoro di avvicinamento alla Perfezione, cui possiamo solo tendere ma non raggiungere, cioè lo sgrossare la pietra con gli strumenti di lavoro che ci competono viene eseguito coltivando e realizzando in Tempio, ma anche nel mondo profano, ciò che le Luci auspicano all’apertura dei lavori: “che la Sapienza illumini i nostri lavori ”, “ che la Bellezza lo irradi e lo compia” e “che la Forza lo renda saldo”. Questi tre aspetti che devono sovrintendere ai nostri Lavori sono state anche le qualità che definivano l’Oiw, il dio supremo dei Celti, che diversamente dosate e mescolate originavano un pantheon numerosissimo di dei minori. Per quanto riguarda l’uomo queste sono anche le parti del corpo che insieme compiono un lavoro ben fatto: la Sapienza è la testa, la Bellezza è la passione, l’estetica, il cuore e la Forza è braccia e gambe e capacità generativa, pertanto l’Uomo creato a immagine e somiglianza di Dio partecipa con ogni sua parte del corpo al Lavoro, seguendo le proprie inclinazioni e declinando queste sue proprietà secondo le necessità, in modo così da analizzare la Sapienza utilizzata come Forza , oppure la Bellezza che è Conoscenza o ancora la Forza come incarnazione della Bellezza/Amore, e via così.

 

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