L'Eremo dell'Armonia Primigenia

a cura di Pietro Mancuso


 

L'Eremo dell'Armonia Primigenia, fondato nel 1984, è il luogo che ospita un eremita che, con la sua semplice espressione vitale, offre una testimonianza di una modalità di approcciarsi al sacro di tipo ormai desueto, arcaico. Il romitaggio che si associa al segno esteriore della povertà, vissuto senza la protezione di una struttura organizzata rinvia ad altre epoche ad altri luoghi, non certo a una società desacralizzata e improntata al consumismo come questa in cui viviamo.

L’eremita prima di stabilirsi nell’eremo dell’Armonia ha fatto romitaggio spostandosi di luogo in luogo fino a quando, un suo amico sacerdote, ottenne l'uso del rudere di un vecchio <<pastiddraru>>. Fra le tegole recuperate intorno al rudere, quelle che furono prese dalle rovine di un'altro rudere e grazie al fatto che le travi del tetto erano solo superficialmente tarlate si riuscì a rimettere un tetto.

“ Devo ripulire e restaurare le travi grandi del tetto, pazientemente, pezzo dopo pezzo, con la spazzola d’acciaio e la martellina ho ripulito le vecchie tragiche sono ancora in buono stato, solo la superficie esterna bisogna togliere perché tarlata, ai miei colpi venivano fuori dei bei verzotti grassi, dopodiché ho passato con il pennello l’olio di lino cotto che ridava alla trave un bel colore marrone scuro, preservandola anche dai nuovi tarli. E’ stato un lavoro faticoso e rischioso, fortunatamente non soffro di vertigini e il corpo si regge bene in equilibrio … (dal diario dell’eremita 15 maggio 1984) “

Il tetto, per questioni economiche, era fatto solo di nude tegole, d'inverno riusciva a trattenere la pioggia ma, se grandinava, i chicchi rimbalzando riuscivano ad intrufolarsi fra gli interstizi delle tegole e cadere in parte all'interno. Ovviamente dalle fessure il poco calore che il camino riusciva a dare si disperdeva con estrema facilità, davanti al camino, nei momenti di gelo più intenso, occorreva stare con la coperta sulla spalle perché la parte rivolta al fuoco arrostiva ma quella opposta si congelava. Alcuni visitatori dell’eremo a un certo punto hanno coibentato il tetto. L'eremo dell'Armonia Primigenia non aveva acqua corrente ma solo una sorgente a cui ci si arriva tramite un ripidissimo sentiero per capre. Accanto all'eremo c'è un piccolo orto. Dentro l'orto una piccola cisterna metallica che è collegata alle grondaie così che l'acqua per l'orto, la fonte principale, di cibo si poteva riempire quando pioveva.

Altra possibilità era l'uso di un piccolo motore che pompava l'acqua da un piccolo laghetto, qualche metro quadrato, in cui si raccoglievano le acque reflue della sorgente, da qualche anno si è riusciti ad realizzare un allacciamento di acqua corrente. L'unica fonte di reddito annuale veniva dalla possibilità offerta dal padrone del bosco di raccogliere, verso ottobre, qualche sacco di castagne. Recentemente il terreno dove sorge l’eremo è passato di proprietà ma permane la possibilità di usare il casolare per fare romitaggio e raccogliere, quando è il periodo, qualche sacco di castagne.

L'eremita che abita questo luogo testimonia, con il suo semplice ritmo vitale, una vocazione contemplativa che ha come segno esteriore la solitudine, la povertà, il silenzio e uno slancio verso l'Assoluto che sembra, in occidente, essersi ormai velato a favore di rassicuranti sincretismi e, nel contempo, indigeste misture in cui l'aspetto dell'appetibilità commerciale ha una notevole importanza.

La povertà è solo il sigillo esteriore della rinuncia ... scrive l’eremita:" Il samnyasin, che il maestro ha riconosciuto visibilmente in me, non è che l'esplicitazione della rinuncia alla sfera materiale, mentale e causale, è l'entrata in quello stato di coscienza onnicomprensiva acquisita e resa stabile dalla meditazione continua, ma soprattutto dall'esperienza immediata e trascendente di essere ( dal Diario)>>.

Non è necessario essere povero per essere distaccato ... un povero può essere attaccato interiormente a conseguimenti materiali per lui impossibili, mentre uno che ha quei conseguimenti può non esserci affatto attaccato ... Janaka era un Re di altissima levatura spirituale che ammaestrava samnyasin rinunciatari che a lui si rivolgevano per avere l'insegnamento.

Diciamo, però, che, tradizionalmente, la povertà è una precisa scelta di una classe di esseri che mediante essa riesce a vivere con estrema autenticità l'abbandono e resa al Sé. Il monaco, dicono, educa lo sguardo per scoprire in ogni cosa la Luce di Dio ... e per far si che questo si realizzi svuotano dall'orizzonte percettivo ogni cosa che possa distrarli dalla contemplazione.

Cristo nel discorso della montagna alla fine indica un percorso basato sulla rinuncia e la povertà ...

La povertà dell’eremita si traduce in una ricchezza interiore e libertà straordinaria, una meravigliosa imponderabilità che si respira nel non avere nessun tipo di prospettiva materiale. Quando non hai nulla una meravigliosa libertà si palesa e si vive una straordinaria libertà, come quella di un animale selvaggio che vaga per la foresta. L'abbandono al Sé diventa qualcosa di intensamente autentico, una grande gioia traspare da ogni cosa che si fa, gioia che sorge dal profondo del cuore perché, intorno, non c’è nessuna cosa che può dare gioia in quanto si vive nel deserto.

Il samnyas rinuncia a tutto, al suo stato sociale, ai mezzi produttivi, alla famiglia, per vivere costantemente alla presenza di Dio, essere Presenza lui stesso, per quanto non possono farsi generalizzazioni, questo lo porta ad essere un Testimone e ad emettere una frequenza inaudibile. Le sue esigenze sono estremamente parche perché non fa questioni né di vestiti, per lui, gli stracci trovati nella spazzatura o presi a un morto vanno egualmente bene, né di vitto perché radici e tuberi cotti alla brace di un fuoco di bivacco sono un pasto accettabile, l'unica cosa necessaria a un samnyas è l'Unico necessario.

Questa frequenza che emette porta a volte a delle trasformazioni nello spazio circostante e possono sorgere intorno a lui dei centri di ricerca spirituale, dei dormitori, delle cucine e delle fucine, ma la loro sussistenza non dipende da nessuno, è lo Spirito che <<precipita>> in quel luogo, se trova un vaso adeguato a risuonarlo, a volte modellando il vaso in nuove forme .

L'eremo, quindi, non ha quindi quasi nessuno dei tratti caratteristici delle nostre moderne abitazioni, non c'è l'allacciamento alla rete elettrica, alla rete fognaria, l'acqua corrente è limitata a solo il bagno ed è pur sempre cosa recente. La vita all'eremo viene ricondotta a un livello primitivo ed essenziale. La natura che circonda il vecchio casolare non è solo un luogo ameno per dedicarsi alla contemplazione, ma, una fonte di cibo, di acqua, di luce e calore. Dalla terra vien tratto con sapienza, arte e zappa una quota importante del cibo quotidiano, una passeggiata nei castagneti o nei pascoli intorno offrono, all'occhio attento, un fungo, che a volte si consuma sul posto, crudo, una bacca, un sorso d'acqua da una sorgente avara, una verdura selvatica. Le sorgenti con il loro ritmo scostante forniscono un elemento prezioso per la vita. Fino a qualche anno fa ogni goccia d'acqua che veniva portata all'eremo costava fatica e per questo che c’erano diversi usi della stessa acqua. Quella con cui si lavano le stoviglie veniva riciclata per il bagno, ma, e questo tutt’ora in quanto il bagno è collegato a un pozzo nero con tutte le problematiche della sua gestione, il bagno è opportuno che sia usato con parsimonia, meglio, per espletare le proprie necessità fisiologiche, il bosco.

Da essa natura si trae la legna che d'inverno, bruciando nel camino, dona il calore necessario a mitigare il freddo intenso e feroce.

L'eremita che abita quel luogo è una figura inquietante, una sfida esistenziale, in una società in cui una rete di relazioni sociali è garante del nostro benessere egli osa vivere nella solitudine, in una società che moltiplica i mezzi per accedere alle informazioni egli si nega tutti i canali di accesso all'informazione e dona con parsimonia persino la sua stessa parola.

La natura quindi è una compagna con cui ci si rapporta quotidianamente, a volte amica, a volte capricciosa, a volte ostile. Comunque la natura detta il ritmo vitale e fa da da controcanto, coi suoi trilli e suoni, alla nota di chi vive nell'eremo e di chi, di tanto in tanto, vuole condividere un approccio al sacro di tipo senz'altro radicale.

C'è quindi, da un lato, una deprivazione, proprio sensoriale, di circostanze legate alla moderna vita sociale dall'altro l'immersione in una sfera di suoni, di odori, di ritmi vitali ancestrali.

Paradosso, se il ritmo vitale dell'eremo è una sottrazione di stimoli usuali alla vita sociale moderna, nel contempo ogni cosa induce alla contemplazione, al raccoglimento, all’apertura dell’orecchio dell’anima ai suoni inaudibili della confraternita delle sfere, allo schiudersi dell’occhio interiore alla Luce radiosa dell’Essere.

La giornata ha tre momenti forti, in special modo dedicati alla meditazione, e cioè la mattina, verso mezzogiorno e la sera. In questi momenti forti, in oriente li chiamano sandhya vandana, si medita secondo una formula mutuata dal saccidanda ashran. Dopo essersi seduti, chetato il movimento esteriore, si canta l'Om e poi dei mantra presi dai veda e dalle upanishad. La mattina, per esempio si canta il gayatri mantra e poi un brano della Isha upanishad. Si apre quindi una lunga pausa silenziosa. Se non c'è in atto un periodo di muna si legge un piccolo frammento di sacra scrittura, a questo scopo si usa un libricino di padre Giovanni Vannucci '' Il libro della preghiera universale'' che raccoglie il fior fiore della letteratura sapienziale universale. Dopo si conclude con qualche altro canto e un'altra pausa silenziosa.

A mezzogiorno se c'è un ospite gli vien data una campana in modo da comunicare all'eremita, con il suo tintinnio, che la pausa di silenzio deve lasciar posto al pranzo che vien preparato prima di fare la pausa meditativa. L’altra pausa meditativa è al calar del sole.

 

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